Ribellione spirituale

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Viviamo in un'allucinazione collettiva.
La gente non vive veramente

MADRE CORAGGIO, DIARIO AUTENTICO E IMMAGINARIO DI CINDY SHEEHAN Ultima stesura

MADRE CORAGGIO (Ultima stesura)
DIARIO AUTENTICO E IMMAGINARIO DI CINDY SHEEHAN
Di  DARIO FO e FRANCA RAME

Per diritti di rappresentazione o traduzione rivolgersi studio Flavia TOLNAY [email protected]

Franca: "Non avete mai sentito parlare delle pietre tornicanti? Vedo il vostro viso stupito. Sì avete capito bene: pietre tornicanti, che rotolano e cantano. Ma da dove vengono? Esistono davvero? Sì, si trovano nel Nevada, in pieno deserto. Sono sassi tondi di varia misura, levigati come marmo, vuoti nell'interno. In quel vuoto nascondono una pietra di minor dimensione, detta sfera-figlia, che funge da volano".
Ecco... è così che inizia la ballata che un cantastorie del Nevada,  un certo Buskaara, ha dedicato a Cindy Sheehan, la madre di un soldato morto in Iraq, Casey. E continua:
Quando il vento investe la pietra tornicante, quella comincia a roteare e nel suo ventre la pietra-figlia rotea con maggior velocità. Se vi capita di scuotere all'altezza dell'orecchio una di queste pietre, ne sentirete uscire uno strano suono che assomiglia a uno sproloquio senza senso. Per questo, tali pietre vengono anche chiamate sassi parlanti o che cantano.
L'impresa di Cindy - dice il cantastorie - ricorda una favola indiana che racconta della pietra che canta,
spinta dal vento e costretta a rotolare nella prateria. Il suo passaggio muove e trascina con sé altre piccole pietre che come lei vanno rotolando e si sfregano l'un l'altra, causando piccole scintille che via via aumentano fino ad incendiare tutta la prateria.
Infatti nessuno avrebbe dato un soldo di credito a quell'umile donna seduta davanti all'ingresso della tenuta del Presidente. Nessuno immaginava che Cindy fosse una pietra parlante e che al suo richiamo giungessero tante persone commosse, anzi mosse, da quella sua semplice domanda:
'Perché mio figlio è morto?' -
E il cantore conclude: - Forse non ci abbiamo fatto caso. Quella frase disperata, detta con parole così semplici, è la stessa che la madre di Cristo ha pronunciato sotto la croce: "Perché ti uccidono, figlio mio?".

Eccovi la storia di Cindy...
Su uno schermo posto come fondale compare l'immagine di un marine in primo piano, che via via si allontana prospetticamente. Alle sue spalle sale una colonna di fumo: è il classico pozzo di petrolio che va in fiamme. Un taglio di luce illumina in scena una donna che prende forma spuntando dal buio. Vicino a lei c'è una sedia da giardino sulla quale ad un certo punto si andrà a sedere.

