Non voglio qui annoiare con lunghe analisi sociologiche quanto raccontare come, in Italia e altrove, si siano ottenuti risultati positivi nel lavoro con i ragazzi violenti. Vorrei inoltre portare alcune proposte che potrebbero incidere realmente alle radici del problema.
AFFRONTARE IL DISAGIO E' POSSIBILE
Per 10 anni il mio principale lavoro è stato quello di occuparmi di ragazzi cosiddetti devianti. In questa attività ho potuto verificare come l’atteggiamento violento derivi da tre fattori: mancanza di modelli positivi, mancanza di autostima, mancanza di ascolto (estrema solitudine e paura degli altri).
Inoltre, grazie a una serie di convegni e incontri abbiamo potuto costruire un panorama abbastanza vasto su altre esperienze.
La convinzione che ho tratto da questo lavoro è che sia abbastanza facile dare a un adolescente la possibilità di cambiare strada.
In Francia da decenni, ogni anno, 50 ragazzi provenienti dal riformatorio partecipano, insieme a 150 cavallieri, a una traversata della Francia che dura 30 giorni. A ogni giovane, dal primo giorno, viene affidato un cavallo. Un atto di fiducia. L’apprendimento delle tecniche di base necessarie per sopravvivere in una simile avventura vengono date sul campo e i ragazzi dimostrano da subito una capacità incredibile di apprendimento di fronte a un problema concreto (riuscire a stare in sella). Questo è il primo dato interessante.
Io stesso l’ho verificato accogliendo a Alcatraz gruppi di ragazzi difficili, quelli che all’ultimo tentativo di gita avevano causato 100 milioni di danni distruggendo mezzo albergo.
Appena i ragazzi scendono dal pulman li si mette in piedi sul cavallo. Non è molto difficile, specie se hai un cavallo ben domato. Ma i ragazzi non lo sanno e si sentono subito Tex Willer.
E’ lì che parte l’insegnamento: vuoi sapere come farai a sopravvivere nei prossimi giorni? Ascoltami.
Tra educatori e ragazzi si instaura un rapporto che non è improntato a un potere burocratico ma alla fiducia che provoca chi condivide con te le sue conoscenza: te le mette a disposizione. Il fatto di dover curare, nutrire e pulire il cavallo che ti è stato affidato da ai ragazzi un grande entusiasmo. E’ necessario affascinarli!
Dopo aver spiegato i rudimenti del rapporto con il cavallo passavamo a mostrare come si doma un puledro. E anche qui, dopo dieci minuti i ragazzi si ritrovavano chiusi in un tondino con un puledro inferocito.
Disciplina, rispetto, passione, impegno, risultato.
Tutto questo si può insegnare proponendo percorsi concreti, offrendo opportunità attraenti e dando fiducia.
L’elemento essenziale è che gli operatori abbiano una fede ceca nella capacità di crescita dei ragazzi.
Un esperienza analoga è stata portata avanti a Napoli da un gruppo di atleti.
Anche qui è stata stupefacente la capacità di questi giovani devianti di imparare in modo fulmineo le tecniche. Quel che un ragazzo normale apprende in 2 anni un deviante motivato lo apprende in 6 mesi.
Alcuni dei ragazzi che hanno partecipato a questa esperienza sono arrivati a vincere gare regionali di atletica leggera.
A Alcatraz abbiamo anche invitato a portare la sua esperienza, in un convegno, Miloud, giovane clown francese che un giorno decide di dedicarsi ai ragazzi di strada di Bukarest. Passa tre mesi a dormire con loro nei cunicoli sotterranei della città instaurando uno scambio. I ragazzi insegnano a Miloud a parlare Rumeno e Miloud insegna loro a fare i giocolieri, gli acrobati e i buffoni. Nel giro di pochi anni Miloud riesce così a costruire due compagnie teatrali che girano l’Europa finanziando con il loro lavoro un centro diurno che accoglie 150 ragazzi e propone corsi di grafica e falegnameria, una decina di appartamenti dove i ragazzi vivono in comunità, un pulmino che gira la notte per la città offrendo soccorso e intessendo rapporti con i ragazzi che ancora diffidano del progetto. Abbiamo ospitato per una settimana dodici di questi ragazzi, che avevano il corpo coperto di cicatrici che si erano autoinflitte per dimostrare il loro coraggio e che ora si esibivano davanti a noi formando piramidi umane e interpretando pezzi classici della cluneria.
