Il Cacao della domenica - Scimmie, prostitute divine e imperatori
Inviato da Cacao Quotidiano il Dom, 09/18/2005 - 11:04--- 18 settembre 2005 ---
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La storia della settimana
Scimmie, prostitute divine e imperatori
Capitolo primo
Pianeta terra. Circa 12 milioni di anni fa.
Me lo ricordo proprio come se rivedessi la scena.
Un'improvvisa ondata di caldo torrido aveva reso impossibile resistere nella foresta. Le fonti si erano seccate, nel fiume non c'era piu' acqua. Non pioveva da mesi.
Cosi' il mio branco inizio' a spostarsi seguendo l'odore dell'acqua che di notte veniva portato dal vento. Finche' fu possibile ci spostammo all'ombra degli alberi. Sentivamo le belve enormi e affamate (allora noi umani eravamo piccoli e pelosi) girarci intorno mentre di notte dormivamo sugli alberi.
Per il tempo di un'intera luna continuammo a camminare in quella direzione. Avevamo fame. L'erba era secca e dovevamo contendere il poco cibo con animali di molte specie che si spostavano con noi spinti dal caldo.
Poi una mattina giungemmo sul crinale di una lunga fila di colline e quel che vedemmo dall'altra parte ci getto' nel panico. Una distesa immensa di mozziconi di alberi ancora fumanti. Un incendio aveva divorato la foresta a perdita d'occhio. L'odore di bruciato era intenso e metteva sete. Il ruggito di un leone ci disse che eravamo in pericolo. Come avremmo potuto attraversare quella distesa desolata senza neanche un albero sul quale salire se le belve ci avessero attaccati?
Paura. Non potevamo parlare perche' ancora nessuno conosceva le parole. Ma ci guardavamo in faccia facendo tremare le narici e scoprendo i denti. Poi la scimmia piu' anziana, quella che tutti seguivano, lancio' una specie di sibilo. In altre situazioni avrebbe gridato ma la paura le aveva fatto usare un segnale meno forte. Non voleva farsi sentire dalle belve.
Inizio' a correre. E subito alcuni tra i giovani maschi si buttarono avanti per precederla e proteggere la sua corsa. Dietro la capobranco le altre femmine con al centro quelle con i bambini piccoli in braccio e quelle con le pance gonfie nelle quali altri piccoli stavano crescendo. Ai lati e in fondo i maschi adulti. E intorno, al limite esterno del gruppo, i maschi piu' giovani. Correvamo in linea retta, per quanto il terreno ce lo consentiva.
Poi una folata di vento umido, incontro al quale stavamo viaggiando, ci porto' l'odore delle grandi tigri con i denti enormi.
La capo branco devio' la sua corsa di lato, verso un punto dove il terreno pareva piu' accidentato. Buona parte dei maschi si sposto' a difendere il gruppo creando uno sbarramento di corpi.
Ma il leggero vento e l'odore del legno ancora fumante ci impedirono di sentire per tempo che anche davanti a noi si trovava una tigre in agguato.
Fu il giovanissimo scimmiotto con la macchia bianca sul mento a sentire la belva e a gridare. Si blocco' terrorizzato mentre la capobranco sterzo' prendendo una direzione parallela a quella che avevamo seguito arrivando in quella valle. A quel punto la tigre era davanti a noi e altre avanzavano verso il fianco del gruppo che stava cambiando direzione.
I maschi piu' forti e i piu' giovani si raggrupparono creando una barriera e iniziarono a lanciare mozziconi di legno facendo un fracasso enorme con le loro urla.
Li raggiunsi e continuammo a lanciare bastoni intanto che arretravamo lentamente dando cosi' istanti preziosi alle femmine, ai bambini e ai maschi anziani.
Eravamo riusciti a disorientare le tigri che restavano lontane. Ma per quanto sarebbe durato?
Il gruppo correva salendo un declivio e questo rallentava la loro corsa. Specialmente per le donne che erano gonfie di una nuova vita e quelle che avevano i piccoli in braccio o sulla schiena.
Il maschio piu' forte del branco aveva afferrato un grosso bastone e lo teneva con una mano mentre con l'altra lanciava legni piu' piccoli.
Agitando il bastone incito' gli altri ad imitarlo.
