Uomo: cosa succede se mentre fai pipì prendi la mira?
Inviato da Cacao Quotidiano il Dom, 11/16/2014 - 06:54
(A proposito del rapporto tra pensiero, azione e benessere del corpo)
Qualche anno fa l’associazione urologi inglesi lanciò una campagna di prevenzione dei disturbi prostatici molto particolare.
Distribuirono dei sacchetti che avevano lo scopo di finanziare la ricerca. Sacchetti che curiosamente contenevano delle palline di circa un centimetro di diametro composte di una sostanza galleggiante ed effervescente. L’uso era gettare una pallina nel wc e poi fare pipì cercando di colpirla provocando il vistoso aumento dell’effervescenza e il rapido annichilimento della suddetta pallina galleggiante.
Lo scopo era più di comunicazione che di sostanza: le palline avevano un costo proibitivo e solo pochi miliardari avrebbero potuto utilizzarle quotidianamente.
L’obiettivo dell’operazione palline era di rendere comprensibile una delle più recenti conquiste della ricerca urologica: la scoperta che l’uomo, per atavici motivi, quando cerca di colpire un bersaglio facendo pipì e può osservare l’effetto devastante del proprio getto urinico, prova una grande soddisfazione limbica e al contempo modifica il modo in cui utilizza la muscolatura vescicale, compiendo così una benefica ginnastica che tonifica le fibre; detta ginnastica quindi, andando a sciogliere contratture muscolari, migliora la circolazione sanguigna, ultimo effetto di codesta pratica è di conseguenza la riduzione di fenomeni come l’ipertrofia prostatica.
Questa scoperta, non dando la possibilità concreta di pubblicizzare un nuovo prodotto, non ha avuto una forte promozione tra gli addetti ai lavori. Nessuna casa farmaceutica ha valutato potesse essere remunerativo produrre simili palline e sguinzagliare migliaia di informatori medici, armati di viaggi premio alle Maldive, alle costole dei dottori della mutua.
Resta il fatto che si tratta di uno dei cippi che indica un interessante confine della ricerca clinica, quello del rapporto tra le modalità delle nostre azioni, la nostra partecipazione emotiva a queste azioni e il buon funzionamento del nostro organismo.
Potremmo parlare di intenzione/risultato di un’azione oppure di submodalità emotivo-simbolica di quel che fai.
Questo dipartimento della neurofisiologia comprende anche il modo di pensare. Ormai si sa che certe idee negative fanno male alla salute ma è importante comprendere che l’effetto del pensiero diventa realmente potente perché determina non solo idee ma modi di compiere un’azione. La dottoressa Fabrizio, docente all’Università La Sapienza di Roma, ha a lungo sperimentato un metodo efficace contro alcuni tipi di malanni cronici, ad esempio l’emicrania con aura, incentrato sulla presa di coscienza del malato della qualità di una serie di gesti quotidiani che diventano potenti proprio perché continuamente ripetuti.
Chiaramente questa osservazione (e il successivo cambiamento della submodalità) va applicata a numerose azioni.
Ad esempio la Fabrizio lavora sul modo di sedersi. Ha un certo peso il fatto che una persona non abbia l’abitudine ad accomodarsi al meglio sopra una sedia, appoggiandosi allo schienale; è negativo se si siede come se fosse pronta ad alzarsi subito, si siede sul bordo della sedia invece che al centro, non si appoggia allo schienale, non è a suo agio. Questi modi di fare attivano i muscoli in modo sbagliato e alla lunga creano una serie di danni e malfunzionamenti. Queste modalità (o submodalità, come le definisce Milton Erickson) portano con sé un sentimento, un modo di pensare, che non dà a quella persona “il diritto” di sedersi comodamente, di sentirsi a suo agio, contengono mancanza di autostima e sensazione di non avere sufficienti diritti e potere e ha sicuramente effetti negativi sullo stato d’animo, il senso di sé e quindi riducono il benessere… Ma è particolarmente interessante osservare che l’effetto negativo sul corpo di un pensiero, massifica la sua azione originando un modo di muoversi innaturale. Quindi agire sullo stato psicologico senza agire sulla coscienza del modo di muoversi che da questo discende, riduce enormemente le potenzialità della cura.
Su questo terreno stiamo studiando e sperimentando all’interno della Scuola di Naturopatia Complementare, cercando di raccogliere esperienze di diversi ricercatori e terapeuti e cercando di capire in che direzione possiamo realizzare sperimentazioni.
Per ora siamo riusciti a individuare una serie di titoli e di domande.
Eccole.
