Dove si narra di donne, di costate d’agnello, di comunisti indomiti e di foschi traditori.
Oggi voglio raccontarti una storia d’amore.
Ma attenzione, non si tratta di una fuga dalle tragiche urgenze della crisi economica, delle guerre e dei disastri vari che affliggono in particolare l’Italia.
Anzi! Si tratta di entrare a piedi giunti nel centro del problema, che non e' Berlusconi ma il progressista medio, che lo critica a parole senza rendersi conto della propria complicita' esistenziale, di stili di vita che ne fanno un sostenitore oggettivo dell’Italia dello Sfascio.
La crisi italiana e' principalmente una crisi morale, etica, sentimentale, confusionale.
Che cosa vale la tua battaglia contro Berlusconi se non sai baciare?
Come possiamo affrontare i tempi bui, e uscirne, se ancora al primo posto dell’agenda politica della Sinistra non vediamo gli abbracci?
Il personale e' politico, gridavano le femministe negli anni settanta, ma ancora il concetto non e' penetrato nei meandri della mente collettiva dei progressisti.
Se la Dea me ne dara' possibilita' e i lettori mi sosterranno, pubblichero' da oggi una serie di racconti su alcuni fatti gravissimi avvenuti tra la famiglia Trifacchia e la famiglia Manoni. Si trattera' di questioni scabrose, risse, tradimenti che si stagliano sullo scenario di Casa Del Diavolo, ameno paesino lungo la via Tiberina che da circa 2000 anni porta da Roma a Ravenna e viceversa.
Ecco, finita la premessa inizia la storia.
Le urla di Cesira Trifacchia si levavano alte superando il giardino di fronte alla bifamiliare a due piani circondata da olivi e cipressi. Stava urlando con sua figlia Manuela perche' la sera prima, sabato, era tornata a un’ora scandalosa. Manuela era abituata a quelle sfuriate e aveva deciso di rimanere ferma nella sua posizione. Aveva 18 anni e tornava a casa quando le pareva. Tanto piu' che con Francesco erano fidanzati in casa e anche se il matrimonio non era stato fissato erano comunque li' li' per sposarsi.
Ma le urla della Cesira, pur potenti, furono sovrastate da quelle di Maria Pantalia, oriunda di Palermo: “Cesira: fuggi di chesa che s’ammazzeno al barre! Il to’ marito con Roberto Manoni! Corri!”
Maria aveva cercato di naturalizzarsi umbra, la sua pronuncia dell’idioma locale era molto approssimativa ma quantomeno aveva imparato le parole. La vulgata di queste parti, infatti, prevede l’utilizzo di termini apparentemente italiani, piu' o meno, ma con significati piuttosto traslati.
Fuggire di chesa non vuol dire infatti fuggire di casa, bensi' uscire di casa.
Una chesa scaricheta e' una casa diroccata, il capocollo e' la coppa e la coppa e' la lonza.
Mollare vuol dire bagnare e non lasciare. Far l’amore significa fidanzarsi in casa. Niente di terribile comunque. Al di la' di singole situazioni come quella dell’Antonio, immigrato da Milano in cerca di aria pura e rapporti umani, che facendo il muratore e colpito da uno strappo muscolare alla schiena mentre sollevava una trave con un altro edile, si mise a gridare: “Molla! Molla!” per via che non riusciva piu' a reggere la trave per il dolore ma non poteva lasciarla cadere senza rischiare di mettere a repentaglio la sicurezza psicofisica del suo collega. Solo che l’altro sentendo il milanese urlare MOLLA si chiedeva: “Checchezzo devo molla' che qui ‘n c’e' niente da bagnare?!?”
Quando la Cesira giunse trafelata al bar Pannacci trovo' il marito che si fronteggiava col cognato con una decina di uomini e donne che li tenevano separati mentre si buttavano addosso una serie di insulti reciproci e a tutte le divinita' dell’Olimpo cristiano, di quelli che se ti sente il parroco poi ti scomunicano.