FRANCA: Una frase che mi sento risuonare più volte nel cervello ha la voce di mio figlio: "Mi voglio iscrivere all'università, mamma. L'unica opportunità che ho è quella di arruolarmi nell'esercito degli Stati Uniti. Sarà l'esercito a pagarmi le tasse per frequentare i corsi, non ho altra soluzione." Era il maggio del 2000.
Un mese dopo la sua partenza per la zona d'operazione è arrivato un accredito da parte dell'Esercito a nome di Casey Sheehan: erano i denari per l'Università.
Il 4 aprile 2004, tre ufficiali dell'esercito sono venuti a casa mia a dirmi che Casey era stato ucciso in Iraq.
Sono svenuta.
Era come se tutto fosse volato via: la casa, la sua stanza, i suoi abiti civili, i suoi giochi, i suoi libri, la bicicletta...
Tutto morto. L'accredito non serve più.
Arrivavano i suoi amici balbettando cordoglio, la sua ragazza non riusciva a piangere, era bianca come uno straccio. Ogni tanto le usciva come un singhiozzo... ma niente lacrime. Io invece, sono rimasta come pietrificata, solo le lacrime erano in movimento, mi rigavano la faccia di continuo... piangevo, piangevo lacrime con urla disperate... lacrime silenziose... un fiume di lacrime... e la sera... volevo morire.
 "Sì, Casey, sì... stai tranquillo... ora mi calmo... ce la farò..."
Me lo sentivo intorno... preoccupato come sempre, per me...
"Avete mai sentito il suono urlato di una donna alla quale hanno ammazzato il figlio?
Avete mai sentito il suono di un padre che trattiene il suo pianto?
Avete mai sentito il suono dei colpi... scanditi sulla tomba di vostro fratello?
Avete mai sentito il suono di una nazione cullata per farla dormire? Dicono che è morto per permettere alla bandiera di continuare a sventolare, ma io credo che sia morto per il petrolio da conservare."
Le parole di questa poesia incredibile e ispirata di mia figlia Carly sono impresse nel mio DNA.
Sfido chiunque, qualunque madre a raccontare come ha vissuto la prima sera, la prima notte dopo aver saputo che suo figlio era morto.
Ma chi grida? Chi urla?
Dopo quella che mi è sembrata un'eternità, finalmente mi sono chiesta chi urlasse con tanto strepito.
Non poteva essere il padre di Casey, perché lui era paralizzato in un silenzio terrificante, con ancora  in mano i pantaloni che stava piegando quando sono arrivati i portatori di quel messaggio di morte.
Ma chi urla?
Poi ho realizzato: ero io.
Non dimenticherò mai il giorno in cui hanno sepolto il mio dolce ragazzo, mio figlio maggiore. Non dimenticherò la litania delle raffiche sparate dal drappello d'onore e, con il senno di poi, l'insensata parata delle ventuno-armi.
Non mi dimenticherò mai di quando il generale, che pareva appena uscito dalla stessa scena di un film patriottico, mi ha consegnato la bandiera ripiegata che era stata posta sulla bara di Casey, mentre i miei figli, in piedi, dietro di me, singhiozzavano.
Dicono che quando si raggiunge una tarda età i ricordi si sfaldano come stracci al vento, la memoria di mio figlio non perderà di certo un solo filo.
"Sì, Casey, sì... ora mi calmo... ce la farò... stai tranquillo..."
Ho trascorso i primi mesi dopo la sua morte stordita come una sonnambula.
Quel mettersi a letto, senza sonno, con davanti una sola immagine, il suo viso... i suoi occhi... Alzarmi nella notte, girare per la casa... Toccare le sue cose... ore e ore a ripensare... quando sei  nato... il primo giorno di scuola... il primo sorriso... i capricci... la prima ragazza...
Quello sbattermi su una poltrona... accendere, spegnere la televisione... guardare senza vedere... tornare a letto... rialzarmi... un bicchier d'acqua... camminare, uscire di casa... sta arrivando il giorno... Rientrare... che farò oggi? Come sto vivendo...?
E' terribile sopravvivere ai figli... Non riuscirò mai a farmene una ragione...
24 anni! Morto... che vuol dire morto? Non vederti più...
In compenso ecco il rito delle visite di condoglianze: i parenti, gli amici che recitano banalità come in un rosario: "Vedrai che il tempo guarisce tutto", "Casey è in un posto migliore adesso". Certo a casa con sua madre era un campare da bestie!
Per favore non cadete nell'ovvio.
Se permettete vi voglio dare un consiglio: se vi capitasse di far visita ad una madre squarciata dal dolore, non parlate... abbracciatela, bagnatevi la faccia delle sue lacrime...  asciugatele gli occhi con piccoli baci, e vi prego lasciate i vostri stanchi e impotenti clichés sulla porta.
Noi... noi... Abbiamo subito una "violenta" amputazione.

Ma perché ti hanno mandato a morire laggiù in un Paese che fino l'altro ieri non sapevo nemmeno che esistesse? Perché?"
"Ho scelto io di arruolarmi mamma... lo sai... volevo studiare... farmi una posizione... E' andata così... è la vita. Pensa quante mamme sono nella tua condizione... non ti disperare più... non piangere, ti voglio tanto bene... ... signora Cindy..." Signora Cindy... Quante volte per gioco mi diceva: "Signora Cindy, sono arrivato! È pronta la cena? Ho fame!" (tra sé) Ho fame... ho fame...
"Hai ragione bimbo... il mio errore è piangere da sola... voglio cercare altre madri che come me sono rimaste senza il loro ragazzo. Voglio incontrarle..."
Sfogliando il giornale ho scoperto che non lontano da questo mio paese c'era un raduno di famiglie che avevano perso i loro figli. Ci sono andata. Due madri continuavano a rifarsi la stessa mia domanda: "Perché l'hanno mandato a morire fino laggiù? In un Paese che io fino all'altro ieri..."
"Lo vedi Casey?... dicono le mie stesse parole..."
Mi invitano a una manifestazione contro la guerra in Iraq, ci vado.
Non è granché... inoltre scorgo una indifferenza insopportabile da parte della gente che ci sta osservando dal marciapiede... Partecipo anche ad altri raduni più numerosi ma sento che non smuoviamo nulla. Sono sfinita e delusa.
Sono passati 17 mesi da quando ti hanno ucciso... è arrivato e passato anche il Natale. Nessuno se l'è sentita di montare l'albero.
Ogni tanto mi trovavo con il mio gruppo di madri: "Avete notato che appena una madre muore, il figlio lo chiamano orfano... muore il marito e lei la chiamano vedova... ma per una madre che perde il figlio, specie se in guerra, non c'è alcun nome, è una cosa del tutto ovvia, i figli muoiono e basta."

