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Il nero è un selvaggio

Cosa hanno fatto i neri mentre noi inventavamo balestre, antibiotici, razzi, romanzi, telefoni, sinfonie, televisori? Cosa facevano mentre noi ci spezzavamo la schiena a costruire strade, ponti, cattedrali, pitture meravigliose?

Se ne sono stati lì per migliaia di anni, nei loro tukul, nelle capanne di fango, a mangiare quel che cresceva sugli alberi, ingannando il tempo con danze sfrenate, oscene, agitate dai loro tamburi battuti in modo sempre uguale.

L’Africa nera non ha dato nulla al mondo e adesso vengono qui da noi a pretendere di avere il nostro stile di vita.

Un discorso che non fa una piega. Ma non è vero.

L’Africa nera è la fonte dello sviluppo umano, il motore primario del nostro progresso.

Innanzi tutto oggi è ormai provato dall’analisi del dna di decine di migliaia di esseri umani in tutto il mondo, che è l’Africa centrale il luogo dove un gruppo di ominidi ha compiuto il balzo evolutivo diventando homo sapiens. Discendiamo tutti da un gruppo di neri che abitavano l’area dei grandi laghi centomila anni fa.

Questi primi esseri umani hanno elaborato le soluzioni tecnologiche che hanno permesso un progressivo aumento della popolazione. Il linguaggio, il fuoco, gli strumenti di pietra, le asce, le lance, i raschietti, i contenitori, la lavorazione delle pelli, le corde, i cesti, le capanne, sono le invenzioni che hanno cambiato la condizione umana e allungato la vita. È la nascita della cultura stessa e dei racconti ad essa legati, il grande salto tecnologico che dobbiamo a questi nostri progenitori.
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