Intervento al convegno “Donne in evoluzione: tra il dovere, il volere e il piacere” tenuto il 26-27 ottobre a L’Aquila.
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Il patriarcato si sviluppa sempre di più e i giovani maschi guerrieri si rendono conto che più i vecchi più praticano il sesso con le vergini e più si sentono in salute. E allora decidono che il vecchio può sì sverginare le ragazze ma solo con un fallo di legno, quindi si elimina il rapporto sessuale e la rottura dell’imene diventa una specie di rito in cui il simbolo fallico si piglia la maledizione e poi viene buttato via.
E anche questo rito viene abbandonato quando il maschio viene sostituito da una donna anziana fino ad arrivare all’eccesso opposto e la verginità diventa essenziale e l’anziana è colei che controlla che l’imene sia ancora intatto al momento del matrimonio.
Ma anche in questo caso abbiamo delle tradizioni che reggono per millenni. Sono andato a visitare un villaggio vichingo ricostruito perfettamente vicino a Stoccolma, si tratta di una specie di fortino quadrato costituito da grandi case, c’è la casa dei genitori, la casa dei figli maschi e la casa delle figlie femmine, la casa degli animali e la sala comune.
La casa delle femmine ha una piccola porticina rasoterra per permettere agli amanti delle fanciulle di entrare di notte senza essere visti dai genitori che si potrebbero imbarazzare. Il maschio deve entrare strisciando e se le ragazze non lo vogliono lo picchiano sulla testa ed è costretto ad arretrare. Presso i vichinghi le donne non potevano sposarsi se non erano già incinte, avevano capito che l’infertilità era più probabile fosse responsabilità dal maschio quindi volevano la garanzia che il matrimonio fosse fecondo. Poi che non fosse il marito il padre biologico del figlio non interessava a nessuno.
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