Un giovane con la criniera scura e una cicatrice sul braccio, che gli era stata lasciata proprio da una tigre e sulla quale non crescevano peli, raschiando il terreno con le mani trovo' un sasso e lo lancio' contro la tigre piu' vicina colpendola proprio sul naso. Quella ebbe un grido di dolore e tutti ci sentimmo rinfrancati e lanciammo grida di entusiasmo.
Quando giungemmo anche noi in cima al crinale vedemmo il resto del branco che discendeva velocemente, tutt'intorno c'erano prati e boschi inceneriti e tronconi di alberi che non potevano offrirci alcun riparo, e oltre, a circa duecento metri di distanza, uno stretto specchio d'acqua che si allargava diventando immenso.
Le donne stavano correndo in quella direzione. Forse era una via di salvezza. In una decina restammo. Gli altri si ritiravano al galoppo.
Noi aspettammo che le tigri arrivassero a tiro poi cominciammo di nuovo a lanciare sassi e legni gridando.
Ancora una volta riuscimmo a rallentarle.
Ma, a poca distanza dalla riva, una giovane belva, un maschio, sbuco' da un cespuglio sopravvissuto all'incendio. Era a una ventina di metri dalle donne. Tutti i maschi anziani erano in fondo al gruppo e nessuno copriva il fianco. La tigre correva a velocita' impressionante. Una giovane si mise a gridare per attirarlo su di se' per evitare che si buttasse sui bambini. Che proprio in quel momento entravano nell'acqua provocando grandi schizzi.
La ragazza che era piu' vicina alla bestia rallento'. Quando fu certa che la tigre si stava lanciando su di lei riprese a correre cercando di raggiungere l'acqua alta. Fu fortunata perche' il fondale scendeva ripido e dopo pochi balzi dovette levarsi in piedi per continuare a toccare. A quel punto l'animale non aveva piu' presa e dovette fermarsi. Le tigri non sanno attaccare e nuotare contemporaneamente.
Quindi il feroce predatore si giro' guardandosi intorno. E vide che noi, a quel punto eravamo sulla spiaggia. E venne verso di noi. Ma non aveva calcolato che la' era pieno di sassi e quando lo vedemmo avanzare verso di noi iniziammo a lanciarli. Questo diede il tempo anche a noi di buttarci in acqua e raggiungere le donne che stavano immerse fino alla bocca con i piccoli attaccati alla pelliccia della testa.
Otto tigri ci guardavano dalla spiaggia. Avevano compreso che non potevano darci la caccia in acqua.
Eravamo salvi.
Ma non del tutto.
Dopo un po' ci rendemmo conto che le tigri ci stavano assediando. Alcune si erano sdraiate per terra per riposarsi. Avevano l'aria di poter aspettare li' all'infinito.
E noi avevamo sete. Ma non era possibile bere quell'acqua perche' era salata.
E ben presto avremmo dovuto dormire.
La capobranco inizio' a camminare verso una collina che si vedeva in lontananza.
Dovevamo trovare degli alberi lungo la riva e salirci sopra. Questo lei lo aveva capito. Noi avevamo solo paura. I suoi peli grigi si erano bagnati e sembravano piu' scuri. Lei pareva cosi' piu' giovane e forte.
Ci muovevamo lentamente perche' eravamo stanchi e l'acqua rallentava i nostri movimenti e li rendeva faticosi. Ma fino a che restavamo li' non ci avrebbero mangiati. Le tigri, pigramente, si spostavano anch'esse mantenendosi sulla riva, sempre alla stessa distanza da noi. Si leccavano i baffi. Ma non ci avrebbero presi. Di questo eravamo quasi sicuri.
Camminammo fino al tramonto, l'acqua era calda. E continuammo a camminare per ore quando ormai non si vedeva quasi la spiaggia sassosa. Poi iniziammo a scorgere sulla riva grossi macigni e quasi contemporaneamente le nostre zampe posteriori andarono a sbattere contro rocce che si trovavano sul fondo e che in certi punti quasi affioravano. Ci fermammo li' a riposarci, in alcuni punti ci si poteva quasi sdraiare. Ci ammonticchiammo sugli scogli affioranti abbarbicandoci e aggrovigliandoci per trovare la posizione piu' comoda per riposare. I piccoli si addormentarono quasi subito stremati dalla paura e dalla fatica. Sentivamo le tigri muoversi sulla riva ma non le vedevamo.
Aspettammo cosi' molte ore fino a quando il sole non rischiaro' di nuovo il cielo.