Un progetto simile ha preso vita nel quartiere Zen di Palermo.
Nei due convegni che abbiamo organizzato sull’uso del clown in ambito sociale Patc Adams ci ha portato la sua esperienza decennale nell’uso del comico nelle situazioni di emergenza. Patch ha iniziato andando nei locali dove ogni sera scoppiava una rissa, a far ridere la gente e ogni volta che lui era presente con le sue gags le persone rinunciavano a picchiarsi.
Patch Adams ha portato questo approccio negli angoli più disperati del mondo, dall’Iraq all’Afganistan e oggi queste tecniche di coinvolgimento artistico sono utilizzate in molti progetti di recupero per ragazzi traumatizzati dalla guerra.
Ogni volta che abbiamo affrontato ragazzi devianti e emarginati offrendo loro stima, ascolto e incoraggiamento abbiamo avuto risultati eccellenti.
Tra l’altro abbiamo organizzato un corso di scrittura autobiografica per un gruppo di barboni di Bologna tutto puntato sulla capacità spontanea di raccontare la propria vita trovando elementi comici.
I risultati anche in questo caso, come nei corsi di racconto teatrale autobiografico danno sempre risultati stupefacenti per la vena creativa che emerge così rapidamente da persone che non hanno mai pensato di saper scrivere o recitare.
Da tutte queste esperienze nasce la nostra convinzione che sia possibile ottenere grandi risultati. E’ solo una questione di volontà.
E di costi.
Ma si tratta di costi solo apparenti.
Le statistiche del Ministero di Grazia e Giustizia ci informano che il 70% dei detenuti, scontata la pena torna a delinquere. Questa percentuale si abbassa al 4% se prendiamo in considerazione i detenuti che hanno seguito in carcere programmi di recupero.
Anche in questo caso le esperienze di lavoro con i detenuti sono estremamente interessanti e diversificate.
Abbiamo lavorato con la dottoressa Nice che a Brescia ha tenuto seminari di “coscienza di sè”, presentandosi con il naso rosso. E da decenni, esperienze teatrali come quella di Rebibbia o di Poggio Reale, o scuole professionali alte, (come quella di cucina proposta dal comune di Napoli ai giovani delinquenti) hanno mostrato un incredibile potere di riabilitazione dei detenuti, offrendo una prospettiva diversa, una passione, la possibilità di esprimersi, un’immagine nuova e assolutamente affascinante di sé.
Ma perché queste esperienze restano così sporadiche? La semplice domanda è quanto costa rimandare a delinquere un ex detenuto?
Quanto costerà nell’arco di tutta la sua vita, allo Stato, un ragazzo che diventerà con molta probabilità un delinquente?
Si tratta di un problema globale. Prevenzione dell’illegalità e recupero dei detenuti sono due azioni strettamente correlate. Dal modo di affrontare questo nodo deriverà la situazione della società italiana nei prossimi decenni.
Prevenire è meglio che reprimere.
Un altro esempio sulla questione dell’investire in programmi di prevenzione riguarda i disabili fisici e mentali. Costa di meno offrire attività soclializzanti e di crescita perché così si riduce drasticamente il numero dei ricoveri in ospedale.
Ugualmente costa di meno educare i cittadini a comportamenti sani e a un uso prudente delle medicine e dei ceck up perché così si riduce lo spreco di trattamenti e i costi dei danni collaterali inutilmente provocati.
Che cosa si potrebbe fare?
Innanzi tutto dobbiamo individuare alcune azioni concrete che possano realmente offrire risultati.
Troppe volte propositi positivi si sono trasformati in azioni legislative che andavano poi a impantanarsi in incapacità individuali, lentezze burocratiche ecc.
Il primo obiettivo secondo me dovrebbe essere quello di moltiplicare quel che oggi già si fa e funziona.
Ci sono in Italia decine di gruppi di volontari che con mezzi spesso irrisori stanno dando prova di capacità e concretezza. Diamo a questi gruppi la possibilità di lavorare. Non tanto denaro quanto spazi fisici e opportunità di sviluppare iniziativa avendo, una volta tanto, l’amministrazione a favore e non contro. Quante costruzioni inutilizzate ha ogni grande comune italiano? Siamo pieni di enormi spazi inutilizzati. Rendiamoli fruibili per i giovani. Apriamo in ogni quartiere a rischio un centro multidisciplinare dove i giovani trovino strumenti per scoprire e coltivare nuove passioni.
