Questa sera collegamento ore 18: Seminole e Ecotecno feste

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Partiamo con l’indice del romanzo sui seminole. Cerchiamo scrittori selvaggi disposti a chiudere questo libro entro 8 giorni!
Follia? Flash Mob?

Capitolo 1
Dove si narra dell’Africa nera e di un uomo e una donna che vengono trati in schiavitù. La donna è incinta

Capitolo 2
Dove si narra della tremenda traversata, della nascita del bambino nella fazenda in Messico. Con brevi cenni sulla vita da schiavi.

Capitolo 3
La fuga dalla schiavitù della madre. Come avviene?

Capitolo 4
Fuga verso i territori Calusa. L’incontro con i nativi americani. Il villaggio dei neri in territorio Seminole e dove si racconta di come i Calusa vincero contro gli invasori bianchi quattro volte, ma furono sterminati dalle malattie, Come diedero ospitalità agli indiani profughi dalle zone conquistate dagli europei e di come mai i Calusa cambiarono nome e diventarono Seminole.

Capitolo 5
La madre si innamora di un uomo Calusa. Lui si trasferisce a vivere nel villaggio nero.

Capitolo 6
Dove incontriamo Jonh Horse e scopriamo che è bravo a imbrogliare i bianchi. Storia di come vendette le stesse 2 tartarughe, 30 volte, a un generale bianco e di come divenne così famoso tra i neri e i Seminole.

Capitolo 7

La prima Guerra seminole
Jonh Horse arringa gli schiavi nelle piantagioni invitandoli a fuggire e unirsi all’esercito dell’alleanza Seminole-Black Seminole.

Capitolo 8
Horse porta in battaglia i 300 schiavi ribelli che ha reclutato ma essi si comportano da vigliacchi. Allora lui si mette sotto il fuoco nemico e li incita deridendoli fino a quando non si decidono a combattere e vincere.

Capitolo 9
I bianchi rapiscono la moglie di Osheola, capo di battaglia Seminole, e tutto quello che accade poi.

Capitolo 10
Dove si narra di come alcuni capi Seminole furono corrotti e si determinò la grande deportazione in due riserve lontane molti giorni di cammino. E come fu che non venne dato cibo ai Seminole e molti morirono durante il viaggio.

Capitolo 11
La vera storia del capo indiano svedese e del suo amore per una donna Seminole figlia di Jonh Horse e di una ragazza bianca (di cui non si sa quasi niente di niente, nè di lui né del suo amore ma la raccontiamo comunque inventando la narrazione di un olandese ubriaco).

Capitolo 12
Dove si narra di un grande agguato dove perirono più di 100 cani bianchi.
I soldati bianchi attaccano Fort Black.

Capitolo 13
Dove si narra della figlia del Capo indiano Svedese e della figlia di Horse, di come si innamorò di un Seminole e di come insieme parteciparono in modo imprevedibile alla terza Guerra Seminole. C’è anche un traditore Seminole. (E questa è una sfida alla fantasia e alla logica perché è tutto da inventare deducendo)

Capitolo 14
Il traditore Seminole del capitolo precedente continua a far danni.
Succede qualche cosa e si arriva alla giusta punizione del traditore e alla salvezza degli innamorati. Fine delle guerre Seminole

Capitolo 15
Qui bisogna inventarsi qualche cosa che succede tra il 1860 e il 1906 (?) quando si arriva alla firma del trattato di pace con gli Usa.

Capitolo 16
Inventare una storia nel periodo fino al 1940

Capitolo 17
La storia di Mae Tiger.

Appendice storica 1
I Calusa e il divieto del re di Spagna di colonizzare le terre abitate da mostri.

Appendice storica 2
Le guerre Seminole e i Black Seminole

Appendice storica 3
I Seminole nel 1900

Appendice Storica 4
Usi e costumi.


Commenti

I capitoli del romanzo Seminole con note e pezzi scritti

Capitolo 1

Dove si narra dell’Africa nera e di un uomo e una donna che vengono trati in schiavitù.