Una sera in televisione ho visto un documentario, prodotto da un'emittente tedesca, dove intervistavano uno scienziato e il suo staff inviati dalla Cia in Iraq, ripeto "inviati dalla Cia..." cioè dall'intelligence americana. Lo scienziato dichiarava: "Abbiamo indagato per lungo tempo percorrendo tutto il territorio.
I reperti che abbiamo rintracciato e analizzato non appartengono ad armi per la distruzione di massa." Il documentario prosegue con l'apparizione di Bush che fingendo d'ignorare l'inchiesta della Cia tranquillamente dichiara: "Il terrore è di nuovo alle porte. Se lo lasciamo fare Saddam è in grado di mettere in campo una bomba atomica da lanciare negli Stati Uniti entro un anno."
Oggi sappiamo che quella era una grossa menzogna, smentita anche dall'Onu e da esperti del settore Usa. Ma Bush non demorde, ora calza la maschera del cordoglio e, con sofferta enfasi, dichiara: "Quei giovani americani caduti in Iraq, si sono immolati per una nobile causa."
 "Nobile causa"?
Ma dove sta la nobiltà di un simile inutile massacro? Dov'è la nobile causa per la quale mio figlio si sarebbe sacrificato e con lui 1.800 altri cittadini americani?
No, basta! Io voglio conoscere la vera ragione di questo eccidio... e lui, il Presidente, me la deve dire davanti al cadavere di mio figlio. Casey ci sei? Andiamo. "Eccomi, ti vengo a cercare dovunque tu sia... Presidente, è inutile che scantoni! Non potrai nasconderti George W. Voglio guardarti in faccia mentre ti parlo, voglio che tu veda anche la mia di faccia, con  gli occhi arrossati e gonfi dal dolore, con la bocca senza saliva che le lacrime se la sono tutta bevuta."
Sono partita come per un campeggio: sulle spalle lo zaino con la tenda, era il 4 di agosto. Due giorni dopo arrivo nel Texas, a Crawford. Scendo da un pullman proprio davanti all'ingresso del ranch di George W. Bush,
Il luogo è desolato: un'immensa pianura su cui il sole di mezzogiorno incrudelisce... una temperatura insopportabile anche per un coyote.
Apro la sedia da giardino che avevo portato da casa e mi siedo, esattamente di fronte alle due grosse corna sorrette da altrettante travi di legno massiccio, che delimitavano l'entrata alla tenuta. "Mamma mia, Casey... che ingresso!... mai visto due corna così!"
Mi metto in testa un enorme cappello di paglia per ripararmi dal sole...

Sullo schermo viene proiettata un'immagine che riproduce l'ingresso del ranch di Bush.

