Lo vuoi un partito nuovo?
Inviato da Jacopo Fo il Sab, 11/10/2012 - 23:34Molti ne parlano e ne strillano… Ma sinceramente non vedo molte idee all’orizzonte. Un modo diverso di fare un partito esiste?
Sono tutti in crisi. Il vecchio modello di partito non regge più.
Con cosa lo sostituiamo?
Lasciamo perdere se chiamarlo partito o movimento… Andiamo al sodo.
In questo momento esiste un solo modello alternativo, quello di Grillo.
Sicuramente è il meglio che si può fare. È stato individuato un sistema per selezionare in modo democratico i candidati, oltre a evitare di inserire gente sotto processo.
OTTIMO.
Questo è il meglio che si può fare adesso. Ma io immagino qualche cosa di più… Il partito del futuro.
Come potrebbe essere?
Innanzi tutto immagino un partito che sta in mezzo alla gente.
Il PCI degli anni ’50 era proprio questo in alcune regioni del centro Italia, che non a caso sono rosse ancora adesso.
Il PCI aveva una ragion d’essere materiale, l’adesione non era ideologica.
Il cuore era la battaglia quotidiana per la qualità della vita, nei paesi, nei quartieri. Il Partito non era a Roma e sul web. Era nella tua strada. Il Partito si impegnò allo stremo in una colossale opera di contrasto alla povertà materiale e culturale.
Fu organizzata una rete di associazioni e cooperative, casse mutue, mulini popolari, case del popolo.
Grazie al Partito risparmiavi quotidianamente sulla spesa alimentare, avevi interessi bancari decenti su mutui e depositi, un’assicurazione onesta, un posto dove andare a giocare a carte e a ballare e dove i figli potevano andare a studiare e a giocare a calcetto. Il Partito si mobilitava per qualunque ingiustizia e per qualunque emergenza, una rete di solidarietà che era protezione civile, assistenza alle persone in difficoltà, difesa dei diritti civili. Andavi dal segretario del partito se tua moglie era malata, per avere un consiglio sul medico o per sapere se qualcuno cercava operai…
Si costruivano le case nei fine settimana e si compravano i trattori, i torni e forni in cooperativa.
Tutti questi comportamenti sociali cooperativi, che migliorano quotidianamente la qualità della vita della gente, da un po’ di anni conoscono una nuova primavera.
Quel che manca oggi non sono le cooperative o i gruppi d’acquisto.
Manca un sistema di coordinamento a livello nazionale che unisca le forze, diffonda le esperienze che funzionano.
Non si fa rete.
Non esiste poi un gruppo di persone che lavori a progettare sistemi e modalità capaci di sviluppare questo movimento economico-cooperativo e culturale.
Non esiste neppure un centro di formazione che faccia crescere e dia strumenti lavoro alle persone chiamate a coordinare questa rete…
Peraltro non esiste neppure qualcuno che stia facendo scuola quadri con gli aspiranti parlamentari (dal Sel a Idv a M5S). Mi riferisco a una scuola vera, dove si studia di brutto.
Perché non basta eliminare gli inquisiti. Bisogna formare parlamentari e coordinatori della rete cooperativa che sappiano fare il loro mestiere.
Un partito di professionisti capaci.
Onesti non è sufficiente.
Qui ci vogliono idee geniali per uscire dal pantano culturale, etico e economico.
Oggi la rete ci offre la possibilità di sviluppare un sistema di cooperazione popolare cento volte più potente di quello del dopoguerra.
Ma non si fa.
Non esiste un’organizzazione che abbia la capacità di mettere assieme le potenzialità.
Faccio un esempio: sono anni che mi chiedo cosa si aspetti a creare una compagnia per la telefonia cellulare che venda a prezzi etici. L’ho proposto a decine di gruppi grandi e piccoli, nessuno ti dà retta…
È una roba che è stata realizzata in posti “arretrati” come il Bangladesh, c’è riuscita la Banca dei Poveri di Yunus, dieci anni fa. È la terza compagnia cellulare per numero di abbonati. Da noi esiste qualche cosa di simile, ma vende telefonia mobile solo a cooperative e onlus. Quindi si potrebbe fare anche più in grande.