Non che il parroco, don Michetta, ci passasse spesso per Casa del Diavolo. Giusto la domenica per la messa, che lui era parroco di Ponte Pattoli, posto rispettabile, che quando gli avevano costruito la chiesa a Casa del Diavolo l’aveva presa come un’offesa personale. Una chiesa a Casa del Diavolo era una cosa intollerabile. Non solo era un paesino con un nome blasfemo, ma per giunta era abitato da gente che per l’85% votava comunista. Il resto erano socialisti. Per questo alla fine di una diatriba pluriennale i casadeldiavolesi si erano accordati di costruire la chiesa cento metri oltre il cartello comunale che sanciva la fine del paese. Quindi dal punto di vista prettamente cartografico a Casa del Diavolo non esisteva nessuna chiesa. E l’ortodossia era salva.
Comunque la Cesira, donna solida, entro' nel bar come una furia e afferro' il marito per la giacca iniziando a tirarlo con la determinazione cieca di un trattore a cingoli da 80 cavalli. Gli parlo' in italiano perche' tutti capissero: “Vieni a casa che mi fai fare un figura da zingari!” Il marito, Ildebrando Trifacchia, lancio' un ultimo potente: “Ti spacco la faccia!” seguito da osservazioni indecorose sulle parti intime e la moralita' in campo sessuale della Madonna, di Santa Rita da Cascia, Santa Teresa d’Almaviva, San Pancrazio Martire (che a suo dire aveva anche problemi di identita' sessuale oltre che di martirio) Santa Teresa di Gallura e San Guinario. Ma forse non disse San Guinario ma sanguinario non si sa bene riferito a chi.
Questo per via che Ildebrando Trifacchia era un professionista della bestemmia, uno che andava su internet per documentarsi e trovare nuovi santi da mandare a quel paese. Una specie di missione laica in difesa della Costituzione. Piu' o meno.
La ragione del contendere, ormai era risaputo, riguardava due questioni che si confondevano da tempo. Innanzi tutto Ildebrando Trifacchia era convinto, come molti in paese, che Roberto Manoni avesse avuto una tresca clandestina con Rita Sfarzi, una trentenne abbronzata con la lampada, grande forchetta che lavorava come operaia al maglificio. E Ildebrando, che era il fratello di Barbara Trifacchia che era la moglie del Manoni Roberto, aveva preso la cosa come uno sgarro alla famiglia.
L’altro motivo dei continui scontri tra i due era la Casa del Popolo. Il Partito Comunista era diventato DS e Ildebrando, con altri, aveva seguito gli scissionisti di Rifondazione che volevano continuare a essere comunisti. Ma la Casa del Popolo, che era stato costruita lavorando al sabato e alla domenica, era restata ai DS. Allora Ildebrando e gli scissionisti si erano rimboccati le maniche e avevano tirato su un’altra casa del popolo. L’avevano chiamata Casa dei Popoli per sottolineare che il nuovo partito scissionista aveva idee piu' ampie del vecchio PCI.
Roberto Manoni aveva anche lui aderito a Rifondazione Comunista. Ma poi anche il partito di Bertinotti si era scisso e Ildebrando era confluito nei Comunisti Italiani, perdendo cosi' per la seconda volta la casa del popolo. Manoni invece era restato con Rifondazione ed era diventato responsabile della Casa dei Popoli.
Quando Ildebrando rientro' presso la sua abitazione e la Cesira chiuse la porta, si trovo' a doversi sorbire una potente sfuriata a base di NON NE POSSO PIU’ DI QUESTE SCENE DA BEDUINI! MI FAI VERGOGNARE CON TUTTO IL PAESE! DOMANI CI VAI TE A FARE LA SPESA.
Questo detto in umbro stretto che e' una cosa che non saprei neanche trascrivere.
E Ildebrando Trifacchia capi' che avrebbe passato una pessima serata. A quel punto la figlia Manuela decise che era meglio andarsene al bar a chiacchierare con le bariste piuttosto che sorbirsi la guerra mondiale quotidiana tra i genitori.
Si infilo' il cappotto ma non fu abbastanza veloce da evitare che la madre la investisse con la seconda puntata delle recriminazioni sui suoi orari amorosi e sul fatto che il marito se fosse stato un padre l’avrebbe gia' ammazzata. Ildebrando pungolato dalla moglie muggi' come un animale ferito una cosa tipo: “E te con quel deficiente del tuo fidanzato se scopro che e' vero che vi fumate quella merda gli spacco la faccia a lui e a te ti butto in strada e pensa a trovarti un lavoro!”
