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La formazione militare delle ragazze. Capitolo 14

Poi, un bel mattino andammo a fare una passeggiata.
Io e Deborah. Mano nella mano. Cuore a cuore. Sole e amore.
Attraverso uno stretto sentiero oltrepassammo una selva di rovi e ginestre e ci trovammo sopra un poggio dal quale si dominava una valle non molto ampia, limitata da una catena di colline basse. Si vedevano solo boschi, pascoli e oliveti. C’era movimento. Esseri umani. Ci facemmo più avanti per vedere meglio. Un ragazzo sbucò dalla macchia. Aveva un fucile in mano e portava una divisa intensamente verde, senza mostrine, e un elmetto.
“La strada è bloccata!” Disse.
“Bloccata da che cosa?” Chiesi io.
“C’è una battaglia. Sta per iniziare.”
Poi ci guardò.
Aveva i capelli biondi, lunghi, sotto l’elmetto, che scendevano fino alle spalle. Disse: “Aspettate un attimo.”
Schiacciò un pulsante che pendeva dal taschino sinistro e disse: “Qui punto 26, ci sono due civili…”
Dopo qualche secondo mi guardò: “Come ti chiami?”
“Giovanni Lanzacurte.”
Ripeté il mio nome. Passò un altro minuto durante il quale io e Deborah ci tenemmo per mano in silenzio.
“Va bene, dicono di passare, vi porto al comando.”
Si girò addentrandosi nella macchia. Lo seguimmo.
Percorremmo mezzo chilometro, poi arrivammo a una radura che era stata circondata da un muretto di sacchi riempiti di terra.
“Eccolo, capitano!” Disse il soldato che ci aveva accompagnati rivolgendosi a un uomo con la barba incolta e una carabina di grosso calibro in mano.
“E’ arrivato dunque!” Disse stringendomi la mano. “Sono Roberto Randazzi, comando io questo battaglione.”
Deborah lo guardava con aria stupita. Poi guardò me. Anch’io ero perplesso: “Come fa a conoscere il mio nome?”
“Ho avuto un messaggio dal comando dell’Armata Rossa. Mi hanno detto che probabilmente sarebbe arrivato.”
“L’Armata Rossa?” Non ci potevo credere. In Italia, nel 2012, mi ero imbattuto in un intero reparto di comunisti armati! Assurdo.
Il capitano concentrò lo sguardo su di me, sembrava trattenesse un’emozione: “Sì, siamo tutti comunisti. E questa è l’Armata Rossa. Un’Armata Rossa piccola, certo. Ma si ricordi che Mao Tze Tung fondò il Partito Comunista cinese con solo 8 compagni. Capisco che sia fuori moda ma ce ne freghiamo. Qui ci sono 513 comunisti armati. Alla vostra destra ci sono quelli della Congregazione a sinistra quelli dell’Alleanza. Si vedono poco perché si sono trincerati. Il nostro compito qui dovrebbe essere quello di impedire che si massacrino. E, a quel che mi dicono, lei potrebbe fermare un’inutile carneficina. Abbiamo montato un impianto di amplificazione abbastanza potente e lei potrebbe provare a dissuaderli”.
“Io?”
“Sì, sembra che lei sia una persona importante, forse le daranno retta.”
E dicendo così tirò fuori dalla tasca della giacca militare, un radiomicrofono, lo avvicinò alla bocca e produsse uno schiocco con la lingua che si diffuse per tutta la valle con un volume notevole. Sull’amplificazione non avevano fatto economie. I comunisti sono così. Su certe cose non li batte nessuno.
Poi il capitano Randazzi mi mise in mano il microfono.
Cercai con gli occhi lungo il fianco della collina e iniziai a distinguere le due linee degli schieramenti contrapposti. Un mucchio di pietre, una linea di terra appena scavata e ammonticchiata, un tronco d’albero, costituivano segmenti coerenti e artificiali che tracciavano la disposizione dei tre schieramenti. In mezzo, nella parte della valle più prossima a noi si vedevano le divise color verde acceso dei comunisti, raggruppati anch’essi dietro a sbarramenti di pietre, tronchi e sacchi di terra.
Non sapevo proprio cosa dire.
Quasi per prendere tempo dissi: “Sono Giovanni Lanzacurte, perché volete massacrarvi?”
Dopo che le mie parole si furono diffuse nella valle vidi spuntare da più parti uomini e donne che si sporgevano dai loro trinceramenti. Fui preso da una forte emozione e sentii quasi girarmi la testa. Guardai Deborah che mi stava osservando e forse mi voleva incoraggiare con il suo sguardo.
E dissi: “Morire non è una buona opzione.” Altre teste spuntarono dai ripari improvvisati.
“Generalmente vivere è meglio.”
E a questo punto successe qualche cosa nella mia mente, come se un’intelligenza a me sconosciuta avesse preso possesso della mia bocca.
A mia insaputa. Le parole mi uscivano fluide dalla bocca e io per primo mi stupivo per l’audacia di quel che dicevo: “Veramente credete che semplicemente osservando il fluire dei numeri si possa svelare il segreto dipanarsi degli eventi? Veramente credete che un essere umano possa diventare il fulcro di questi eventi e che il corso della storia possa cambiare a seconda che quest’uomo viva o muoia o a causa dei gesti che compirà? Non ha senso! L’Universo è mistero! Perché volete morire? In questa valle ci sono 2743 esseri umani che potrebbero fra pochi minuti trasformarsi in cadaveri a causa di un’ideologia assurda. L’universo è mistero! Nessuno può conoscere il destino. Nessun essere umano è indispensabile per determinare la storia, tutti sono necessari… Uno solo spermatozoo feconda l’uovo ma perché ci riesca 200 milioni di spermatozoi devono nuotare con lui!” Mentre parlavo io stesso mi chiedevo checcazzo stessi dicendo. E perché mi era venuto in mente di dire che erano proprio 2743? Da dove l’avevo imparato?
A quel punto dalla macchia spuntò quella signora anziana che mi aveva detto quella frase quando stavo per strada, all’inizio di questa storia… Quella signora che mi aveva chiamato Michele e che aveva insistito a dire che mi chiamavo Michele anche quando le avevo detto che mi chiamavo Giovanni… E che mi aveva detto che non dovevo scegliere tra le tre Sorelle Tempesta… Quella signora che sembrava un po’ strana e che un ragazzo aveva portato via trattandola un po’ da demente…
Uscì dalla macchia, si avvicinò a me, con un bel vestito a fiori e disse: “Te l’avevo detto che non dovevi scegliere tra le tre donne. Era a questa che eri destinato.” E indicò Deborah con un grande sorriso compiaciuto e materno.
Io mi chiesi: “E questo cosa c'entra?”
Avevo una forte sensazione di incoerenza come se la realtà continuasse a saltare da un contesto a un altro.
Poi, con la coda dell’occhio vidi una cosa che non poteva esserci: un enorme panda di peluche che mi guardò sconsolato ed esclamò: “Certo che sono proprio stronzi!”
Allora ebbi la certezza che la realtà aveva perso ogni coerenza.