 

La donna è incinta Kai portò il dorso della mano destra sulla fronte,il sole era alto e caldo ed il lavoro nei campi iniziava a diventare pesante per lei; si fermò,posò la zappa e si diresse verso l’otre pieno d’acqua,lo prese,si accovacciò,bevve a piccoli sorsi e si riposò. La sua mente iniziò a vagare,con la mano sinistra si accarezzò il ventre rigonfio,chiedendosi come sarebbe stato il suo bambino. Poi un suono,forte,secco;il tamburo,si era il tamburo del villaggio,quello che veniva usato per annunciare il pericolo;si alzò in fretta Kai,iniziando a correre verso il villaggio,velocemente,entrambe le mani appoggiate sul ventre “Ti proteggo io bambino mio,non preoccuparti”. C’era agitazione,alcune donne prendevano i bambini e li portavano nelle capanne,i guerrieri si preparavano. In mezzo alla gente scorse Zama che le andava incontro. Preoccupata. Alcuni uomini erano tornati dalla caccia ed avevano visto una guarnigione militare che avanzava verso il villaggio. Gli anziani si erano riuniti nella capanna grande,quella centrale,dovevano decidere come affrontare il pericolo,i guerrieri erano pronti a partire;Kai si avvicinò a Kamau,anche lui era un guerriero,il “suo” guerriero,doveva andare con gli altri,lo guardò soltanto senza dire nulla. Gli anziani uscirono dalla capanna:uno di loro battè tre colpi a terra con un bastone,tutti si radunarono intorno a lui e ascoltarono in silenzio,la decisione era stata presa: i guerrieri sarebbero partiti subito per cercare di fermare i soldati e le donne al villaggio avrebbero provveduto a difendere i loro bambini,semmai ce ne fosse stato bisogno. Ka i guardò i guerrieri allontanarsi,aveva una strana sensazione,guardò Kamau come se dovessi vederlo per l’ultima volta.
Andò da Zama;anche lei era preoccupata,pensò Kai,ma entrambe dovevano contribuire a difendere il villaggio insieme alle altre donne e a non far percepire l’ansia ai bambini.
I giorni passavano e dei guerrieri nessuna notizia,Kai sperava ogni girono di veder tornare Kamau, niente … .ma quella mattina,vedendo arrivare il ragazzo,troppo giovane per essere guerriero,ma perfetto come sentinella,sentì il cuore spaccarsi;non aveva ancora parlato il ragazzo,stava riprendendo fiato a causa della lunga corsa fatta fino al villaggio;Kai si avvicinò:una giovane donna con un bambino caricato a cavalcioni sull’anca destra stava porgendo al ragazzo una ciotola con dell’acqua,mandò giù dei lunghi sorsi,poi,allarmato,disse:”Li ho visti,ho visto i soldati,stanno arrivando al villaggio,sono molti!” Kai capì subito,come del resto tutti al villaggio,che i guerrieri non ce l’avevano fatta. Soffriva. Zama guardò Kai,occhi negli occhi,leggeva il suo dolore e la sua angoscia: Kamau non sarebbe tornato! Kai sentì una mano accarezzarle lentamente la testa,come quando era piccola:”So che stai soffrendo Kai,ma devi pensare a salvare te e il tuo bambino”. In fretta si,bisognava fare in fretta,lasciare il villaggio e nascondersi nella fitta vegetazione; Kai, prese un’otre d’acqua,il suo coltello,delle pelli,erbe essiccate,radici che le sarebbero servite se nel frattempo fossero iniziate le doglie. Radunò le sue cose mentre Zama la chiamava:”Dobbiamo andare Kai,si stanno avvicinando!”