E poi abbiamo le scuole, scaldate tutto il giorno e utilizzate per lo più solo la mattina. Diamo la possibilità di usare aule e palestre.
Soprattutto le palestre potrebbero offrire ai ragazzi enormi possibilità: ad esempio la semplice opportunità di organizzare una bella festa per il proprio compleanno. O di suonare di fronte a un pubblico con la propria band. Ci sono ragazzi che non possono MAI festeggiare con i loro amici perché non hanno una casa utilizzabile.
Nei Paesi Scandinavi in ogni quartiere esiste un grande palazzo dove i giovani trovano laboratori di tutti i tipi: video, audio, computer, falegnameria, ceramica, tessitura, teatro, danza, sale di registrazione, set televisivi, sale di montaggio video e audio, internet, biblioteca, videoteca, audioteca, ludoteca. E ovviamente questi luoghi sono gestiti da personale motivato e competente che offre un supporto valido.
Diamo modo alle associazioni che da anni operano con successo in questo settore di gestire spazi di questo tipo e di formare personale per gestirne altri.
E poi offriamo a questi centri culturali la possibilità di utilizzare spazi pubblici per organizzare eventi culturali.
Da parecchi anni ormai a Mestre ogni estate si tiene un festival che dura 40 giorni. E’ organizzato da un gruppo di italiani e di extracomunitari. Ogni sera in un grande prato della zona industriale ci sono un concerto gratuito o uno spettacolo teatrale e funzionano una pizzeria, una birreria, paninoteca, gelateria e una trentina di banchetti che formano un mercatino dove si vende di tutto. A mezzanotte spengono la musica ma ci sono comunque 5 mila persone per sera. Più di 50 posti di lavoro, e parecchi lavorano per tutto l’anno a organizzare il festival.
Dovremmo vedere i gruppi chiamati a gestire questi centri di aggregazione, formazione e produzione culturale come una risorsa capace di dare benefici a tutta la città. Diamo modo ai giovani dei quartieri a rischio di sfruttare le grandi possibilità che internet oggi offre a chi voglia mostrare un video o far ascoltare una canzone. Accade ogni giorno che giovani alla prima esperienza riescano a ottenere l’attenzione di milioni di spettatori. Si tratta di una grande occasione, di una possibilità che interesserebbe e motiverebbe anche i ragazzi delle nostre periferie più disastrate.
I giovani che oggi sono portatori di un pericoloso disagio sociale potrebbero diventare una fonte di vivacità culturale.
Per spiegare la logica di questa proposta vorrei fare un esempio.
La città di Cagli era dotata di un grande teatro settecentesco. Ogni anno spendeva qualche centinaio di milioni di lire per finanziare una stagione teatrale non eccelsa. Da più di 10 anni si è cambiata la logica. Cagli offre gratuitamente alle compagnie primarie il teatro per le prove e una serie di supporti tecnici e pure l’ospitalità. In cambio in alcuni giorni gli abitanti di Cagli possono andare a vedere come nasce e si sviluppa uno spettacolo. Poi l’ultimo giorno la compagnia recita senza compenso un’anteprima. In questi anni a Cagli hanno visto teatro di altissima qualità, sono nati laboratori di scenografia, sartoria, attrezzistica, ci sono elettricisti teatrali, fonici, datori di luci. Si è creato cioè uno sviluppo di potenzialità locali che ha provocato una crescita complessiva del livello della cultura. Girando per Cagli la differenza si percepisce anche semplicemente guardando le vetrine dei salumieri o l’arredamento dei bar. C’è una creatività, una ricerca estetica, un gusto per le soluzioni non omologate eccellente.
Lavorando in questa direzione, da tempo, proponiamo al comune di Napoli di modificare la sua politica sulla decorazione delle stazioni del metrò.
Il comune spende milioni di euro per comprare sculture di artisti di grido.
Non sarebbe utile investire parte di quei soldi per organizzare decine di corsi di pittura e scultura, coinvolgendo giovani artisti napoletani e ragazzi delle scuole e ricoprire le stazioni con le opere d’arte di questi neo creativi?
Se vogliamo pensare a una politica di riduzione del disagio giovanile dobbiamo anche dare spazio ai giovani per esprimersi. E dobbiamo avere fiducia che il risultato sarà eccellente perché questi ragazzi hanno molto da dirci se li vogliamo ascoltare!