Avevamo fame e sete. Una delle giovani femmine cercando un sasso che voleva lanciare contro le tigri trovo' una conchiglia incollata a uno scoglio. La stacco', si accorse che era semiaperta, con le unghie la apri' del tutto, guardo' il mollusco roseo all'interno e si chiese se era buono. Lo assaggio' e scopri' che era gustoso e dissetante. Inizio' a staccare altre conchiglie ma queste erano chiuse. Un giovane vicino a lei aveva un sasso in mano. Lei cerco' di prenderglielo ma lui fece resistenza. Allora lei ringhio' e lui accetto' di darle la pietra. Lei si avvicino' a una roccia che, grazie alla bassa marea, ora affiorava. Usando la pietra ruppe la conchiglia e mangio' il mollusco che era dentro. Ando' avanti cosi' per qualche minuto nutrendosi con il contenuto delle conchiglie. Poi la capobranco si avvicino' a guardarla e quando lei ruppe un'altra conchiglia la prese e mangio' il mollusco. Poi con suoni appropriati incoraggio' la giovane scimmia a continuare a rompere conchiglie e ne diede una da mangiare a una femmina gravida, la sua figlia piu' grande.
Piano piano tutte le femmine e i piccoli iniziarono ad avvicinarsi per avere del cibo. Un maschio adulto trovo' un'altra pietra e si mise a rompere conchiglie. Dopo circa un'ora avevamo tutti mangiato una manciata di molluschi. Poi seguendo la capobranco cominciammo a muoverci. Sapevamo che le tigri erano ad aspettarci sulla riva. Sentivamo a tratti il loro odore ma non le vedevamo.
Ci spostammo per tutto il giorno, andando dove l'acqua era piu' bassa ma restando sempre in una posizione che ci avrebbe consentito di raggiungere l'acqua alta al minimo pericolo. A meta' pomeriggio avevamo una sete terribile. La costa era una distesa desolata di cenere. Nel cielo non c'era odore di pioggia. Poi sentimmo che l'acqua diventava piu' fresca e dopo poco vedemmo in lontananza un fiume che si buttava nel mare. Acqua da bere!
Il fiume era ridotto a un rigagnolo. Ma c'era abbastanza acqua per dissetarci. Ci avvicinammo ma era chiaro che le tigri potevano approfittarne e attaccarci mentre stavamo bevendo nell'acqua bassa.
Noi maschi adulti andammo in avanscoperta. Il fondo era cosparso di pietre trascinate dalla furia del fiume. Le raccogliemmo pronti a batterci con le tigri. Avevamo bisogno di bere. Ci seguiva un bimbetto spelacchiato. Non era mai stato molto in salute. Invece di raccogliere un sasso raccolse una grande conchiglia, ci guardo' dentro per vedere se c'era un mollusco da mangiare ma ne usci' solo dell'acqua. Se la porto' dietro. Forse voleva lanciarla contro le tigri che non si vedevano. Arrivati all'acqua dolce nella quale affondavamo fino al ginocchio, ci chinammo a bere tenendo sempre d'occhio la riva. E proprio in quel momento spuntarono le tigri.
Dovemmo ritirarci precipitosamente. Ma il giovane con la conchiglia fece tempo a riempirla di acqua dolce e quando tornammo all'acqua alta, in salvo, bevve quell'acqua dalla conchiglia come eravamo abituati a fare con le noci di cocco spaccate. La capobranco si avvicino' gli tolse la conchiglia e se la porto' alla bocca. Bevve. Poi resto' a guardare a lungo le tigri, l'acqua del fiume, la conchiglia e il ragazzo spelacchiato. Dopo un po' provo' a bere ancora ma l'acqua era finita.
Una femmina adulta che non faceva parte della famiglia della capobranco si avvicino' e prese la conchiglia. La capobranco non si oppose. Era vuota. La femmina se la porto' alla bocca e la lecco'. Poi inizio' ad avanzare verso la foce del fiume tenendo tutto il corpo immerso nell'acqua e solo la testa fuori. Le tigri stavano sul bagnasciuga. La femmina si fermo' immobile. Aveva paura. Dopo molto tempo le tigri furono attirate da un rumore e si buttarono in quel che restava della foresta bruciata sparendo dietro un dosso.
Allora la femmina striscio' fino all'acqua dolce. Bevve a lungo e poi torno' indietro. Intanto alcune femmine stavano anch'esse avvicinandosi per dissetarsi, scortate dai maschi adulti che avevano gia' bevuto.