Manuela ebbe uno sbocco di ira che stento' a controllare registrando una fitta alla gastrite. Ma se avesse detto quel che le veniva da dire probabilmente avrebbe rimediato un paio di ceffoni. Il fatto e' che lei il lavoro ce l’aveva, ma per il padre era inconcepibile che fosse pagata per andare a fare il pagliaccio negli ospedali per divertire i bambini. “NON SARA’ UN LAVORO VERO QUELLO LI’?!?…”
Ma la rabbia per l’impotenza di non potergli rispondere a tono la indusse a prendere una decisione terribile: si sarebbe iscritta a Rifondazione Comunista e si sarebbe candidata alle elezioni comunali. Suo padre avrebbe visto di cosa era capace e avrebbe imparato a non romperle le palle. Che tra l’altro che lei si facesse le canne era una sua fissa che a lei dava fastidio qualunque cosa, anche il vino. Ma lui si era convinto che le nuove generazioni erano bacate e non avevano voglia di lavorare e non c’erano cazzi.
Quando Ildebrando, due giorni dopo, seppe da Tregambe (che era un soprannome dovuto alla particolare misura della dotazione di Paolo Tamanti) che la figlia Manuela si era segnata sulla lista dei candidati a Rifondazione, prima penso' di ucciderla, poi di uccidere Manoni, poi di suicidarsi col gas e far saltare cosi' tutta la villetta e magari demolire nello scoppio anche quelle dei vicini.
Poi gli prese un infarto e lo portarono all’ospedale dopo avergli dato le scosse a bordo dell’ambulanza come nei telefilm.
La Cesira disse alla figlia una sola cosa, come se fosse una nota a margine: “Se non ti cancelli dalla Rifondazione ti cavo gli occhi.” Che era quando non gridava che la Cesira diventava pericolosa.
Allorche' Manuela capi' che era andata oltre il segno e non sentendosela di ammazzare il padre di dolore si ando' a cancellare e per rappezzare lo scandalo si mise d’accordo con il cognato Roberto Manoni e raccontarono che era stato solo uno scherzo, che Manuela non era candidata sul serio.
Che la moglie di Roberto Manoni, Barbara Trifacchia, sorella di Ildebrando, d’altra parte aveva lavorato di fino sul consorte. Donna magrolina, per niente dotata di corporatura come il fratello, aveva pero' uno spirito d’acciaio, aveva lottato con la disperazione per salvare il primogenito da una brutta malattia, appariva di indole mite, ma quando si metteva in testa una cosa era capace di tirare giu' i paracarri a testate da Casa del Diavolo a Citta' di Castello.
E Barbara aveva detto al marito: “Ricomponi questa storia con mio fratello che se quello mi muore io poi ti taglio la gola mentre dormi”.
Quindi andarono quasi in corteo all’ospedale, Manuela, Roberto e Barbara a raccontare la versione dello scherzo. Alla quale peraltro Ildebrando non credette ma accetto' con un mugugno le rose rosse (12) che Manoni gli portava in segno di pace comunista. “In fondo siamo tutti dalla stessa parte… Il nemico e' Berlusconi.” Aveva detto Manoni guardando la moglie in cerca di approvazione e perdono.
Poi la Cesira, visto che Ildebrando continuava ad avere la faccia da lebbroso bastonato, per tirarlo un po’ su gli disse: “Dai, Ildebrando, che poi adesso lo puoi fare il tuo laboratorio, con la nuova legge che ha fatto Berlusconi possiamo costruire 30 metri quadrati, cosi' non ti fai piu' il sangue cattivo con quelli del Comune.”
Pensava di portare un po’ di sollievo all’anima in pena del marito ma ottenne l’effetto contrario. Ildebrando ringhio': “E io dovrei fare il mio laboratorio con una legge truffa dei fascisti? Ma neanche se crepo!” E poi gli ando' di traverso la saliva e quasi si strozzo', dovette arrivare l’infermiera e dargli dei pugni sulla schiena che avrebbero abbattuto un elefante africano e poi mando' via tutti.