Iniziarono a correre nella foresta,muovendosi silentemente,anche gli altri abitanti del villaggio stavano scappando. Camminarono per diverse miglia,poi Zama vide che Kai era stanca:”riposiamoci,qui dovremmo essere al sicuro”. Kai si lasciò cadere a terra;si aveva bisogno di riposare;Zama le passò l’acqua,Kai ne bevve pochi sorsi;cercò di alzarsi,dovevano riprendere il cammino se non volevano essere raggiunte,ma era stanca,troppo per poter proseguire. “Dormi” le disse Zama, “faccio io la guardia”.Kai si distese;stanca lo era,ma la sua mente vagava tra mille pensieri:pensò a Kamau,alla prima volta che si erano incontrati,alla prima volta in cui avevano fatto l’amore,al momento in cui aveva scoperto che sarebbe diventata presto madre; Kamau chissà dov’era e se era ancora vivo!La stanchezza ebbe il sopravvento,chiuse gli occhi.
Il fruscio che sentì mise Kai in allerta,c’era qualcuno,si era sicura,qualcuno si stava avvicinando. Voci. Uomini. Cinque,sei forse.Vicini. Ancora di più. Eccoli,soldati!Cercò Zama,si guardò intorno … no,lei non c’era,le era accaduto qualcosa,non l’avrebbe mai lasciata lì sola. Non poteva,non poteva chiamarla rischiando di farsi individuare dai soldati. Avrebbe voluto correre via,ma non poteva,avrebbero sentito i suoi passi. Cercò riparo presso alcuni cespugli dalle larghe foglie,sperando che i soldati non la vedessero. Ma loro erano a caccia:scrutavano,battevano i fucili a terra,strusciavano le baionette contro i cespugli e…aspettavano,come il predatore aspetta la sua preda. Kai li osservava dal suo nascondiglio e con le mani si carezzava il grembo,ad un tratto una voce,familiare: -si! Zama! Sei viva!Sei viva!- anche il bambino scalciò nella pancia di Kai,che cercò di sistemarsi in modo da poter vedere meglio,era buio,strinse gli occhi,focalizzò le figure:Zama era viva,ma era stata catturata!
Passi. Qualcuno si sta avvicinando al suo nascondiglio,forse però,se non avesse urlato,se non si fosse mossa..forse non si sarebbero accorti di lei. La baionetta del fucile del soldato scandaglia minacciosa il cespuglio. Silenzio. Zitta. Calma. Immobile. Passi,ancora;si allontanano stavolta. Bene. Nulla,più nulla “Devo andarmene da qui e alla svelta!”.
Un colpo,sordo ed improvviso. Un urlo,come di una preda ferita,abbattuta. Un altro urlo,quello di Kai stavolta;aveva visto il corpo di Zama cadere a terra sotto il colpo di fucile,”NOOOO,perché!!!” Non si accorse Kai di aver urlato,di aver gridato la sua disperazione;in un attimo i soldati la fecero prigioniera. La costrinsero a camminare per miglia e miglia ,trascinandola per i polsi,era frastornata,aveva nella mente l’immagine del corpo senza vita di Zama.
Quanto avevano camminato e dov’erano? Non sapeva darsi una risposta era stanca,aveva sete. Aveva tentato di chiedere dell’acqua ai soldati indicando un’otre;ma loro,pur avendola capita,ne era certa,avevano fatto finta di nulla;anzi l’uomo che la trascinava per i polsi le aveva dato un violento strattone per farla camminare più svelta.
Aveva camminato per tutta la notte,trascinata dai soldati che parlavano tra di loro. Era quasi l’alba quando i soldati si fermarono,Kai stremata,si guardò intorno:tende,armi accantonate da una parte,munizioni …l’avevano portata al loro accampamento. Vide altri uomini. Soldati che portavano altre persone del suo villaggio:donne,bambini,anziani. Erano stati catturati…….
 ((scritto da Daniela))