La femmina con la conchiglia piena di acqua dolce, torno' dove l'acqua, era piu' profonda e diede da bere a sua sorella che aveva il ventre grande e a uno dei suoi figli piccoli. Poi torno' a riempire di nuovo la conchiglia.
Poi vicino a riva trovammo altre conchiglie. Le rompemmo con i sassi e mangiammo di nuovo. Ora stavamo bene. Riprendemmo la nostra marcia. A poca distanza dal fiume trovammo altri scogli che spuntavano dall'acqua alta (ma non troppo da non toccare). Su uno di questi una mareggiata aveva depositato due grossi tronchi bianchi. Ci sistemammo li'. Era il posto ideale. Si stava all'asciutto, comodamente distesi sui tronchi e il mare ci proteggeva dalle tigri. E su quegli scogli c'erano molte conchiglie, l'acqua dolce era vicina. Stare a un passo dall'acqua era una situazione ideale visto il caldo terribile di quel tempo. Eravamo di nuovo al sicuro.
Restammo li' per molti anni. La foresta inizio' a ricrescere e a dare nuovamente frutti. Si riempi' di nuovo di insetti e larve.
Le femmine restavano per lo piu' in acqua o sulla piccola isola di tronchi. Il ragazzo spelacchiato divenne un uomo ma continuo' a portare sull'isoletta conchiglie piene d'acqua. Quando le tigri o altre belve si facevano vedere lanciavamo loro sassi e grosse conchiglie. Ma ben presto non le conchiglie finirono e cosi' iniziammo a raccoglierne nelle nostre rapide incursioni sulla terraferma alla ricerca di cibo. Ammucchiavamo sull'isola i sassi e anche grossi bastoni. Cosi' potevamo lanciarli e avere piu' spazio per dormire.
I membri del nostro branco diventarono vecchi e altri nacquero. I vecchi morirono e i piccoli crebbero fino ad avere dei figli.
Passarono i secoli e i millenni.
Imparammo a trasportare piu' cibo usando conchiglie di notevoli dimensioni. Ma erano pesanti, cosi' scoprimmo un nuovo impiego per grandi foglie e zucche secche e vuote. Imparammo a mangiare le alghe, i granchi e anche grosse aragoste.
Dopo millenni, che diventarono milioni di anni, eravamo molto cambiati. A furia di stare nell'acqua avevamo perso la coda e il pelo e avevamo la pelle liscia e nera. Solo sulla testa conservammo i peli che diventarono sempre piu' lunghi perche' i piccoli ci si aggrappavano per non affondare nell'acqua. I maschi conservarono anche i peli su buona parte del viso. Ci abituammo a stare eretti.
Il naso cambio' la sua forma: ora l'acqua non entrava piu' tanto facilmente e grazie alle labbra la bocca poteva chiudersi alla perfezione. Alle donne si svilupparono i seni, cosi' i piccoli potevano succhiare meglio stando nell'acqua e il latte restava sempre caldo.
Dieci milioni e mezzo di anni dopo avevamo imparato a tener lontane le belve con bastoni infuocati. Lanciavamo con grande potenza pietre bucate, infilando un pezzo di liana nel foro ed eravamo cosi' capaci di far fuggire tigri e leoni.
E avevamo imparato a rendere commestibile la carne di pesce pulendola dalle squame, tagliandola a strisce usando conchiglie affilate. E avevamo scoperto come rendere teneri i pesci tenendo la loro carne, tagliata, per un giorno sotto una pesante pietra. Avevamo iniziato a farlo per evitare che i gabbiani ci rubassero i pesci che avevamo catturato con le mani o trovato lungo la spiaggia intrappolati in una buca dalla bassa marea.
Eravamo ormai molto numerosi, distribuiti per un tratto di costa cosi' lungo che si impiegavano molte lune a percorrerlo a piedi.
Poi un giorno l'acqua inizio' a raffreddarsi.
Allora dovemmo ritornare a vivere sulla terra. Ma vivendo nell'acqua e mangiando pesce e molluschi eravamo diventati grossi e pesanti e non eravamo piu' molto abili ad arrampicarci sugli alberi.
Fine primo capitolo. Nel prossimo: Sesso selvaggio con i Neanderthal.
P:S: La teoria del passaggio acquatico e' espressa nel libro "L'origine della donna" della Elaine Morgan edizioni Einaudi. Un libro appassionante come un romanzo. Purtroppo fuori commercio, lo trovate in biblioteca.
Jacopo Fo