Dare spazi ai giovani vuol dire dar loro luoghi fisici e mezzi tecnici per lavorare ma anche spostare sul frutto del loro lavoro parte dei mezzi economici che oggi sono destinati alla cultura degli adulti colti.
E’ chiaro che in Italia non avremo molti gruppi teatrali amatoriali fino a quando gli unici spazi disponibili dove recitare sono cinema che non costano meno di 1000 euro a serata e non vi è nessun canale pubblicitario privilegiato per queste iniziative. E’ il contrario di quel che succede a Amsterdam o a Kopenaghen dove è l’amministrazione pubblica a mettere a disposizione spazi a basso costo e a realizzare giornali che informano settimanalmente sugli eventi culturali minori.
Proprio a Kopenaghen ho assistito a una manifestazione straordinaria. Il comune aveva offerto a ogni gruppo artistico della città qualche centinaio di euro in cambio di un’esibizione in strada. C’erano un’infinità di gruppi che si esibivano ad ogni angolo! Cori religiosi, gruppi jazz, ballerini, cantanti, attori, maghi, acrobati, burattinai.
Qualunque tipo di esibizione era ben accetta. Il risultato furono 4 giorni in cui tutta la città era un palcoscenico.
Questo vuol dire dare spazio. Incoraggiare.
Organizzare eventi di questo tipo costa sicuramente meno di uno spettacolo teatrale pomposo prodotto da qualche Teatro Stabile di incompetenti per un pubblico di qualche centinaio di persone.
Ma parallelamente bisognerebbe dare ai giovani spazi anche commerciali per sviluppare la loro capacità di impresa.
Oggi un ragazzo che ha un’idea di impresa non ha modo di mettersi alla prova.
In Inghilterra esistono grandi mercati dove si aderisce a un contratto fiscale collettivo.
Puoi affittare uno negozietto di pochi metri quadrati in questa specie di suk, per 7 giorni. Paghi anticipato l’affitto e una tassa forfettaria. Nessun’altra formalità oltre all’identificazione. Per le formalità è sufficiente meno di un’ora. I ragazzi portano lì gioielli, vestiti, dipinti, propongono massaggi, decorazioni della pelle con l’hennè, soprammobili, sculture, giocattoli.
Diamo modo ai centri culturali di gestire anche spazi dove vendere e sperimentare il valore delle proprie intuizioni imprenditoriali subito e direttamente.
Il recupero dei ragazzi deviati.
La nostra esperienza di questi anni ci porta a pensare che la situazione migliore per lavorare con ragazzi che già hanno avuto comportamenti illegali è di portarli in mezzo alla natura per vivere un’esperienza completamente ristrutturante rispetto ai loro sistemi di valore.
I centri ideali dove svolgere questa attività dovrebbero essere luoghi dove si incontrano persone normali e persone che hanno problematiche diverse. Abbiamo più volte visto come si sviluppano interazioni eccellenti tra disadattati, disabili, ex tossicomani e persone con un disagio mentale.
Immagino strutture come Alcatraz, dove contemporaneamente si tengono corsi per clown indirizzati a educatori, si ospitano famiglie in vacanza e gite scolastiche e persone con diverse disabilità.
Un discorso a particolare andrebbe però sviluppato per casi particolarmente difficili: tossicodipendenti, malati mentali e giovani criminali recidivi disabili non autosufficenti e sprovvisti di sostegno famigliare. In questi casi il modello che più ci convince è quello di creare case-famiglia per gruppi di una dozzina di ospiti con problemi diversi e 6 educatori. L’obiettivo in questo caso sarebbe quello di creare gruppi che via via potessero avere un bisogno inferiore di assistenza diventando autosufficenti anche economicamente. Ovviamente anche in questo caso si dovrebbe avere l’accesso a circuiti commerciali agevolati e protetti come sbocco per i prodotti delle comunità.
Queste case-famiglia poi dovrebbero sorgere come dipartimenti dei centri culturali appena descritti che si occupano della formazione e di offrire percorsi più o meno brevi.
In questo modo chi vivendo da un tempo sufficiente nella casa-famiglia ha sviluppato particolari professionalità può metterle a disposizione del centro sviluppando così sinegie economiche.
Ad esempio alcune persone che hanno usufruito di periodi di ospitalità lunga a Alcatraz hanno poi trovato lavoro all’esterno proprio grazie alla professionalità sviluppata con noi (ad esempio iniziando a lavorare con i cavalli in un centro di ippoterapia dopo aver seguito un percorso di due anni di rieducazione attraverso il lavoro con i cavalli).