 

SECONDO PEZZO, DA INTEGRARE COL PRIMO (IPOTESI)

 

“stanno arrivando”... la voce seppure bassa del guerriero mi aveva destato di soprassalto, stavo guardando il riverbero della luce sulla superficie delle acque del fiume, e il frangersi dei raggi del sole fra le foglie verdi degli alberi; è proprio una bella terra quella dove abitiamo. Mi guardava aspettando che gli dicessi qualcosa; era strano pensare a lui come ad un guerriero. Fino a pochi mesi fa era un contadino con qualche mucca da allevare, ora lui ed altri centinaia di uomini erano rannicchiati fra gli alberi di una giungla a giocare alla guerra. “Stanno arrivando”. Giorni fa ho inviato alcuni di noi a perlustrare la zona per capire dove si dirigeva la colonna comandata dal generale; mi interessava sapere dove avrebbe attraversato il fiume. Avevo un piano e quell'informazione era fondamentale perché si realizzasse. La nostra è una terra d'acqua, e un esercito, piccolo come il nostro o numeroso come il loro, comunque non poteva passarvi senza prima o poi guadare un fiume, ed era in quel momento, quando per necessità imposte dalla natura la forza veniva frenata e l'esercito diviso, che avevo deciso di attaccare. Il generale aveva già passato con i suoi uomini molti specchi d'acqua, acquitrigni, paludi, fiumiciattoli, e noi abbiamo aspettato. Ora si dirigeva verso il luogo che avevamo atteso. “stanno arrivando” “dove?” “da quella parte” “bene preparatevi”. Dopo la mia parola seguirono cenni e versi e in pochi attimi gli uomini erano in postazione. Li conosco tutti e tutti mi sono cari, ho timore di vederli morire eppure li conduco allo scontro. A noi non interessano il coraggio o l'onore, siamo disposti a travestirci, mentire e scappare se serve a restare vivi e liberi. Forse è per questo che si fidano di me, oltre al fatto che li faccio ridere. Ecco i primi segni indiscutibili dell'imminente arrivo. Prima l'odore di sudore di corpi chiusi dentro divise e armature logore, poi il rumore cacofonico di passi inadatti al terreno fangoso, e poi il luccichio dei metalli, togliendo ogni dubbio sulla qualità di quegli uomini e sulle loro intenzioni.
Ora la colonna era alla riva opposta, e mentre alcuni di loro si predispongono in un sorta di bivacco d'attesa, altri cominciano ad attraversare in piccole canoe il fiume, raggiungendo la riva dove noi gli aspettiamo. Non posso credere che uomini tanto violenti e abituati alla guerra siano nel contempo tanto stolti da attraversare in quel modo un fiume. Ma in questo caso mi va bene che a guidare l'altro esercito vi fosse un generale e non un uomo libero come noi! Per nostra fortuna non sempre i violenti sono anche intelligenti. L'arrivo degli invasori alla riva a noi vicina è progressivo. Spero che nessuno dei nostri si muova troppo presto. “Dobbiamo aspettare il momento giusto”. Lo avevo spiegato più volte e me lo ero fatto ripetere quasi all'ossessione dagli uomini meno pazienti, quelli che in altre circostanze erano stati fondamentali, perché avevano reagito rapidi e d'istinto salvando molti di noi; ora dovevano controllarsi e attendere il segnale. Io dovevo dare il segnale. Il nostro obiettivo era raggiungere il massimo risultato con il minimo rischio. Non siamo guerrieri non ci piace la guerra, il massimo rischio per noi è la morte, non il disonore, o la perdita di una postazione o di un simbolo, ma la vita nostra e dei nostri cari. Si doveva attaccare in un momento “armonico”. Non ricordo come mi era potuto venire quel pensiero; associare la musica alla guerra lo trovavo stridente, però io lo sentivo così. Era come un passaggio musicale, se anticipavo troppo la musica sarebbe finita troppo in fretta, avremmo rischiato pochissimo, ma non avremmo ottenuto nessun risultato rilevante, perdendo oltretutto l'opportunità di usare un'altra volta questa tattica. Non potevo nemmeno aspettare troppo con il rischio opposto di rischiare ingenti perdite fra di noi, o addirittura la sconfitta. Intanto guardavo. Con un colpo d'occhio ho come l'impressione di vederli tutti, i nostri nascosti fra gli alberi, e guardandoli quasi sentire la tensione dei loro muscoli, gli archi testi, i fucili puntati, le fionde armate dei sassi. E poi gli altri uomini, si perché anche quelli sono uomini, venuti a ucciderci, a rubare le nostre terre, a renderci schivi per i loro bisogni; avevo anche loro nel mio colpo d'occhio e nel mio cuore. Ok è il momento... segnale! Sono nella tempesta, una goccia nella tempesta, improvvisa da una nuvole inattesa, cadde dalle fronde degli alberi e dalle foglie dei cespugli la nostra pioggia di proiettili, frecce e sassi. In pochi attimi più della metà degli uomini vicino alla nostra postazione erano morta o gravemente feriti, gli altri non riuscivano ancora a capire nulla. Gli uomini delle barche erano tutti morti, e queste senza direzione cominciano ad allontanarsi trascinate dalla corrente, alcuni degli invasori allora si girano e corrono per raggiungerle, dalla riva opposta si levano grida! Secondo segnale! Partiamo come una sola onda con una forza d'urto che mi faceva tremare i muscoli. Era l'assalto corpo a corpo che aveva