Sento lo stridio di una frenata.
"E questo che vuole?" Si ferma davanti a me una macchina degna davvero di un Presidente e l'autista mi chiede se ho bisogno di qualcosa.
"Vorrei parlare con il signor Presidente, sono la madre di Casey Sheehan, un caduto in Iraq."
L'autista non risponde, schiaccia l'acceleratore e se ne va.
Estraggo un album dalla sacca e comincio a scrivere una lettera per il Presidente. Trascorrono un paio d'ore, il sole al tramonto proietta sul terreno due enormi corna d'ombra.
Rileggo lo scritto sottovoce... "Ti pare vada bene Casey?"
Arriva un poliziotto in moto, gli faccio cenno di fermarsi. Si arresta proprio tra le due corna: "Agente, le dispiace consegnare questa lettera al Presidente?".
"Vedrò se mi riesce! - mi dice afferrando la busta - Ma lei signora pensa di rimanere qui per molto tempo?"
"No! Solo fino a quando riceverò risposta. Non è proibito vero?"
"No, non credo. Fin quando rimane fuori dal ranch, nessuno la dovrebbe importunare: è territorio pubblico. Arrivederci e buona fortuna."
Mi sistemo per la notte. Pianto i paletti per la tenda, e la isso.
Arrivano due altri poliziotti in macchina con tanto di lampeggiante. Mi chiedono i documenti: "Cosa fa qui signora?"
"Aspetto dal Presidente una risposta alla lettera che gli ho fatto avere."
"Non sarebbe più comoda se l'attendesse a casa sua? Ci avrà messo l'indirizzo, no?"
"No. Dietro la busta ho scritto solo: sto qui fuori, davanti l'arcone d'ingresso del suo ranch, mi riconoscerà dal cappello. Attendo risposta."
Viene buio. Fra le due corna del portale si accende un gran faro che proietta potenti fasci di luce gialla. Per proteggere gli occhi mi avvolgo un foulard intorno al capo.
"Qui... vicino a me Casey... ti tengo come quando eri piccolo... Dormiamo ora... dormiamo... No caro... non ho paura... mi sento persino un po' più serena..."
 Il mattino mi sveglia un canto di bambini... sollevo il foulard dagli occhi e faccio capolino fuori dalla tenda.
Sta transitando uno stuolo di ragazzini: scout, maschi e femmine. Vanno a far visita al Presidente.
Un giornalista, che li segue, si ferma a chiedere con molto garbo che facessi lì. Gli racconto della lettera.
"Scusi se sono sincero ma penso che questa sua provocazione non avrà molto successo."
"Non è una provocazione... George Bush è il nostro Presidente. E credo di avere il diritto di porgli una domanda su mio figlio Casey. E' lui che lo ha spedito laggiù nell'Iraq a far la guerra. Voglio soltanto sapere perché."
Il giornalista mi guarda con un'espressione quasi commossa: "Fra poco il nostro gruppo incontrerà il Presidente... tenterò di accennargli del suo caso", e se ne va.
Estraggo il computer portatile, me lo pongo sulle ginocchia per comunicare a tutti i siti che conosco, quello che stavo combinando.
Il nostro appello sta rimbalzando in modo inimmaginabile, grazie ai blog, fino a raggiungere un'enorme quantità di siti".
Il giorno appresso, ricevo la visita di alcuni ragazzi che vengono da Huston. Mi hanno portato anche da bere ed altre provviste.
Mi fanno leggere dei giornali che, seppure in tono sciatto e distratto, danno notizie del mio sit-in.
I ragazzi se ne stanno con me tutta la giornata. Mi aiutano a spedire e-mail. Verso sera... oddio che sorpresa!... cominciano a montare le loro tende... si fermano con me! Su una di queste qualcuno ha affisso un cartello con scritto "Camp Casey". Ho abbassato l'ala del cappello per mascherare la commozione: è il più bel regalo che io abbia mai ricevuto.
Di colpo, come fossimo dentro a un film western, vediamo arrivare dal fondo del ranch un uomo a cavallo, è un funzionario dello Stato che, serio, ci avverte: "Oggi è l'8 agosto, se non ve ne andrete entro il 10, saremo costretti a considerarvi una minaccia per la sicurezza nazionale" "E cosa succede?" chiedono in coro i ragazzi. "Sarete tutti arrestati." Ci siamo guardati l'un l'altro. La risposta era sulle loro facce. Parlai io per tutti: "No, mi dispiace, noi non ci  muoviamo!" L'uomo a cavallo ci guarda per un lungo attimo in silenzio poi se ne va.