Anche qui si tratta di progettare modelli in grado di seminare e far crescere capacità piuttosto che affrontare un’assistenza a perdere dalla culla alla tomba.
Una volta che un cittadino diventa un criminale ce l’hai sul groppo fin che campa. Non converrebbe realizzare un vero tentativo di farlo ragionare?
Questioni collaterali ma essenziali.
Sviluppare una cultura contro la violenza significa innanzi tutto sviluppare un’iniziativa culturale contro la violenza sessuale.
E’ dal disprezzo per la donna che nascono tutte le forme di bullismo e violenza.
E il disprezzo per la donna è collegato alla disperazione sessuale, all’incapacità di vivere un sereno incontro emotivo con un’altra persona.
E questa profonda insoddisfazione sentimentale e sessuale poggia saldamente sull’ignoranza sessuale.
Qualunque delle tante inchieste realizzate negli ultimi anni su questo tema ci mostra un panorama sconcertante di assenza di informazioni essenziali, a partire da quelle sull’igene intima.
La scuola non può continuare a abdicare dal suo ruolo.
So di non toccare un tema facile.
Il mio spettacolo, “Lo zen e l’arte di far l’amore”, girato dalla Rai doveva andare in onda 3 volte in seconda serata. Annunciato non andò in onda e poi venne trasmesso una sola volta, senza preavviso, dopo mezzanotte. Oggi nella Spagna di Zapatero la televisione di stato manda in onda una graziosa signorina che entra in particolari tecnici ben più scandalosi di quelli che trattavo io.
Per portare nelle scuole una vera educazione sessuale (chi la fa? Che cosa dice?) ci vorranno anni e una vera rivoluzione culturale. Se provassimo a trasmettere nelle scuole medie inferiori italiane i video realizzati dal Ministero della Pubblica Istruzione danese avremmo famiglie che corrono a dar fuoco alle scuole.
Ma qualche passo, almeno utilizzando la televisione e i libri di testo, forse potremmo farlo.
Qualunque miglioramento nel settore dell’informazione sessuale e sentimentale si tradurrà certamente in una diminuzione delle tensioni e quindi dei crimini sessuali e della violenza in generale.
Potremmo aggiungere, ma credo sarebbe fantascienza realizzarlo oggi in Italia, che in altri paesi i giovani hanno la possibilità di frequentare particolari ostelli dove è possibile affittare una camera da letto per qualche ora. Dando così modo ai giovani di vivere in un ambiente sicuro, pulito e confortevole le loro prime esperienze sessuali.
La scuola è una fabbrica di disagio.
Moltissimo è cambiato nella scuola italiana dagli anni raccontati nel libro “Lettera a una professoressa”.
Ma la scuola continua a essere ostica e incomprensibile per una parte troppo grande di giovanissimi.
Una recente ricerca ha calcolato che in Italia ci sono più di 700 mila analfabeti totali, un terzo della popolazione non è in grado di compilare un semplice modulo per un vaglia postale e un altro terzo non è in grado di capire le istruzioni scritte per attivare un telefono cellulare.
I criteri per progettare una scuola diversa sono noti e ormai accettati in gran parte del mondo.
Le basi per costruire una scuola che aiuti lo sviluppo della personalità di tutti sono state fissate all’indomani del 25 aprile del 1945 da un gruppo di partigiani di Reggio Emilia che vendendo un carro armato tedesco a una fonderia si procurarono i fondi necessari per aprire l’Asilo Diana.
Oggi il metodo elaborato in quegli anni dal gruppo di Malaguzzi è stato ufficialmente adottato dal sistema scolastico svedese ed è sperimentato in asili di Usa, Canada e Giappone.
In Italia la televisione di stato non ha mai dedicato a questa esperienza lo spazio che meriterebbe.
Il metodo di Malaguzzi parte all’idea di non insegnare ai bambini nozioni ma di incoraggiarli a sviluppare il gusto per il ragionamento e la ricerca.
