Convegno della senatrice Franca Rame
Intervento del Dott. Francesco Zaganelli, 10 giugno 2006
Cenni sulle problematiche inerenti alla tutela del consumatore nei contratti per adesione
Il principio dell'autonomia contrattuale - inteso nella sua accezione più pura di affrancamento e di emancipazione da qualsiasi costrizione del potere politico - risultato della generale vittoria dell'individualismo, si è in sostanza mostrato carente nell'ambito della tutela della persona nell'era dello sviluppo industriale; talvolta è stato addirittura utilizzato (e in parte lo è tuttora) per perpetuare situazioni di abuso nei confronti dei soggetti più "deboli". Nella società odierna, difatti, allo schema contrattuale "classico" - ossia quello consistente in un accordo raggiunto tra singoli individui in seguito allo svolgimento di particolari trattative - è subentrata la pratica delle contrattazioni cosiddette "di massa" o standardizzate. Tali contratti, chiamati contratti per adesione, si hanno quando una parte (generalmente un imprenditore o un professionista) predispone unilateralmente le condizioni generali di contratto, rimanendo alla controparte (il "consumatore", ossia colui che stipula il contratto al di fuori dell'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta) la possibilità di aderire o meno a tali condizioni, mediante la sottoscrizione delle stesse. Per cui la caratteristica principale di tali contratti è la totale assenza di trattative fra i contraenti; la legge, ovviamente, non esclude a priori la possibilità di negoziazione tra le parti, eventualità questa, in ogni caso, assai rara, soprattutto per quanto riguarda il settore dei servizi pubblici essenziali (assicurazioni, banche, trasporti e via dicendo). È facile rendersi conto che l'assenza di trattative possa rivelarsi fonte di abuso nei confronti dei consumatori, mediante l'inserimento nel testo del contratto di clausole poco chiare e trasparenti che potrebbero accentuare il già esistente squilibrio economico tra i contraenti. Proprio per evitare tale rischio si sono susseguite nel tempo varie forme di tutela sia a livello nazionale che internazionale ed europeo, che hanno portato a risultati non pienamente soddisfacenti, specialmente per quanto riguarda la situazione italiana.
Prima di analizzare le forme di tutela imposte a livello europeo e i loro adattamenti (più o meno fedeli) nella normativa interna, è necessario fornire un rapido sguardo alle norme esistenti nel codice civile italiano, anteriori, per l'appunto, alle varie direttive europee. Si tratta degli articoli 1341 e 1342 c.c.. Il primo dei due articoli si riferisce alle condizioni generali di contratto predisposte da uno dei due contraenti e stabilisce che queste sono efficaci nei confronti della controparte solo se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza; in sostanza, quindi, è sufficiente la conoscibilità delle stesse perché possano essere ritenute valide ed efficaci. Il secondo comma, di grande rilievo, si riferisce a quelle clausole ritenute particolarmente onerose che necessitano, per produrre effetto nei confronti del contraente aderente, di essere specificamente approvate per iscritto; qualora l'aderente non le abbia separatamente ed appositamente sottoscritte, le clausole in questione debbono reputarsi nulle, ferma restando - sempre che ciò sia possibile e ragionevole - la validità della rimanente parte del contratto. In base all'articolo 1342, 2° comma c.c., le clausole di cui sopra necessitano della cosiddetta doppia firma anche se sono state inserite in contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari - esempio di tale tipologia è la polizza di assicurazione. Illustri giuristi mostrano come il ricorso alla doppia firma sia diventato usuale in molti rapporti, rivelandosi in sostanza controproducente rispetto allo scopo inizialmente perseguito dal legislatore (quello appunto di richiamare l'attenzione dell'aderente sulle conseguenze che si sarebbero verificate a causa dell'inserimento di determinate clausole nel regolamento negoziale); difatti, l'apposizione della seconda sottoscrizione è divenuta una mera formalità, che l'aderente esegue senza tenere più di tanto in considerazione le conseguenze che ne derivano. Alla luce di tali valutazioni può affermarsi che non è assicurata una reale ed efficace tutela nei confronti del contraente che si trovi costretto ad aderire ad un regolamento predisposto unilateralmente da un imprenditore o da un professionista. L'articolo 1342, inoltre, stabilisce una regola interpretativa nell'ipotesi di contratto concluso mediante la sottoscrizione di moduli o formulari; in particolare prevede che nel caso in cui sul modulo siano state aggiunte per iscritto dalle parti delle clausole che siano incompatibili con quelle già contenute nel modulo stesso, deve darsi la prevalenza alle clausole aggiunte, anche qualora le clausole iniziali non siano state cancellate. Altra regola interpretativa, di portata generale, è data dall'articolo 1370 c.c., in base al quale le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s'interpretano, nel dubbio, a favore della controparte.
