La formazione militare delle ragazze.
Inviato da Jacopo Fo il Dom, 03/11/2012 - 19:14Capitolo 9
I telegiornali ebbero un bel da fare a raccontare cosa era successo.
Nella battaglia alla fortezza erano restati a terra 98 cadaveri.
La polizia brancolava nel buio: terrorismo, sette sataniche, trafficanti di droga. I resti di una grande quantità di computer diedero da fare ai tecnici della squadra informatica che in effetti capirono ben poco delle stringhe di numeri archiviati. Conclusero che si trattava di una sorta di alchimia magica… Quindi una setta esoterica…
Quella notte scoprii anche il nome di quelli che avevano attaccato la Fortezza: la Congregazione.
Me lo disse l’uomo con gli occhiali arancione, che mi spiegò che loro, i buoni, avevano scelto come nome l’Alleanza.
Camminammo a lungo per le campagne e lui aveva voglia di parlare.
In testa mi si precisava un quadro sempre più chiaro. La Congregazione e l’Alleanza si combattevano da parecchi anni. Entrambi volevano utilizzare l’analisi della frequenza dei numeri per prevedere le oscillazioni azionarie e accumulare montagne di soldi.
Ma la Congregazione desiderava soltanto usare questo denaro per dominare il mondo. Invece l’Alleanza usava il denaro sottratto dal mercato azionario per compiere opere meritorie e tra queste, fondamentale, sventare i piani di dominio della Congregazione.
Mentre camminavo a fianco dell’uomo con gli occhiali arancione mi chiesi cosa c'entrassi io in quella guerra e perché mai c’ero finito in mezzo.
Avevo rischiato di morire o di uccidere. Per fortuna entrambi i destini mi erano stati risparmiati grazie a un colpo benefico del caso.
Ma ero profondamente scosso e avevo in gola una sensazione metallica che mi era via via aumentata da quando era iniziata quella fottuta storia, con un sogno e una telefonata.
Avevo voglia di essere da un’altra parte.
I prati che attraversavamo erano umidi e la terra si attaccava alle suole delle scarpe rendendo faticoso camminare.
Impiegammo due ore a raggiungere un albergo che era il punto di raccolta dell’Alleanza, stabilito in caso si presentassero situazioni di emergenza che costringessero ad abbandonare la Fortezza.
Gente previdente.
Ma di un tipo di previdenza che mi metteva ansia.
Ero indeciso come una suora incinta.
Desideravo essere da un’altra parte.
L’hotel era il Red King, una costruzione moderna, isolata dal resto del mondo da un parco e un grande parcheggio. Mattoni rossi, cristallo e decorazioni minimaliste. Nella grande hall con il soffitto alto e grosse travi di legno che lo sostenevano, si erano radunati buona parte dei reduci della battaglia.
I bambini erano stati messi a dormire tutti insieme e due ragazze erano restate di guardia.
Le tre Sorelle Tempesta, che mi avevano bene o male trascinato in quel casino, stavano sedute in mezzo alle altre donne. Quando entrai si alzarono e vennero ad abbracciarmi, sentii la loro emozione e anch’io mi emozionai. Mi fece immensamente piacere che tenessero a me. Era una cosa buona in una pessima giornata.
Mi sedetti vicino a loro spossato, mi fu offerto un thè con biscotti secchi. Delizioso.
Essere ancora in vita mi stava provocando l’ampliarsi delle percezioni. Ero ipersensibile.
Piano piano molti scelsero di andare a dormire a piccoli gruppi. Nessuno voleva stare in una camera singola. Sentii una ragazza che diceva: “Preferisco dormire per terra che da sola.”
Verso le tre di mattina eravamo restati in una decina.
Io ero semisteso sul divano e guardavo il soffitto, senza formulare neppure un pensiero.
Ester mi chiese: “Sai che giorno era ieri?” La guardai interrogativo, non mi diede il tempo di pensare alla risposta. “era il 12-12-2012. E l’attacco alla Fortezza è iniziato alle 21 e 12 minuti. E 21 è il rovescio di 12.”
Girai la testa e la guardai. Mi sorrideva radiosa, accovacciata, indossava un paio di jeans e un maglione che sospettavo fosse assolutamente morbido…
Feci uno sforzo notevole per decifrare quello che mi aveva appena detto. Poi decisi che non ero in grado: “Casualità affascinanti.” Risposi ma evitai di mettermi a discutere di numeri.
Noemi disse: “Che ne dite se andiamo a dormire?”
Ester e Miriam annuirono.
Noemi mi guardò: “Vieni a dormire con noi?”
Qualcuno dentro di me fece un sobbalzo. Era una mia identità molto maschia che intravide rosee possibilità e mi proiettò dentro la mente un’immagine di corpi caldi che si premevano nell’estasi.
Qualunque calamità non è in grado di spegnere il desiderio degli umani. Anzi dopo che hai scampato un grave pericolo si risvegliano pulsioni che hanno come unico obiettivo la continuazione della specie.
Prendemmo l’ascensore e salimmo al secondo piano. Quando fummo di fronte alla loro camera restai a guardare per qualche secondo la targhetta della porta. La camera era la numero 212.