Mio marito, Patrick, non aveva voluto venire con me... non era assolutamente d'accordo su questa  mia protesta... Anzi era indignato. Per questo ha chiesto il divorzio. Davanti al giudice ha dichiarato: "Ci separano  inconciliabili differenze". L'unica differenza è che io tenevo mio figlio dentro di me, l'ho nutrito giorno dopo giorno, perfino il cuore batteva all'unisono con il suo. Avevo urlato nel partorirlo per dargli la vita... E quando è morto sono morta con lui. Questa è la differenza inconciliabile.
E' quasi ferragosto. Da dieci pullman scendono centinaia di persone tra cui i Veterani per la Pace. Lungo la strada che costeggia il ranch, hanno installato più di mille croci bianche - ognuna con il nome di un soldato morto in Iraq... c'era anche il tuo: Casey!"
Fra di loro ci sono intere famiglie, anche ragazze e madri di soldati al fronte, tutti decisi a restare con noi. Vengono issate altre numerose tende.
Una donna, emigrata dal Messico ancora ragazzina, mi si siede vicino: "Anch'io sono una madre disperata come te. Mio figlio, un immigrato ispanico, si è arruolato nell'esercito americano perché gli era stato assicurato che così sarebbe stato riconosciuto a tutti gli effetti, cittadino degli Usa... Sì, è stato riconosciuto cittadino americano... ma da morto. E grazie al suo sacrificio, anch'io come madre e i miei due figli, siamo stati riconosciuti cittadini americani con tutti i diritti di chi nasce in questa terra da padre e madre yankee. Quindi - ha aggiunto con evidente ironia - E' davvero una fortuna che l'abbiano ammazzato, questo mio primo figlio...". Poi è scoppiata a piangere.
Da un momento all'altro ci aspettavamo l'arrivo dei poliziotti come da promessa... Ma ormai erano in ritardo di due giorni. Forse quella massa di gente e le croci piantate lungo la strada e nel grande campo li avevano dissuasi.
Trascorre un'altra settimana. 
Giornali importanti si accorgono della mia presenza. Il New York Time e il Washington Post mi dedica addirittura una intera pagina... Arrivano troupe televisive, persino la CNN, la CBS. Mi sento molto imbarazzata.
Due sostenitori pacifisti, che hanno voluto restare anonimi, hanno acquistato a poche centinaia di metri dall'ingresso del ranch una modesta abitazione a un solo piano che hanno battezzato "La casa della Pace".
"Sono commossa Casey... In tutta l'America si sono tenute veglie di protesta contro la guerra e solidarietà con la nostra azione. Ieri notte, 17 agosto, sono state accese migliaia e migliaia di candele in tutti gli Usa contro la sporca guerra voluta da Bush...
Che dico da Bush, da Dio!

Un commentatore della CNN racconta che al Presidente capita addirittura di dialogare con Dio. Ed è  proprio lui, l'Eterno in persona, che gli ordina: "Fate strage dei nostri nemici se volete salvare l'America!" Ma questo, George, è un dio spietato e sanguinario. È un dio degli eserciti e della vendetta. Non ha niente a che vedere con il Vangelo dei cristiani... a meno che a nostra insaputa in cielo non ci sia stato un golpe!

Sono agitata. Nel cielo si stanno affollando nubi enormi che si muovono correndo a grande velocità. Proprio mentre il sole sta scomparendo arriva un lungo camion. Scendono ragazzi di una cooperativa di allestitori di stand per le fiere. Hanno deciso di regalarci un tendone sorretto da lunghe canne di bambù. Si mettono a lavorare. Freneticamente tendono funi mandando in aria i teloni come fossero vele.
Arriva la notizia che mia madre è stata ricoverata in ospedale. Una coppia di amici si offre di accompagnarmi all'aeroporto. Ci muoviamo subito. Trovo un aereo che parte in quel momento, ma non farò in tempo a salirci... sta già rollando sulla pista. Il capo scalo mi riconosce, mi abbraccia come mi fosse amico da sempre. Blocca la partenza, mi prende per mano e mi trascina correndo all'aereo. Dopo tre ore arrivo da mia madre. Per fortuna sta già meglio. Nulla di grave. Mi fermo qualche giorno poi rientro a Camp Casey.
Da lontano scorgo la cupola del tendone. Quando entro quello spazio mi sembra ancor più vasto. Alzo lo sguardo verso l'alto, mi sento mancare... lassù,  gigantesco mi appare un enorme ritratto di mio figlio, l'hanno dipinto sul telone traendo l'immagine dalla foto che tengo come salva-schermo, lui, tutto intiero che sorride e leva una mano a  salutare. Il telone del dipinto è mosso dal vento e Casey sembra proprio agitare il braccio e muovere corpo e viso. I ragazzi e le ragazze che mi stanno appresso si rendono conto dell'emozione che provo e mi si stringono intorno. Qualcuno dice: "Dovevamo avvertirla, è roba che ti spacca il cuore." Mi fanno sedere.