Aprii gli occhi mettendomi a sedere di scatto. Non riuscii a distinguere subito quello che mi circondava. Le immagini arrivavano al mio cervello che però non era in grado di interpretarle. Poi lentamente le immagini acquistarono un senso. Ero in una stanza che poteva essere quella di un ospedale. Intorno a me c’erano alcune persone. Donne.
Una voce disse: “Si è svegliato, accendi il registratore.”
Le guardai. Poi le riconobbi. Erano Deborah, Miriam, Noemi e Ester. Le tre Sorelle Tempesta che nel frattempo erano diventate quattro.
Deborah mi prese la mano e mi disse: “Ce l’hai fatta? Qual è il numero che hai visto? Dillo subito prima di dimenticarlo!”
Mi ricordai il numero. Era 2743. Non me lo sarei scordato.
Debora insisteva: “Il numero, Giovanni, il numero! Te lo ricordi?”
La guardai. Facevo un po’ fatica a mettere a fuoco la vista.
Quando ebbi l’immagine nitida del suo viso lo osservai. Poi dissi: “Col cazzo che vi dico il numero!”
Poi svenni.

Quando lentamente ricominciai a ricevere segnali dal mondo esterno sentii una voce di donna che mi parlava dolcemente: “Giovanni, è stato tutto un sogno. L’irruzione a casa tua, il cadavere, la sparatoria, la distruzione della Fortezza, la fuga, il tempo passato nella casa sulle colline. Giovanni, sforzati di ricordare: sei tu che hai programmato il sogno. Volevi riuscire a ricordarti un numero seppellito nella tua memoria. E' molto importante: è il numero per decodificare il programma, hai impiegato anni per arrivare a questo, se non te lo ricordi dovrai fare un altro sogno artificiale… Me lo hai detto tu di chiederti subito il numero, appena ti svegliavi… Volevi usare le emozioni del sogno per far affiorare il ricordo. Ti ricordi chi sei Giovanni? Tu sei un ricercatore, fai esperimenti sulla mente profonda. Per questo hai deciso di costruire un sogno artificiale. Vuoi riuscire a ricordarti il numero!”
Il numero me lo ricordavo. 2743. Non lo avrei dimenticato. 2743. Ma non lo avrei detto a quella donna in nessun caso. Avevo capito benissimo che volevano imbrogliarmi. Non avevo progettato io quel sogno. Non avrei mai inventato una storia così idiota. E mi ricordavo benissimo chi ero e non ero nessun cazzo di ricercatore scientifico sulla mente profonda. Me lo ricordavo perfettamente chi ero: ero un WEB MASTER. Un Maestro del Web. E il Web era un’arte marziale digitale che io praticavo fin dalla prima infanzia. Ero un Web Master cintura fucsia. La più alta in grado. Le cinture dei Web Master al di sopra dei dieci livelli di cintura nera, sono sette: grigio topo, grigio totano, giallo fluorescente, blu cobalto, verde Veronese, rosso Tiziano, celeste. Poi c’è la cintura fucsia che è oltre e nel mondo ce l’abbiamo solo in 22.
Mi ricordavo tutto perfettamente. Stavolta non mi avrebbero fregato. Ero stufo di giocare al loro gioco.
Non so quante volte lei mi ripeté le stesse frasi. Poi a un certo punto mi resi conto che ero perfettamente sveglio. La guardai: “Mi dispiace Deborah… Non mi ricordo nessun numero”.
“Giovanni, non fare il bambino. Si vede che stai mentendo. Te lo ricordi benissimo il numero. Ma se non me lo dici poi te lo dimentichi. E’ la terza volta che ci provi e quando ti svegli pensi che io sia una tua nemica. E’ un residuo del sogno. E magari non ti ricordi neanche di essere uno scienziato. E che sei mio marito te lo ricordi?
E tutte le volte che abbiamo fatto l’amore te le ricordi?”
Usava la voce come un’arma da guerra. Un’arma con proiettili dolcissimi che avrebbero sciolto persino le mura ghiacciate di Avalon.
“E Timbuktù, la città assediata? Cosa mi dici della città assediata? Un sogno anche quello? Ma un sogno nel sogno non  è un sogno. Allora? Rispondi?”