Accanto alla tutela prevista dalle norme analizzate finora, che potrebbe essere definita di carattere meramente formale, vi è una tutela di natura decisamente più incisiva, creata dal legislatore in attuazione della direttiva CEE 93/13, riguardante le clausole abusive nei contratti dei consumatori. Il riferimento è, nello specifico, all'articolo 25 della l. 6 febbraio 1996, n. 52, che ha introdotto nel Titolo II del Libro IV del codice civile un nuovo capo XIV bis (articoli 1469 bis - 1469 sexies), dedicato ai "contratti dei consumatori". È importante precisare che le norme in questione ( che rimangono intaccate nel loro impianto sostanziale) sono state sostituite dall'attuale 1469 bis, ad opera dell'articolo 142 del D. L.vo 6 settembre 2005, n. 206, intitolato "codice del consumo". Tale normativa si applica ai soli contratti che siano stati stipulati da un consumatore (inteso come persona fisica che conclude il negozio per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta) con un professionista (una persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che concluda il contratto nel quadro della propria attività imprenditoriale o professionale), e prevede che le clausole, inserite in tali contratti, che siano "vessatorie", non producono alcun effetto, e ciò anche quando il consumatore-aderente le abbia specificamente sottoscritte a norma dell'articolo 1341 c.c.. Tale inefficacia può essere rilevata anche d'ufficio dall'autorità giudiziaria, senza intaccare, comunque, la restante parte del contratto. In base all'articolo 1469 bis, 1° comma (ora articolo 33, 1° comma, del "codice del consumo"), una clausola deve reputarsi vessatoria quando la sua presenza nel regolamento negoziale determina, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, in contrasto con i dettami della buona fede oggettiva. L'articolo 1469 bis, 3° comma (ora articolo 33, 2° comma, del "codice del consumo"), fornisce un elenco delle clausole "che si presumono vessatorie fino a prova contraria"; tale elenco, diversamente da quello contenuto nell'articolo 1341 c.c., non ha carattere tassativo, di conseguenza anche clausole non contenute nella lista in questione potranno essere considerate vessatorie e pertanto dichiarate inefficaci dall'autorità giudiziaria (in tal caso però, sarà onere del consumatore provare che la clausola apporti, in concreto, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto). Nel momento in cui una clausola rientri nell'elenco di cui sopra, il consumatore non dovrà fare altro che allegarne in giudizio l'esistenza, e starà poi eventualmente al professionista fornire la prova contraria necessaria a superare la presunzione.
Non tutte le clausole però sono soggette al controllo contenutistico di vessatorietà previsto dalla normativa in questione; ne sono infatti sottratte le clausole che individuano e determinano le prestazioni principali che costituiscono oggetto del contratto (ossia il bene o il servizio prestato dal professionista e il corrispettivo dovuto dal consumatore), nonché, ovviamente quelle che riproducono disposizioni di legge. Inoltre non sono suscettibili di essere considerate vessatorie le clausole che siano state inserite nel regolamento negoziale a seguito di una trattativa individuale intercorsa tra le parti; per cui necessario e sufficiente affinché una clausola possa essere sottoposta al controllo contenutistico di vessatorietà, è che le parti non abbiano svolto su di essa una specifica negoziazione. È importante sottolineare che tale ultima precisazione non vale per le tre categorie di clausole menzionate nel secondo comma dell'articolo 1469 quinquies (ora articolo 36, 2° comma, del "codice del consumo"), le quali, per la loro particolare gravità, devono considerarsi sempre e comunque inefficaci, anche se le parti le abbiano fatte oggetto di apposita trattativa.