Decine di flash dei fotografi mi abbagliano, aumentando di ritmo come schiaffi. Il solito rituale. Adesso si fanno sotto i cronisti, incalzando con le domande.
Meccanicamente porto le mani a tapparmi le orecchie, mi rendo conto solo adesso di aver scatenato qualcosa più grande di me, che forse non sono in grado di gestire.
Non sono tutti benevoli con me. Qualcuno mi fa domande provocatorie. Uno in particolare mi chiede se sono al corrente che a Washington è stato organizzato un raduno di madri che a loro volta hanno perso il figlio in Iraq, e non sono assolutamente d'accordo con me.
"L'ho sentito dire. Ma le mie informazioni sono un po' diverse. Molte madri, invitate al raduno, si sono rifiutate di intervenire. Poche erano le madri presenti. Alcune, al momento di dichiarare il loro pensiero, si sono ammutolite. Anzi due di loro sono addirittura fuggite piangendo."
"E' falso - grida il giornalista - io ero presente a quel raduno e non c'è stata nessuna fuga. E tanto per ristabilire la verità ho qui con me una madre disposta a testimoniare la sua dolorosa fierezza."
La donna si alza, il pubblico ammutolisce. Si guarda intorno come intimorita. Poi leva la voce decisa: "Anch'io ho sofferto tremendamente per la perdita del mio ragazzo, ma sono orgogliosa d'aver dato mio figlio alla patria." Qualcuno applaude. Mi unisco a loro. Avrei voluto chiederle se fosse al corrente del fatto che i nostri figli erano entrati in guerra convinti da menzogne spudoratamente costruite. Ma non me la sono sentita. Mi arrendo. Preferisco perdere piuttosto che mortificare quella donna.

Il New York Time mi definisce la donna più famosa d'America. Continuo a chiedermi: "Ma parlano proprio di me?" Non riesco ancora ad abituarmi.
Oggi è il 30 agosto. All'improvviso ci accorgiamo che il Presidente non è più nel suo ranch. Se ne è fuggito nottetempo ritirandosi alla Casa Bianca. Non possiamo lasciarlo solo... smontiamo le nostre tende e lasciamo il Texas con i tre autobus  acquistati grazie a donazioni, diretti verso Washington.
Strada facendo in ogni città che attraversiamo troviamo sempre una folla incredibile che ci fa gran festa. La gente mi invita a parlare. Sono costretta a improvvisare, racconto di mio figlio, di quanta gente si sia unita a noi... di Bush e della sua criminale guerra.
Quando riprendiamo il cammino molte macchine si uniscono a noi. Giorno dopo giorno si forma una incredibile carovana. Ci mettiamo quasi un mese a raggiungere la Casa Bianca. Arriviamo il 24 settembre.
Facciamo un sit-in, siamo almeno in 500 mila... mai vista tanta gente insieme!
Molti sono i poliziotti che presidiano la zona... un esercito. Numerosa la presenza di stampa e televisioni. Due giorni dopo i poliziotti ci caricano.
Una voce mi ordina di levarmi in piedi e di spostarmi. Mi rifiuto. Mi sento letteralmente sollevata da quattro braccia. Scattano centinaia di flash. Sono in arresto con altri 383 manifestanti. L'accusa è quella di aver dimostrato senza permesso. Sorrido e penso a te... "Ce l'abbiamo fatta Casey... Ah, ah... la tua mamma in prigione... Che bel sonno mi farò stanotte!"
Che strano Paese il nostro... Ad ogni passo si esalta la sacralità della Costituzione e ad ogni occasione la si schiaccia sotto i piedi!
Il giorno dopo veniamo rilasciati su cauzione di 75 dollari che mi rifiuto di pagare. Saremo processati il 16 novembre.
Scatta una tempesta di e-mail che raccontano e commentano l'avvenimento. Moltissimi chiedono che venga organizzata una manifestazione ancor più imponente, magari a New York.
Da agosto a oggi sono trascorsi quasi quattro mesi. Quanta strada abbiamo fatto!
La gente stupita si chiede come mai Bush, Presidente degli Stati Uniti e capo supremo dell'esercito, possa ancora continuare a ignorare me e l'enorme movimento che mi appoggia.
Il famoso regista Micheal Moore dice: "Bush non può dare risposte né a Cindy, né a nessuna altra madre che ha perso un figlio in queste guerre per il petrolio! Ha costruito un castello di carte false e bugie incastrate una all'altra come una cattedrale. Se ne sposta una sola a caso, tutto gli crolla addosso. La cascata non creerebbe rumore, ma il vuoto che si aprirebbe dietro quel crollo sarebbe disastroso."
Uno che è avvezzo a dialogare con Dio non sopporta di ritrovarsi senza una cattedrale!

Presidente, non provo sentimento di odio nei Suoi riguardi... solo un certo disprezzo. Vorrei limitarmi a questo, ma non ci riesco. Perdonare?
No, non posso perdonare.
È la sua arroganza, Signor Presidente, sporcata dal fastidio che Le vado procurando, ad impedirmelo... perché Lei, oltretutto, non ha cancellato solo l'esistenza di mio figlio, ma con lui ha distrutto anche quello che io aspettavo trepidante... un "suo" figlio. Sì, fra un anno Casey e la sua ragazza si sarebbero sposati. Poi, sono certa, sarebbe nato un bambino.
L'ho sognato e continuo a sognarlo.
Lei, con la Sua guerra, mi ha ucciso anche i sogni! Sia maledetto!