Le guardai. Ester scoppiò a ridere: “Siamo perseguitate dai numeri.”
Mentre loro tre si chiudevano in bagno io mi distesi sul letto.
Pochi minuti dopo mi trovarono profondamente addormentato.
Sognai di nuovo la ragazza che mi diceva con aria allarmata: “Vieni a salvarci Timbuktù è assediata!”.
Poi sognai che la polizia faceva irruzione a casa mia. Di fronte a un palazzo disseminato di finestre nere un mio sosia mi diceva: “Tutto quello che è dentro è fuori, ma tu stai guardando dalla parte sbagliata!” Non avevo idea di che cosa volesse dire. Ma quelle parole mi lasciarono una sensazione sgradevole.
La mattina mi svegliai lentamente. Per parecchi secondi non fui in grado di capire dove ero e perché. Poi i ricordi si disposero in modo ordinato nella mia mente.
Nella stanza ero solo.
E le tre sorelle?
Succedeva sempre così… La notte erano lì ma al mattino erano sparite…
Scesi nella hall in cerca di cibo. Al bancone del ricevimento mi diedero un biglietto.
C’era scritto: “Dobbiamo risolvere una questione urgente. Ci vediamo domani.”
Mi chiesi: “Dove?”.
Poi mi ricordai come fossi crollato nel sonno la sera prima perdendomi eventuali scenari sensuali.
Feci colazione nella sala ristorante dell’albergo semideserta con un thè e una fetta di pane tostato con burro e marmellata di arance (ahimé di non eccelsa qualità ma comunque gradevole… Ho un debole per la marmellata d’arance…).
Mentre inzuppavo il pane si materializzò nella mia mente l’immagine di una casa con un grande castagno davanti. Un’immagine gradevole.
Conoscevo quel posto e mi resi conto che desideravo essere lì.
Ma le tre Sorelle Tempesta mi avevano chiesto di aspettarle.
Ci sono momenti nei quali devi decidere se fare quel che ci si aspetta che tu faccia oppure agire in modo imprevisto.
Quando ti sparano addosso e ti trovi nel bel mezzo di un massacro tendi a sentirti minacciato.
Io mi sentivo pure incapace anche soltanto di capire lo scenario intorno a me… La serie di eventi incredibili che mi aveva risucchiato era insensata.
Improvvisamente presi una decisione. E appena decisi mi sentii enormemente sollevato.
Non avevo bagagli. Lasciai al banco dell’accoglimento un biglietto per le sorelle.
Non sapevo proprio cosa scrivere. Quindi decisi di usare uno stile criptico. Scrissi: “Ho un impegno urgente con la mia vita. Spero stiate bene. Siate prudenti, siamo in mezzo a una follia collettiva. Un abbraccio.”
Rilessi quelle tre righe. Poteva andare.
In tasca avevo 43 euro. Mi incamminai verso la fermata di un autobus che mi portò a Milano. Passai da Antonio Ravalli, un compagno dei tempi dei cortei studenteschi. Avevo bisogno di soldi. Lo accompagnai in banca e mi prestò mille euro.
Sapeva che glieli avrei restituiti.
Se non freghi mai nessuno, alla lunga i tuoi amici si fidano di te. E quando sei nella merda è una gran comodità avere qualcuno che si fida di te.
Con i soldi in tasca iniziai la mia fuga. Avevo dato per scontato che qualcuno mi avesse seguito.
Entrai e uscii da un paio di supermercati, passando per porte secondarie e parcheggi.
Poi feci una serie di percorsi che avevano l’unico scopo di verificare l’esistenza di un’eventuale coda. Mi sembrava di essere in un film.
Quando fui abbastanza sicuro di non portarmi dietro inseguitori salii su un autobus verso la periferia, poi un passaggio da un camionista, fino a Lodi. Lì presi un treno locale per Bologna, poi un autobus per Sasso Marconi. Comprai in un ferramenta un binocolo cinese da 10 euro, potentissimo, e un coltello a serramanico. Poi salii su un altro autobus e infine proseguii a piedi per 3 chilometri per arrivare fino alla Faggiasca, un podere isolato sulle colline emiliane, verso il confine con la Toscana.
Quando arrivai in cima alla salita mi fermai, mi misi in bocca una bacca di ginepro e iniziai a scrutare la valle con il binocolo. Dal punto che avevo scelto per fermarmi potevo vedere la valle nitidamente. Restai lì un’ora ma non arrivò nessun bipede, buono o cattivo che fosse.
Poi ripresi il cammino.
Quando arrivai alla Faggiasca il sole stava tramontando. Ero stato lì un paio di volte anni prima a spaparanzarmi sotto il sole estivo. Nella grande casa ospitavano cittadini in cerca di un po’ d’aria che amavano le carni chianine allevate al pascolo, le verdure coltivate in un orto che sembrava una scultura dadaista, e il vino che apriva la mente come un apriscatole. E se esageravi con la quantità te la lasciava aperta tutta la notte.