Noi abbiamo fatto un contratto per la telefonia fissa con il nostro gruppo d’acquisto.
Ma per fare un gruppo d’acquisto sulla telefonia mobile bisognerebbe partire con un minimo di 5.000 abbonamenti …
Nessun gruppo può riuscirci da solo…
E, appunto, manca la logica del mettersi assieme.
Manca l’idea di un partito capace di essere motore di sviluppo della cooperazione.
Un partito che non si limiti a diventare rappresentanza parlamentare, ma sia attore degli interessi materiali del popolo. Un partito-sindacato-gruppo d’acquisto- associazione culturale-incubatore di imprese etiche e ecologiche.
Un partito-impresa nel senso onesto del termine.
Che poi era quello che era il PCI nel dopoguerra. A causa della Guerra Fredda avevano mascherato la vera natura del PCI in un gioco di specchi leninista, il partito dei quadri, l’Arci e la CGIL come mediazione organizzativa per le masse popolari, la rete cooperativa come economia alternativa che permetteva a milioni di italiani di rapportarsi direttamente con il mercato, diventando autoimprenditori. Chi lavorava nelle cooperative non aveva padroni. Il PCI era la rappresentanza politica parlamentare di una reale base di massa, sociale ed economica al contempo.
Poi tutto questo ha perso la bussola ed entrando in un Ipercoop non hai la sensazione che la Coop sei tu…
Ma una volta entravi in una Coop come si entra nel cuore della resistenza economica al sistema… La Coop, ai suoi inizi, ha fatto la differenza sul serio…
Mettevi fisicamente la rivoluzione comunista in padella!
Questo sistema offriva un enorme vantaggio collaterale.
Permetteva di selezionare i dirigenti politici sulla base delle loro capacità di gestire localmente l’azienda partito. Se un pirla diventa presidente della Casa del Popolo, te ne accorgi subito che non è capace. Serve abilità artigianale per far quadrare i conti, la lingua sciolta non basta.
Il sistema ha funzionato fino agli anni settanta. Poi sono arrivati D’Alema e Veltroni, hanno bypassato il sistema selettivo e hanno impestato il partito.
Immaginando un simile partito possiamo poi pensare che anche sul terreno della lotta politica si comporterebbe in modo diverso.
Un paio di anni fa scrissi a Di Pietro una lettera, pubblicata sul fatto on line nella quale proponevo una strategia di lotta concreta, sul fronte legale, per i diritti civili, sul modello delle lotte dei neri americani.
Di Pietro inaspettatamente mi rispose dal suo blog entusiasta promettendo di aprire un dipartimento dell’Idv che si sarebbe impegnato su questo fronte. Poi ha avuto altro da fare. Forse se avesse mantenuto la promessa adesso non si troverebbe un partito alla deriva...
Bisogna tornare al partito espressione della tensione morale, culturale e economica del popolo.
Il Partito Olistico.
Anche perché se il partito è incentrato sullo sviluppo di soluzioni concrete dei problemi quotidiani e materiali del popolo, attraverso la cooperazione, allora viene facile unirsi e trovarsi d’accordo. Perché la tua azione ha un reale misurabile obiettivo concreto.
I partiti attuali invece si uniscono su obiettivi politici, legislativi, in fin dei conti ipotesi teoriche, la cui verifica si avrà solo in futuro… Quindi ci si unisce su teorie, e come ben si sa sulle teorie è anche facile dividersi…
I partiti di opinione sono destinati alle risse interne….
Ma per il momento questo non è neppure tema di discussione nel Movimento Progressista.
Solo i Verdi Civici stanno timidamente muovendosi in questa direzione… È un segnale positivo.
Ma speriamo che questa idea si diffonda al più presto.
Sennò sono dolori…