Ho incisa nel cervello la trionfale immagine di Lei, Signor Presidente, infilato nella tuta da pilota da guerra che scende da un super jet planato su una portaerei degli Usa nel Golfo Persico. Una folla di marines scandisce urrà! "Missione compiuta!", lei annuncia a gran voce. Che guerriero!
Lei è un uomo ridicolo, Presidente.
Negli Usa la gente sa che nella guerra del Vietnam lei si era imboscato. Lei non ha mai partecipato ad alcuna azione militare.
Ora indossa la pelle del leone e ci viene a raccontare una favola eroica. CHE UOMO RIDICOLO!
Ma lei nel suo governo si trova in buona compagnia. La predisposizione del suo staff e dei suoi senatori all'imboscamento è ampiamente documentata: dei 535 membri del congresso, proprio quelli che hanno esaltato l'invasione dell'Iraq, uno solo può vantare un proprio figlio nella zona di scontro! E' proprio il caso di sghignazzare: "Arruolatevi fessi e partite! Andate a crepare!"

Quando è esploso il tornado Kathrina che ha travolto tutta la Louisiana - disastro annunciato - mentre morivano centinaia e centinaia di persone, dov'era lei, signor Presidente? Nel suo ranch a trascorrere bellamente il week end, al riparo da colpi d'aria. A fatica s'è deciso a far visita al luogo del disastro, quando ormai molti erano morti e i superstiti evacuati.

Oggi ho visto proiettato su un grande schermo un documentario su Guantànamo: sequenze senza commento di quella galera a dir poco criminale, degna di un progetto nazista.
C'erano gabbie all'aperto come quelle degli zoo. Invece di animali si vedevano transitare uomini incatenati, sorretti da militari. I prigionieri vestivano tute di un arancione sgargiante, che li facevano assomigliare a larve di pagliacci. Si guardavano intorno, ma non recepivano alcunché.
Di certo quegli uomini che avevate catturato, imprigionato, tenendoli in gabbie, facevano parte di una masnada di fanatici, i talebani, usi a opprimere e a mortificare il popolo dell'Afghanistan, soprattutto le donne, cancellandone il volto e la dignità, a compiere violenze indicibili travolti dal vuoto della ragione.
Ma dove l'avete buttata la nostra Costituzione che impone che ogni prigioniero sia sottoposto a giudizio? Voi li avete portati a Guantànamo, cioè fuori dal territorio nazionale, così essi perdono qualsiasi diritto civile.
Ma la nostra è, fino a prova contraria, una nazione democratica di massima grandezza e la nostra Costituzione ci impone l'assoluto rispetto per la persona umana, anche se quell'individuo è colpevole di crimini efferati.
Caro George... scusami se ti dico che a quella vista mi sono vergognata del mio Paese. No, mi sono male espressa. Per il mio Paese provo tutta l'ammirazione e l'amore che meritano le sue incredibili azioni civili. Mi sono vergognata del mio governo, delle forze di polizia militare e di come avete aggirato le leggi democratiche e sacrosante che questa nazione si è data, conquistando la libertà. Mi sono vergognata di te, Presidente!

Siamo al 17 febbraio 2006. Le riunioni con le associazioni contro la guerra e per il ritorno dei nostri ragazzi si susseguono. Sono stata in mezzo mondo: meeting, dibattiti... ovunque nascono "Case della pace". Poche volte mi capita di dormire per più di una notte nello stesso letto. Non posso dire di addormentarmi, ma piuttosto di perdere i sensi tanto sono stremata. E poi ecco che puntuali tornano i sogni, i ricordi... le lacrime.