Ogni anno, parlando con gli educatori, i bimbi tirano fuori una particolare curiosità che matura spontaneamente in discussioni e giochi. Un anno fu scelta una domanda: cos’è l’ombra? E via a sperimentare seguendo la logica dei infantile. Provano a coprire l’ombra, inchiodarla, chiuderla fuori dalla porta. Provano a disegnarla (ma si sposta col sole e non fai in tempo) provano a fare tre ombre con un pupazzo e tre lampade tascabili in una stanza buia. Alla fine ne esce un libro molto divertente, edito dal comune di Reggio Emilia: “Tutto ha un’ombra tranne le formiche”. Così si insegna la creatività. La disciplina, l’impegno. Un anno trascorso occupandosi con tutti i mezzi (teatro, burattini, disegni, sculture, canti) di inventare un luna park per uccellini con fontane. L’anno dopo ci si occupa di scoprire cos’è la pioggia e da dove viene.
Disgraziatamente l’esperienza di Malaguzzi (osteggiata dal mondo culturale e politico italiano) ha potuto svilupparsi solo parzialmente nelle classi successive del percorso scolastico.
Ma anche qui si sa benissimo in che modo potremmo motivare all’apprendimento e all’amore per la cultura e il ragionamento.
La prima critica che dobbiamo muovere alla scuola italiana è di essere avulsa dalla realtà. Un ragazzo esce dopo13 anni di scuola senza sapere nulla del sesso, dei sentimenti, di psicologia e relazioni, di come prendersi cura dei bambini, di come funziona una busta paga, un’assicurazione, un interesse bancario, un mutuo prima casa. Non sanno nulla di tasse, di isolamento termico di una casa, di manutenzione di un’auto o di una caldaia. Non conoscono le elementari precauzioni da prendere quando si fa una cura di antibiotici, non conoscono i loro diritti, non sanno niente dei più diffusi tipi di truffa e raggiro ne di come si svolge una causa civile o penale, cosa sia l’Iva, come si leggano le etichette e le garanzie dei prodotti.
In una parola non hanno studiato nulla di quel che sicuramente gli sarà indispensabile per vivere.
Di tutto questo sui libri di testo non c’è un’unica riga.
Come si può pretendere che gli studenti si appassionino a uno studio completamente avulso dalla realtà?
Daltra parte in tutte le esperienze nelle quali gli insegnanti sono riusciti a agganciare lo studio alla realtà degli allievi si sono ottenuti risultati strabilianti.
Ho verificato quanto alcune storie diventati film ollivudiani non raccontino sogni, grazie ai corsi che ho tenuto in alcune scuole.
Se in una elementare ti presenti vestito da clown e metti in condizione ogni bambino di realizzare il suo burattino e poi recitare uno spettacolo sono tutti felici di collaborare.
In una classe delle medie inferiori ho tenuto un corso di matematica da ridere in dieci lezioni. Indovinelli matematici e geometrici, enigmi logici, messaggi criptati, numeri magici come 11111x11111=123454321. Per arrivare a quanto ti costa veramente una telefonata sul cellulare e capire che la pubblicità si approfitta di te perché non sai calcolare se l’acquisto rateale del computer ti costa una fortuna in interessi bancari.
In un liceo artistico ho tenuto quindici lezioni che avevano come obiettivo realizzare un prodotto artistico e cercare di venderlo.
In tutti questi casi il risultato è stato un grande miglioramento dell’interesse dei ragazzi in tutte le materie. In particolari i risultati più evidenti erano con gli ultimi della classe che improvvisamente si mettevano a studiare al pomeriggio per fregarmi con un loro indovinello matematico.
Se dovessi organizzare una scuola elementare o media inferiore seguendo questo criterio utilizzerei i cortili e gli spazi disponibili intorno alle scuole per creare micro fattorie, con piccoli animali da cortile e orti. E l’obiettivo di far si che ogni allievo possa portare a casa ogni tanto un po’ di verdura e frutta e dire alla mamma: guarda questa l’ho coltivata io per te. Tutte le materie dovrebbero ruotare intorno a attività agricole, o altre analoghe, che permettano ai bambini di appassionarsi. Curando i conigli e le caprette affrontiamo problemi di aritmetica, biologia, clima, conti per l’acquisto dei mangimi e la vendita dei capi in esubero.
E scriviamo la storia della gallina Gina, e andiamo a vedere com’erano le galline 50 milioni di anni fa e come le allevavano gli antichi romani.
Alle elementari poi darei molto più pazio al gioco e alle attività artistiche e invece della solita ginnastica integrerei percorsi di educazione all’auto ascolto.
A partire dalla scuola media inferiore inserirei elementi di maggiore complessità come la realizzazione di grandi progetti: un viaggio, una mongolfiera. Un’automobile solare. Un professore francese ha costruito con i suoi allievi di una terza media inferiore un generatore elettrico che sfrutta la dilatazione di un lungo palo di ferro esposto al sole.