Lei mi fece uno di quei sorrisi che non si comprano per corrispondenza. Poi mormorò, con una voce soave: “Tesoro, non fare il bambino, su, capisco che sei drogato come una cocuzza ma potresti sforzarti un po’… Proprio non me lo vuoi dire il numero?”
“Hai una voce bellissima, Deborah. E ho anche sognato che i tuoi seni erano incantevoli. E forse sono anche un bambino se mi parli così morbidamente. Ma neppure per tutto il rosolio del mondo sono disposto a vendere la mia anima. Forse non ti ho mai detto che io sono comunque comunista. Non me ne frega un cazzo se è crollato il muro di Berlino. Quelli non erano comunisti. Facevano finta e ci rubavano le bandiere.
Noi non arretreremo di un passo di fronte ai carri armati di Hitler. Figurati se mi compri con un sorriso. Fedifraga!”
Lei mi sorrise: “Soldatino, sei fatto come una pera cotta, la prossima volta ti dimezziamo la dose…” Sorrise di nuovo e mi passò le dita tra i capelli ravviandomi una ciocca che mi pendeva sulla fronte: “E per inciso tu non sei neanche comunista…”
“Come no!?” Scattai io. “Chiedimi una qualunque pagina del Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels! Avanti! E visto che lei non mi faceva la domanda iniziai a recitarlo: Uno spettro ossessiona l’Europa, lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono unite in una Santa Alleanza per braccare questo spettro: il Papa lo Zar, Metternich e Guizot, i radicali di Francia e i poliziotti di Germania.
Quale forza di opposizione non è stata accusata di comunismo dai suoi avversari al potere? Quale è la forza di opposizione che, a sua volta, non ha rinfacciato ai suoi avversari di destra o di sinistra l’epiteto infamante di comunisti?
Da questi fatti si ricavano due conclusioni.
1) Ormai il comunismo è considerato da tutte le potenze d’Europa come una potenza.
2) E' ora che i comunisti proclamino al mondo intero il loro modo di vedere, i loro scopi e tendenze; è ora che oppongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito.”
Lei mise i polpastrelli dell’indice e del medio della sua deliziosa mano sinistra sulle mie labbra impedendomi così di continuare: “Hai intenzione di recitarmelo tutto?”
“Se non ero comunista come mai lo so tutto a memoria?”
“Tuo padre era comunista e ti ha costretto a impararlo a memoria, una pagina a settimana da quando avevi 4 anni. Per questo odi tuo padre e tutti i comunisti. Te lo ricordi questo?”
“Deborah, non so quale potenza criptocapitalista ha comprato la tua anima ma ricordati: le montagne possono sciogliersi e gli oceani evaporare ma un comunista è un comunista. E' un fattore genetico. I pipistrelli hanno le ali, i comunisti hanno fede nella storia. Il capitalismo sta generando dentro di sé, a causa delle sue stesse leggi economiche e sociali, un’umanità di nuovo tipo che si darà una più evoluta forma sociale. E questo sarà il socialismo. Ulteriori evoluzioni porteranno poi al comunismo. Questo è un fatto certo come il il sorgere del sole. Il comunismo non è un’ideologia è la scienza della storia. E sarebbe andato tutto benissimo se non si fosse messo di mezzo quel cretino di Lenin!”
E dopo aver detto questo svenni di nuovo.

 

INDICE CAPITOLI

Capitolo 1 Ottima marmellata d’arance

Capitolo 2 Ragazze educate

Capitolo 3 Una situazione complessa

Capitolo 4 Agguati mentali

Capitolo 5 Eventi indecifrabili

Capitolo 6 La Fratellanza

Capitolo 7 Nera. Ma quanto nera?

Capitolo 8 Il tripudio della confusione

Capitolo 9 La Fortezza

Capitolo 10 Scatole dentro scatole dentro scatole

Capitolo 11 La Polizia Alchemica

Capitolo 12 Fisso il pensiero fisso

Capitolo 13 clicca qui

Capitolo 14 clicca qui

Capitolo 15 clicca qui

Capitolo 16 Pinin

Capitolo 17 Fine