Che la storia del laboratorio di Ildebrando era argomento dolente. Infatti Ildebrando si riteneva vittima di un sopruso. E la cosa gli doleva particolarmente per via che il comune era in mano alla sinistra e all’edilizia c’era addirittura un assessore dei Comunisti Italiani, cioe' del suo stesso partito. Ma, ahime', era un grandissimo stronzo. Infatti Ildebrando aveva in effetti terreno sufficiente per reclamare una concessione edilizia per un annesso di 30 metri quadrati ma una successiva delibera comunale, proposta da Rifondazione per motivi misteriosi, aveva determinato che se un podere era attraversato da una strada comunale le cubature edificabili alle quali le due parti del terreno davano diritto non erano cumulabili. Parole che a Ildebrando per pronunciarle faceva male la bocca. Ildebrando bestemmiava chiedendo che danno potesse mai fare il suo laboratorio, intrappolato come dalle sabbie mobili da domande, autocertificazioni, progetti, marche da bollo e studi sull’impatto ambientale costosissimi. “E’ tutta una mafia di geometri” diceva. “Checcazzo c’e' da studiare sull’impatto ambientale di 30 metri quadrati? Che le formiche cambiano strada?”
Ma l’ingegnere del Comune, un tipo segaligno con gli occhiali da sole graduati, gli aveva spiegato: “Tutto ha un impatto ambientale. Abbiamo bisogno della perizia di un tecnico.” Ci studiavano la notte per far buttare via i soldi alla gente. E lui aveva speso 7000 euri uno sull’altro per una relazione tecnica piena di stronzate che non diceva un cazzo. E cosa avrebbe potuto dire? E comunque l’autorizzazione edilizia non si era sbloccata. Intanto l’ingegnere con gli occhiali da sole aveva fatto deviare e asfaltare la strada comunale per Castiglione e costruire un ponte a 4 corsie coi soldi pubblici per rendere meglio raggiungibile la sua villetta composta da due costruzioni. La strada ci passava in mezzo e nonostante ci transitassero solo 10 macchine al giorno a lui dava fastidio, e anche il ponticello preesistente, largo 6 metri non gli pareva decoroso. Conto dell’opera piu' o meno 400mila euro. E Ildebrando invece non poteva costruirsi il suo laboratorio che dalla strada non si vedeva neanche perche' aveva piantato una fila di cipressi. Bastardi di merda. Ed erano pure tutti di sinistra. E adesso arrivava Berlusconi e gli risolveva il problema? E lui avrebbe dovuto piegarsi a ringraziare una legge di Berlusconi, cosi' al bar il Professore gli avrebbe detto: “Allora Trifacchia, ho visto che stai facendo andare la betumiera e finalmente costruisci il tuo laboratorio… Pero' allora oggi devi brindare alla destra che se era per i comunisti tuoi compari col cazzo ch’el costruivi.”
No, piuttosto dava fuoco a tutta la casa.
Ildebrando torno' a casa dall’ospedale dopo 10 giorni. Aveva perso 6 chili ed era sciupato.
Ma almeno sua figlia non era piu' candidata con la Rifondazione.
E per dare un contentino al papa' aveva anche fissato di sposarsi a settembre. E la figlia gli aveva anche giurato che non aveva mai fumato la marijuana.
E poi alla fine aveva deciso che andassero al diavolo tutti i falsi compagni del Comune e quello stronzo del Professore, che lui il laboratorio lo voleva e se per costruirlo avesse dovuto usare una legge fatta dai fascisti lo avrebbe fatto. In fondo anche i fascisti, ogni tanto possono fare una cosa giusta per sbaglio. Se poi qualcuno con quella legge di merda ci faceva un palazzo sul mare non era mica colpa sua, di Ildebrando. Una legge sbagliata si puo' usare in modo giusto o in modo sbagliato. Lui era nel giusto. Era il mondo che era sbagliato.
Poi una notte sua moglie Cesira lo senti' piangere nel sonno, lo abbraccio' e gli disse dolcemente: “Dai Ildebrando, che poi tutto si sistema…”