I ragazzi diventano bravissimi quando gli si propone un obiettivo che contiene un’avventura.
I ragazzi hanno bisogno di impegnarsi.
Ma gli insegnanti potrebbero aiutare i ragazzi a rendersi anche utili per i loro genitori. Nella maggioranza dei casi le famiglie italiane non hanno tempo e cultura per valutare alcune scelte come le
tipologie assicurative o i contratti telefonici o bancari. Come abbiamo detto circa 2 famiglie su 3 non hanno proprio la capacità di capire un contratto, percentuali, clausole di esclusione eccetera. Perché non insegnare l’importanza della conoscenza del concetto delle percentuali per aiutare gli allievi a migliorare il contratto del conto bancario di famiglia? Perché non insegnare come trovare su internet l’offerta migliore per un’auto usata?
Un’altra proposta, adatta a ragazzi delle superiori è quella di studiare l’efficienza di semplici ecotecnologie e poi proporne l’uso in casa conteggiando il risparmio ottento dalla loro famiglia. Sostituire una lampadina a incandescenza con una a basso consumo che duri 15 mila ore genera un risparmio di 150 euro.
Sicuramente uno studente che riesce a vedere che ha dato un contributo economico alla famiglia grazie a quel che ha imparato a scuola avrà una grandissimo aumento della propria autostima!
Sono convinto che cambiamenti in questa direzione nella scuola italiana saranno molto difficili. Ma si potrebbe cominciare creando con gli insegnanti un dibattito, promuovendo classi sperimentali (specie nelle aree più difficili), incentivando corsi di formazione per insegnanti che vadano in questa direzione. Ma la Rai potrebbe da subito dare visibilità a quelle scuole che si muovono in questa direzione con trasmissioni che seguano la gloriosa scia di Non è mai troppo tardi che insegnò a leggere e a scrivere a un milione e mezzo di persone. Perché non pensare a trasmissioni che valorizzino raccontino le esperienze delle classi più avanzate? Sicuramente si creerebbe un fenomeno di imitazione. La televisione è potente ma poco sfruttata in Italia per aiutare la diffusione della cultura. Gli esempi all’estero si sprecano. Ci sono ad esempio ben 6 trasmissioni che trattano di libri che vanno in onda ogni settimana in prima serata. In altre nazioni gli esempi di interazione tra lavoro creativo nelle scuole e spazi televisivi si sprecano. E ci sono anche esempi di trasmissioni collegate a internet che, attraverso una selezione basata sul successo in rete, selezionano i lavori da trasmettere sulla rete televisiva.
Anche questo vuol dire dare spazio alle idee dei giovani.
Un altro passo utile in questa direzione sarebbe quello di separare i percorsi didattici degli insegnanti da quelli di chi vuole usare la sua laurea sul campo.
Preparare un fisico che lavori in laboratorio non può essere considerato uguale a preparare un insegnante di fisica. E’ assurdo. Per insegnare agli adolescenti sono necessarie competenze specifiche riguardo la comunicazione, la psicologia dell’apprendimento e la particolare situazione emotiva dei giovani.
Riassumendo, per concludere, credo che siano disponibili tutte le conoscenze necessarie ad affrontare la violenza giovanile con successo e credo che sia indispensabile riuscirci.
Credo anche che sarà difficile fare passi in questa direzione anche se piccoli gruppi, senza sostegno pubblico, da tempo sono impegnati su questa via con successo.
Dare forza a queste iniziative vincenti è l’unico metodo utile a accelerare i tempi ma credo che comunque la società si stia muovendo in questa direzione.
Malauguratamente troppo lentamente rispetto ai livelli di sofferenza che il perdurare di questa situazione provoca.
Ma sperare è umano.
Commenti
Speranza
Jacopo, che belle parole!!! La scuola, si la scuola, i centri aggregativi. Nel mio piccolo vedo che da anni qui, si passa dalla piazza ai bar del lungo mare. Fuori dalla scuola si ozia, e magari si odia la scuola che ti fa studiare. Come si spiega che i bambini prendono i rotoli di carta igienica e la buttano nel wc otturandolo?