Tale legge non ha soddisfatto le associazioni dei consumatori, sollevando tra l'altro critiche da parte della stessa Commissione europea. Il testo, difatti, è il risultato di numerosi emendamenti e correzioni, e in numerosi punti risulta ambiguo per quanto riguarda le varie opzioni a favore del consumatore stesso. Inoltre - come evidenziano vari giuristi - non si è sfruttata la possibilità di coordinare il testo in questione con le regole già presenti nel codice civile (come gli articoli 1341, 1342, 1370), con le disposizioni relative alle discipline di recepimento delle altre direttive in materia, con la disciplina dei contratti bancari e assicurativi e via dicendo. Il controllo previsto dalla normativa in questione è un controllo di tipo giudiziale, con tutte le problematiche che tale tutela comporta (prima tra tutte l'eccessiva durata dei processi, che vanifica in buona parte l'eventuale effetto positivo della sentenza). I professionisti, inoltre, anziché adeguare i moduli e formulari in uso alle disposizioni della legge di recepimento, hanno continuato ad utilizzare clausole in buona parte abusive, scartando, in tal modo, anche un elemento aggiuntivo di concorrenza nei confronti degli altri operatori del loro settore. Le proposte di istituire una commissione nazionale deputata al controllo (sia preventivo che successivo) delle clausole vessatorie sono state bocciate. Alla luce di tutto ciò, la Commissione accertò varie violazioni della direttiva, segnalando già a suo tempo (13 dicembre 1996) al Governo italiano diversi rilievi e aprendo addirittura una procedura di infrazione, n. 98/2026 ex articolo 169 del Trattato di Roma; con tale procedura la Commissione tenne a precisare che la disciplina italiana aveva solo riguardo all'effetto successivo alla conclusione del contratto, vanificando l'intervento preventivo, che invece dovrebbe essere proponibile ancor prima che il contratto sia concluso.
Nella materia in questione è particolarmente (e giustamente) accentuato il profilo "collettivo" della tutela; questo si concretizza nella possibilità da parte di più soggetti di intervenire a difesa dei consumatori e degli utenti contro gli abusi di imprenditori o professionisti. I soggetti in questione sono in primo luogo le Associazioni dei consumatori, le quali, in base alla legge del 30 luglio del 1998, n. 281 (rubricata "Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti", e ora ripresa - per la parte in esame - dal "codice del consumo" di cui sopra), sono legittimate ad agire in giudizio a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, chiedendo:
1. L'inibitoria di atti o comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
2. L'adozione di misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
3. Ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani.
In secondo luogo è di grande rilievo il ruolo delle Camere di Commercio; la legge 29 dicembre 1993, n. 580 ha disposto il "Riordino delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura", attribuendo alle prime importanti funzioni e competenze in materia di tutela del consumatore, ciò sulla scia della direttiva CEE 93/13. Assai significative le norme dell'articolo 2.4. e, in materia di controllo sulle clausole inique, la lettera c) dello stesso comma. Fra le competenze o funzioni attribuite (la norma è intitolata "Attribuzioni") quelle del comma 4, lettera a) b) c) riguardano proprio la materia oggetto della direttiva CEE, sia in genere sulla tutela dei "consumatori e degli utenti", sia in specie sulle clausole inique o abusive. Nello specifico le Camere di commercio possono:
1. "promuovere la costituzione di commissioni arbitrali o conciliative per le controversie, sia fra imprese, sia fra imprese e consumatori ed utenti" (lettera a);
2. "predisporre e promuovere contratti-tipo tra imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti" (lettera b);
3. "promuovere forme di controllo sulla presenza di clausole inique inserite nei contratti" (lettera c);
4. "costituirsi parte civile nei giudizi relativi ai delitti contro l'economia pubblica, l'industria ed il commercio e promuovere azioni per la repressione della concorrenza sleale" (comma 5).