Gestivano l’ostello collinare due famiglie di milanesi pentiti, persone delle quali avevo un ricordo gradevole.
Escludevo che chiunque, anche conoscendomi, potesse collegarmi a quel posto.
Volevo sparire.
Marco Giuffré, mi accolse con un bel sorriso. E mi assegnò una camera che aveva le finestre verso oriente.
Dopo la cena a base di polenta bianca e brasato insaporito col barolo, mi venne una gran voglia di sdraiarmi e lasciare che le parti del mio corpo si riconnettessero tra loro.
C’era una libreria con un centinaio di volumi a disposizione degli ospiti. Pensai di portarmene uno in camera casomai avessi avuto difficoltà ad addormentarmi.
Lo sguardo mi cadde su titolo che mi ricordavo bene. Era un’altra copia dell’Educazione Militare delle Ragazze.
Questa volta però il titolo corrispondeva al contenuto. In copertina c’era il disegno di tre ragazze che sorridevano, ritratte a mezzo busto. Dietro di loro un prato in fondo del quale iniziava un bosco fitto, si vedeva anche lo scorcio di una grande casa… Il disegno era nello stile anni ’50 delle copertine della Domenica Illustrata.
Le tre ragazze indossavano tailleur grigi e camicie bianche con l’ultimo bottone slacciato, sembravano delle eleganti impiegate di banca.
Quell’immagine andava bene per la pubblicità di una scuola femminile per dirigenti d’azienda.
Entrai nella doccia calda, mi tolsi di dosso il sudore e un po’ di tensione restando sotto il getto dell’acqua per una mezz’ora. Avevo comprato una maglietta nel bazar della locanda e quando mi misi a letto ero più candido di un giglio vergine.
Accesi la luce sul comodino di legno, presi il libro e lo sfogliai. Mi misi a scorrere il primo capitolo che avevo iniziato a leggere per continuare la lettura. Ma il primo capitolo era diverso. Quello che avevo letto a casa di Miriam diceva che una ragazza che abbia avuto una buona educazione militare avrebbe colpito solo 6 punti di un aggressore e non avrebbe cercato di centrare i genitali... Ma nel libro che avevo in mano l’inizio del primo capitolo era ben diverso. Parlava indiscutibilmente dell’educazione militare delle ragazze, ma non era lo stesso primo capitolo. Lo stile di scrittura era completamente diverso come il modo di affrontare gli argomenti.
Cominciava così:
“Della necessità di un’educazione militare.
Un padre augurerà sempre alla figlia di avere una vita serena e morbida. Ma saprà anche che esiste la possibilità, anche per la più dolce delle figlie, di incontrare sfortunatamente perigliosi frangenti.
Quindi il padre amorevole si preoccuperà di fornire alle figlie femmine una opportuna conoscenza della realtà della guerra.
Questo darà ad esse maggiori probabilità di successo ma le temprerà pure in un modo di pensare, efficiente e calcolato, che è di massima utilità anche al di fuori dei bellici contesti.
E quando il ruggito del mondo dovrà essere fronteggiato, le fanciulle si ricorderanno la fermezza della voce del padre e la rettitudine dei suoi insegnamenti e potranno seguirli e trarne ispirazione.
E potranno trovare la calma mentale per valutare non solo la forza dell’avversario ma anche il terreno sul quale si combatte. E sapranno che spesso la vittoria non viaggia sulle tue spade ma sul suolo sopra il quale il tuo nemico poggia i piedi.
Ad esempio il prode Alexander Nevsky attirò i pesanti cavalieri teutonici sopra le acque di un lago ghiacciato, il suo esercito si diede alla fuga, i cavalieri caricarono e la quantità di metallo delle loro armature, unita all’impeto del galoppo, sfondò la crosta di ghiaccio e tutti i teutonici precipitarono nell’acqua gelida morendo rapidamente, trascinati al fondo dalle stesse preziose armature che li avrebbero dovuti difendere.”
Chiusi il libro. Guardai la carta da parati a cerchi verdi che copriva la parete di fronte al letto e mi chiesi che senso poteva avere quel testo, e perché il caso o qualcuno poteva aver deciso di farmelo trovare per la terza volta… escludevo che chicchessia avesse mai potuto prevedere che io sarei giunto in quella casa. Quindi dovevo pensare che fosse il caso a governare quella coincidenza. Ma cazzo! Che caso assurdo.
INDICE CAPITOLI
Capitolo 1 Ottima marmellata d’arance
Capitolo 2 Ragazze educate
Capitolo 3 Una situazione complessa
Capitolo 4 Agguati mentali
Capitolo 5 Eventi indecifrabili
Capitolo 6 La Fratellanza
Capitolo 7 Nera. Ma quanto nera?
Capitolo 8 Il tripudio della confusione
Capitolo 9 La Fortezza
Capitolo 10 Scatole dentro scatole dentro scatole
Capitolo 11 La Polizia Alchemica
Capitolo 12 Fisso il pensiero fisso
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Capitolo 14 clicca qui
Capitolo 15 clicca qui
Capitolo 16 Pinin
Capitolo 17 Fine