Per me è segno di un disagio, di un voler attirare l'attenzione. Se i bambini delle scuole elementari sapessero cos'è una manifestazione e sapessero organizzarsela... penso che in molti scenderebbero a protestare. Com'è possibile che in 5a elementare si stanno studiando gli etruschi? Che razza di programma ministeriali ci sono? In 5a elementare dovrebbero essere arrivati al contemporaneo! Le scuole italiane mi sa che rallentano il cervello, nel età in cui ha solo voglia, forza e energia per stare accellerato. I bambini vengono inquadrati, stabilizzati, ordinati, disciplinati. Repressione che ti porta per dispetto a gettare la carta igienica nel wc.
Una serie riforma delle scuole non può ancora aspettare molto, il tempo passa in fretta e le generazioni si susseguono. I bambini crescono e hanno da ora il diritto a manifestare creatività, ad amare la scuola come casa propria. Il senso civico si impara da piccoli, se non da grandi ci si sentirà giustificati a rubare la stato o a sprecarne i soldi. Piccolo, dispetto piccolo, grande, dispetto grande. I bambini non dovrebbero crescere indispettiti verso le istituzioni, ma se i maestri lo sono, cosa volete che trasmettino sulle loro frequenze?
Percui mi chiedo: quanta voglia ha di cambiare il corpo insegnante?
Ci sono in vista proposte di leggi, che prevedano la riforma delle scuole? Bella l'idea di creare dei forum per discutere le proposte di leggi: sentiamo cosa ha da dire a proposito il corpo insegnante. Inutile cambiare le leggi, se chi le deve applicare non è in grado di farlo. Bisogna sapere cosa c'è nella credenza, prima di decidere cosa e come cucinare.
OOOOOOOOOOOO ma quante cose serie, hai ragione ci vuole il clown fisso in ogni scuola. almeno dieci minuti di risata al giorno per tutti, così come da programma ministeriale. Un sogno... eh... un bel sogno. Speriamo si speriamo. I bambini crescono in fretta e non c'è più tempo per la lentezza, urge capire dove vanno le nostre scuole.
Molti i conservatori, troppi. Che fare?
Continuamo a sperare, che non è solo umano!
Le scuole materne di Reggio Emilia....
Caro Jacopo, hai perfettamente ragione su tutto! Inoltre vorrei portarti una piccolissima testimonianza a conferma di ciò che dici.
Io ho studiato l'opera di Malaguzzi e conosco bene i lavori che citi degli asili nido di Reggio Emilia e posso dire che sono tra le cose più belle che mi sia mai capitato di vedere. Tempo fa, per esigenze professionali (faccio il disegnatore e il grafico), mi è capitato di aver bisogno di idee per una campagna pubblicitaria e di non riuscire ad immaginare nulla (crisi creativa...). Poi mi sono ricordato di quei libri di cui parli anche tu e che raccolgono i lavori dei bimbi di Reggio Emilia... Ebbene, le idee sono arrivate immediate, dopo pochi minuti di lettura... le esperienze di quei bambini avevano una straordinaria valenza pedagogica... ma, ti assicuro (ma certamente lo avrai intuito da te, vedendo quei libri...) una ancor più straordinaria valenza artistica e una originalità che molti artisti contemporanei (figurarsi gli studi pubblicitari...) si sognano! Erano una ventata di artisticità assolutamente fresca e priva di schemi preconcetti.E offrivano migliaia di spunti, di idee, da cui attingere, a cui ispirarsi... come trascorrere una giornata al MoMa di New York!!!
Insomma, ho potuto constatare praticamente quanto bello fosse il lavoro che quei bambini, sollecitati da validissimi educatori (pagati una miseria, vergogna!!!). E quanta ricchezza essi avevano saputo e potuto esprimere se aiutati, coadiuvati, ascoltati e lasciati liberi di esprimersi... Esperienze che, immagino, hanno prima di tutto reso più ricchi quei bambini.
Si impara, dai bambini. Io l'ho imparato quella volta.
Bella foto
Mi dispiaccio di essere così didascalico, perchè riconosco che questo tema è molto serio e importante, ma nonostante io abbia poco tempo non voglio esimermi da fare i complimenti per la foto. La reputo strepitosa perchè riassume l'essenza della purezza-disinvoltura infantile e animale. Ci pone davanti irrimediabilmente ad un risultato: nell'affrontare qualunque problema che riguardi i bambini e gli animali dobbiamo essere consapevoli che loro sono i più indifesi, loro non hanno colpe di nessun genere, noi siamo i responsabili e dobbiamo assisterli.
Steve