Particolarmente significativa è la funzione generale di controllo. L'attuazione di tali competenze, compresa la facoltà di promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie, non solo tra imprese ma, proprio per la materia in esame, fra imprese e consumatori ed utenti (lettera a del quarto comma), consente alle Camere di commercio di promuovere la tutela del consumatore. Dall'analisi appena svolta circa le competenze attribuite alle Camere di commercio da parte del legislatore, si evince come quest'ultimo abbia tenuto presente la direttiva comunitaria, emanando norme di concreta ed effettiva attuazione. La normativa in questione è degna di nota anche per quanto riguarda l'aspetto preventivo, pur essendo rivolto ad una sensibilizzazione piuttosto che ad una repressione concreta. Difatti vi è la "facoltà" per le Camere di predisporre e promuovere contratti-tipo, e di evitare l'insorgere di liti. Proprio il termine utilizzato -"facoltà" - denota come, purtroppo, non si tratti di un vero e proprio obbligo cogente, bensì di un potere di cui le Camere stesse sono titolari. Tuttavia sono apprezzabili i risultati raggiunti, ancor prima del recepimento della direttiva, da parte della Camera di commercio di Milano e da parte dell'Unioncamere; quest'ultima ha anche predisposto un regolamento-tipo di conciliazione e arbitrato cui le singole Camere possono uniformarsi per l'esercizio dell'attività.
Ai fini dell'analisi di prospettive future, trovo sia di grande rilievo ed interesse un'analisi comparata del modello italiano e del modello inglese in materia di tutela del consumatore, sempre rimanendo, ovviamente, su un piano generale ed astratto, senza quindi pretese esaustive e di visione analitica dei due ordinamenti.
I due modelli posti a confronto presentano alcuni punti di contatto ed altri tra loro divergenti. Un primo punto di contatto tra i due modelli è dato dal fatto che in entrambi gli ordinamenti esisteva già, precedentemente al recepimento della direttiva comunitaria, una disciplina delle clausole abusive; il riferimento, per quanto riguarda il Regno Unito, va all'Unfair Contract Terms Act del 1977 (UCTA), e, per l'Italia, alle disposizioni contenute nel codice civile del 1942 e tuttora in vigore (artt. 1229, 1341, 1342, 1370). È giusto osservare che, sia in Italia che nel Regno Unito, le regole preesistenti non riguardano esclusivamente i contratti con i consumatori, bensì tutti i contratti, essendo pertanto indifferente lo status delle parti. Nello specifico l'UCTA (che attua un controllo sicuramente più efficace) sanziona le clausole di esclusione o di limitazione della responsabilità. Il codice civile italiano colpisce solo le clausole contenute in contratti predisposti da una parte e accettate dall'altra, e la tutela si attiva con la formalità della sottoscrizione delle clausole particolarmente gravose e con un generale principio per cui le clausole predisposte sono valide solo se conosciute al momento della conclusione del contratto o conoscibili usando l'ordinaria diligenza, facendo in tal modo gravare sulla parte aderente il relativo onere di conoscibilità.
Per attuare la direttiva nel Regno Unito si è proceduto con un "statutory instrument" del 1994, poi modificato nel 1999 con Regulations ; in Italia si è ricorso ad una legge approvata dal Parlamento nel 1996, che ha novellato il codice civile (come analizzato precedentemente). Di grande importanza nel Regno Unito sono la Law Commission e la Scottish Law Commission, per l'attività svolta a livello interpretativo e soprattutto per la ricerca e l'analisi dei possibili esiti positivi e negativi di una eventuale unificazione delle due discipline: quella ossia anteriore alla direttiva comunitaria (UCTA) e quella data dalle Regulations, al fine di una applicazione congiunta a tutti i contratti, compresi quindi quelli conclusi tra professionisti.