Qualche notte fa come in un incubo ho incontrato perfino Bush, con sua madre.
Come mi sono svegliata ho deciso di scriverle una lettera, sì, proprio a lei, alla madre del Presidente: Barbara.
Eccovela...
Cara Barbara, sono la madre di Casey Sheehan, un soldato ucciso in Iraq. Tu, Barbara, sei la madre di quello che me l'ha ucciso.
Mio figlio non voleva andare in Iraq, ma ha ubbidito a un impegno preso. Anche tuo figlio aveva preso un impegno, ancor prima del 2000, non con il popolo americano, ma con fabbricanti d'armi e petrolieri: quello di invadere l'Afganistan, l'Iraq. Ma l'ha tenuto ben nascosto. Così ho scoperto che Casey era un uomo morto ancor prima di arruolarsi.
Ho cresciuto Casey e i miei altri figli educandoli a non usare mai la violenza quando le parole si dimostrano insufficienti per aver ragione. Li ho educati a non condire mai un discorso con la menzogna.
Ero anche solita lavare la bocca dei miei figli col sapone, nelle rare occasioni in cui mentivano... tu l'hai fatto con George? Ha mentito tuo figlio e sta ancora mentendo. Puoi lavare la bocca col sapone a tuo figlio? Puoi farlo ora?
Lo sai che folle di cittadini hanno scoperto l'ipocrisia su cui si regge il suo potere e lo hanno abbandonato?
E lo accusano e gridano indignati: "Hai invaso un Paese, ammazzato 100 mila persone innocenti, stai radendo al suolo con le tue bombe intelligenti  infrastrutture... per liberare il popolo iracheno! No, degli iracheni non t'importa nulla. Sei andato in quel Paese per fare ricchi la tua famiglia e i tuoi amici di famiglia, profittatori di guerra. Il tuo è un crimine ingiustificabile!"
Lo so, forse ti sto seccando, cara Barbara. Voglio ricordarti una cosa... poco più di un anno prima che il mio adorato Casey fosse ucciso dalle manovre spietate di tuo figlio, tu, seccata dalle domande di alcuni giornalisti sui soldati caduti in guerra, hai dichiarato: "Perché dobbiamo continuare a discorrere di sacchi di plastica con dentro cadaveri, di corpi martoriati?
Intendo dire, non sono rilevanti.
Perciò mi chiedo, perché dovrei affaticare la mia bellissima mente, il mio prezioso cervello, per pensare a cose come queste?"
Sì! L'hai detto proprio tu... Barbara... al Good Morning America, il 18 marzo 2003!
Non pensi di dovere a me e a ogni altro genitore dei 2200 caduti in Iraq delle scuse per questo tuo crudele e sguaiato commento? Vergognati!
Mi ricordo un requiem che da ragazzini si cantava in chiesa durante i riti funebri. "L'Angelo della morte avvolge spietato i corpi degli innocenti. L'angelo della morte per noi madri che abbiamo perso i nostri figli, ha la faccia di tuo figlio: George W. Bush .
Cindy Sheehan

Tutto è immerso in una calma piatta e muta, la stessa che preannuncia l'uragano. Come diceva Benjamin Franklin, l'America è un Paese sempre imprevedibile. Non fidarti della calma assoluta in cui sembra affogarsi ogni giustizia. All'istante può  scoppiare un tornado che solleva e spazza via tutte le false regole, insieme ai burattini e ai pupazzi, e i primi a sorprendersi sgomenti sono proprio i burattinai.
George... ogni giorno di più stai perdendo credibilità e rispetto. I tuoi tirapiedi sono stati trascinati in processo. Il gran giurì ha condannato come ipocrita e falsificatore, nonché mentitore, Scooter Libby, il cervello del vice presidente, a sua volta incriminato.
Tutti stiamo a testa in su, intorno alla Casa Bianca, aspettando di veder buttare dalla finestra uno a uno, come nelle comiche di Buster Keaton, i pupazzi della corte del Presidente.
Sotto non ci sono reti: i tonfi quindi saranno spettacolari e tremendi.
Anch'io mi ritrovo fra il pubblico ad assistere ai lanci. Ma non riesco a gioire, poiché in prima fila nel giardino della Casa Bianca continuano ad apparirmi seduti a terra, uno vicino all'altro, i 2.380 figli (dato aggiornato all'8 aprile 2006) di altrettante madri come me...
Non li vedi George? Per forza... tu continui impettito a marciare davanti alle bare, seguito dalle bandiere al suono di fanfare. È un copione recitato da secoli, ormai. E non mi venite a raccontare la solita tiritera della civiltà da salvare: quello che vi interessa conservare vivo è solo il vostro vantaggio, il vostro privilegio! 
Con la guerra siete riusciti a tenere perennemente in tensione l'intero Paese, indurlo ad accettare sacrifici, privazioni perfino riguardo i diritti civili e le leggi, al grido di "Meno libertà per una maggiore sicurezza!" (al pubblico) Attenti, guardate in su: fra poco vedrete precipitare anche l'ultimo gran bugiardo, ma noi, donne madri, non applaudiremo. Noi sappiamo bene che il mondo non cambia buttando giù ogni tanto un cialtrone. Cambia solo se si riescono a svegliare in ognuno la coscienza e la volontà di partecipare e di controllare ad ogni costo chi gestisce la nostra vita.

Fine