- Che peso ha il modo nel quale “ascolto” la malattia? Ho sperimentato che la mia passione per l’ascolto delle sensazioni mi ha portato a un danno notevole perché a un certo punto ero entrato nella “contemplazione del dolore”. In un modo che ancora non so spiegare era come se il mio inconscio avesse mal interpretato qualche cosa… Io ascoltavo il dolore, perché il dolore è un messaggio del corpo che deve arrivare da qualche parte per innescare il meccanismo dell’autocura… In qualche modo mi sentivo gratificato dalla mia capacità di sopportare (psicopatologia spartana!); il mio irrazionale ha interpretato questo atteggiamento, e la pratica dell’ascolto del dolore, come una richiesta di dolore e ha iniziato a fornirmene in gran quantità. Fino a quando ho capito che così stavo sempre peggio e avevo mille acciacchi… Ho quindi smesso di concentrarmi sul dolore per sentirlo meglio e ho iniziato a cercare di ascoltare le sensazioni diverse, guardare altrove, pur senza oppormi al dolore (opporsi, contrarsi, quando si prova dolore non funziona perché rende più difficile per il corpo “capire” quale è lo squilibrio e quindi cosa fare per intervenire. Il dolore è parte della cura in quanto è una comunicazione urgente).
- Nel caso di ferite, ulcere e simili quanto è importante se io creo un’area di contrazione intorno alla ferita e contemporaneamente considero quell’area sporca o cattiva o brutta?
Pensare di muovere al rallentatore la pelle intorno a una ferita ha un effetto positivo perché costringe a tonificare la pelle e i muscoli della zona? (vedi articolo settimana scorsa). E poi è meglio se unisco al micromovimento un sentimento di amore e riconoscenza verso la parte malata, in quanto si è sobbarcata l’onere di ammalarsi per mantenere il mio organismo in equilibrio (la malattia è il modo che il corpo a volte sceglie per riequilibrarsi o per tamponare uno squilibrio. Cioè il sintomo è parte dell’autocura).
- Gli stati emotivi provocano processi mentali ma anche movimenti muscolari e altri fenomeni fisici. Probabilmente per questo motivo azioni che creano emozioni e conseguenti sensazioni emotive possono generare guarigioni… È il caso dell’efficacia di alcuni procedimenti sciamanici ma anche il motivo per cui ho benefici durante una crisi di emorroidi giocando ai videogames sparatutto?
- Camminare guardando per terra piuttosto che al disopra della linea dell’orizzonte (come sarebbe naturale) determina cambiamenti della modalità con ricadute sulla spina dorsale oltre che sull’umore?
Camminare pestando i piedi per terra oltre a distruggere i menischi crea danni a cascata alle relazioni interpersonali e alla fisiologia? Attraverso quali meccanismi questo succede?
- Quando respiri in modo naturale espandi i polmoni in fuori, verso l’alto, ma anche e soprattutto verso il basso. Il movimento del diaframma spinge in basso (di alcuni centimetri!) tutti gli organi interni, dal cuore e il fegato fino a vescica e intestini. Quando espiro il diaframma risale verso l’alto portando con se gli organi interni. Questo movimento genera anche un’azione di sostegno fondamentale al lavoro di pompa svolto dal cuore.
È da notare che anche il contemporaneo movimento verso l’alto dei polmoni durante l’inspirazione, seguito da un movimento verso il basso quando si lascia uscire l’aria, è importante anche se muove meno apparati interni; ha comunque un effetto tonificante essenziale e supporta la circolazione sanguigna della parte superiore del corpo.
Ovviamente i polmoni hanno anche un movimento orizzontale di espansione… Sostanzialmente il palloncino dei polmoni si gonfia e sgonfia, producendo un movimento di andata e ritorno in tutte le direzioni.
Respirare avendo un’idea errata del respiro crea una serie di danni a tutti gli organi che dovrebbero essere tonificati e sostenuti da questo movimento. In questo caso una visualizzazione sbagliata del movimento genera un peggioramento della qualità muscolare. Il fatto di non percepire la modalità del respiro in modo corretto agisce negativamente sul modo di respirare. Ad esempio, a causa di una serie di lezioni di yoga impartitemi da insegnanti ben poco informati, ho maturato un’idea nella quale l’espirazione era connessa a un rilassamento del ventre, quindi a un cedimento degli organi interni verso il basso, contemporaneamente pensavo che muovere i polmoni anche verso l’alto e in fuori fosse cosa da militaristi violenti (pancia in dentro, petto in fuori). Il che mi ha inferto problemi di pressione eccessiva dall’ombelico in giù e contemporaneo eccesso di rilassamento dei tessuti… Ma ovviamente questo errore di movimento ha dietro anche un’immagine di sé che è difettosa anche dal punto di vista psicologico. Non mi vedo come una sfera pulsante con grande forza e unità ma un po’ mollusco troppo rilassato. Il che comporta danni emotivi e relazionali. Cioè vengo “sentito” come un pastina.
PS
Questo articolo fa parte di una serie di testi che sto scrivendo per contribuire allo sviluppo della Scuola di Naturopatia Complementare di Alcatraz. Si tratta di un percorso di formazione professionale ma anche di un ambito di ricerca, incontro e discussione tra diverse esperienze. A marzo inizierà il secondo ciclo di lezioni.
La Scuola di Naturopatia Complementare ha un costo elastico: si paga a seconda delle possibilità.
Jacopo Fo