Altro punto di contatto tra le due discipline è dato dalle tecniche di controllo delle clausole abusive. Essenzialmente il tipo di controllo imposto dalla direttiva e seguito dai due Paesi è di tipo giudiziale, per cui le nuove regole sono applicate dal giudice nel momento successivo alla utilizzazione delle clausole; in ogni caso in entrambi i Paesi è prevista la possibilità di inibire l'uso delle clausole stesse ritenute inique, mediante il ricorso al giudice (già analizzata la facoltà riconosciuta in tal senso in Italia alle Associazioni dei consumatori e alle Camere di commercio) ed è in vigore anche un controllo di tipo stragiudiziale.
Un punto di differenza e di grande rilievo, che a mio avviso - e prima ancora su parere di giuristi di esperienza e cultura giuridica ben più ampia della mia - potrebbe rappresentare uno spunto per interventi futuri, è dato dal ruolo svolto nel Regno Unito dall'Office of Fair Trading (OFT). Il Director General dell'OFT è difatti titolare di un ampio potere di controllo sulle clausole utilizzate; insieme ad altre Authorities e alla Associazione dei consumatori, ha il potere non solo di rivolgersi al giudice per far dichiarare priva di effetti una clausola ritenuta abusiva, bensì ha anche il compito di esaminare le clausole utilizzate e sollecitare i professionisti ad eliminare dai propri moduli o formulari quelle ritenute vessatorie. L'attività svolta da tale Authority è assai ampia e si muove su vari settori; fornisce delle cosiddette "guide" ai professionisti e agli imprenditori, indicando loro la tipologia di clausole che potrebbero adottare senza incorrere in un giudizio di vessatorietà, si rivolge ai consumatori in generale immettendo in rete (utilizzando perciò uno strumento immediato e di facile recezione) tutta una serie di consigli e di suggerimenti per evitare di essere raggirati con delle clausole contrattuali poco chiare e ingannevoli anche se apparentemente lecite. Ovviamente non ha il potere di vietare, a priori, ad un professionista di utilizzare delle clausole ritenute abusive, e ciò in quanto soltanto un'autorità giudiziaria potrà, in ultima analisi, dichiarale inefficaci; d'altro canto però, l'attività di ispezione e di controllo a favore dei consumatori è talmente ampia ed efficace che difficilmente le Associazioni dei professionisti si discosteranno dalle indicazioni dell'Office of Fair Trading. Come è facile dedurre, il controllo dell'OFT previene molte controversie che altrimenti graverebbero sui tribunali, intasando ancor di più l'attività giudiziaria con notevole impiego di tempo e di denaro, e garantendo in conclusione una tutela del consumatore ben più incisiva.
In Italia alcune Autorità hanno assunto iniziative in materia di clausole abusive, come ad esempio la Banca d'Italia per i contratti bancari e l'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP) per i contratti di assicurazione, ma purtroppo con risultati non all'altezza delle aspettative; di ben maggior rilievo sono stati gli interventi di tali Autorità in materia di trasparenza dei contratti con i clienti, sia professionisti che consumatori. Sicuramente importanti sono stati i cosiddetti "protocolli d'intesa" siglati da alcune associazioni di professionisti con le associazioni dei consumatori, specialmente nel settore assicurativo.
Nonostante tali sforzi, credo sia auspicabile la possibilità di affidare - nell'ambito dell'ordinamento italiano - all'Autorità Antitrust attribuzioni analoghe a quelle proprie dell'Office of Fair Trading, in modo da rendere ancora più incisiva la tutela del "contraente debole", e in modo anche da salvaguardare il mercato nella sua globalità, la concorrenza e la competitività degli operatori del commercio, sia nazionale che internazionale.
Oggi più che mai, infatti, in un vortice crescente di globalizzazione del mercato, il consumatore si sente, da un lato, perennemente "a rischio" nei confronti di un'offerta esponenzialmente aggressiva rispetto ad un passato recente e, dall'altro, sulla scia di esempi sempre più numerosi, intende divenire un consumatore "consapevole". L'equilibrio, come sempre, sarà difficile da raggiungere....
Dott. Francesco Zaganelli
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