seguito la tempesta. Come fango di un fiume in piena ci rovesciamo sui sopravvissuti sommergendoli. La strenue resistenza degli ultimi dura poco. Alla fine ansimando mi guardo attorno; siamo ricoperti di sangue, a terra giaciono corpi mutili, feriti, e cadaveri; sento da più parti gemiti e lamenti, e dall'altra riva le grida alzarsi più forti. Non resisto più! Devo gridare anch'io! Non per la vittoria o la gioia di aver ucciso, ma perché sono ancora vivo. Poi uno strano silenzio, ho guardato verso l'altra riva, dove il restante gruppo di invasori si agitava senza sapere cosa fare, avevo valutato bene anche l'ampiezza del fiume e il soffiare del vento. I loro proiettili non ci raggiungono. “prendiamo quello che ci serve e andiamocene”. Alcuni di noi, che sapevano cosa fare cercarono di aiutare i feriti, altri si organizzarono per portar via i cadaveri dei compagni morti, altri ancora raccolsero tutto quello che ritenevano utile (munizioni, armi, boracce). Io ero fermo a pensare al prossimo scontro. Da anomalia Anomalia,ho seguito il tuo consiglio... Salve Anomalia,ho seguito il tuo consiglio e ho provato a riscrivere "IL Guado" con il mio stile,quello che segue è il risultato:
__Lo stato di allerta in cui si trovavano non gli impedì,seppure per poco tempo,di distrarre la propria mente ammirando le meraviglie della terra in cui viveva;ma il suono di una voce amica lo ridestò da questi pensieri e lo riportò bruscamente alla realtà: stavano arrivando!Era giunto il momento!
Il soldato che era andato ad avvertirlo aveva appena sussurrato,per evitare di essere udito da orecchie indiscrete;ora era lì,di fronte a lui,aspettava che egli gli dicesse cosa fare,che gli desse un ordine. Già:un ordine,era a capo di quel drappello di uomini ora,doveva ripeterselo ogni tanto,giusto per non rischiare di dimenticarsene.
Era strano pensare a lui come ad un soldato:fino a poco tempo prima la sua realtà,come pure quella di un altro centinaio di persone,erano il villaggio ,le mucche,il campo. La sua vita scorreva in perfetta armonia con la natura e in funzione del bene della piccola ma serena comunità di cui era parte.
Ad un tratto tutto era cambiato:la notizia dell’avanzata dell’esercito e il timore di veder conquistata la propria terra l’aveva spinto a riunire gli uomini del villaggio in una guarnigione che avrebbe tentato di contrastare l’esercito;certo lui disponeva di pochi uomini e quei pochi che aveva non erano addestrati ad affrontare una guerra,ma avrebbero difeso la propria terra a costo della vita e avevano il vantaggio di saper esattamente come muoversi su un territorio tanto ostile allo straniero.
Si,egli sapeva che il suo piccolo esercito era inferiore sia per numero che per abilità bellica;per questo si era appostato con i suoi uomini nel punto in cui,ne era certo,il generale avrebbe tentato il guado del fiume. Era quello il momento in cui il potente esercito nemico si sarebbe temporaneamente sparpagliato,questo avrebbe dato loro l’opportunità di tendere un’imboscata senza subire troppe perdite.
Sentiva salire la tensione per l’imminente battaglia e per l’incerta sorte che sarebbe potuta toccare a lui così come a uno qualunque dei suoi compagni;una perdita,anche solo una,sarebbe stata una perdita di troppo che gli avrebbe causato un dolore immenso:li conosceva tutti i suoi uomini,lui. Era cresciuto con loro,aveva lavorato,riso e scherzato insieme a loro;ma sapeva che stava facendo ciò che andava fatto per non perdere la libertà.
I rumori che annunciavano l’arrivo imminente del generale e del suo esercito si facevano via via più forti fin quando i soldati comparvero davanti a loro:erano davvero tanti,pensò,l’esito della battaglia si faceva sempre più incerto nella sua mente;loro non erano un popolo di tradizione bellica,volevano solo evitare che le loro terre gli venissero tolte,tutto qua!
Continuava ad osservare,nascosto tra gli alberi,la colonna di soldati che si accingeva a guadare il fiume in piccoli gruppi a bordo di canoe;spettava a lui dare il segnale ai suoi compagni,era un compito di grande responsabilità:buona parte dell’esito della battaglia sarebbe dipeso da quell’unico,impercettibile ed interminabile attimo in cui egli avrebbe ordinato l’attacco.
Si stavano avvicinando ormai,si … era il momento,l’istante che precedette il segnale gli sembrò eterno;poi “Via!”
L’effetto sorpresa aveva funzionato: una pioggia di frecce e proiettili investì i soldati sulle canoe,la maggior parte di essi non riuscì ad arrivare sulla riva opposta del fiume e coloro che vi riuscirono approdarono tra le braccia della morte.
Tutto era terminato ormai,al fragore della battaglia si erano sostituiti tenui lamenti ed un pesante silenzio. Avevano vinto, si guardavano sgomenti l’un l’altro ascoltando solo il tumulto dei loro cuori e guardando i corpi senza vita degli uomini del generale;poi ad un tratto,uno di loro urlò.
No,non era gioia,era tensione,paura,incredulità … quell’urlo ridestò tutti dal torpore: non era finita;non ancora, bisognava curare i feriti,prendere dai cadaveri dei nemici ciò che avrebbe potuto esser utile loro per il prossimo scontro………

Da daniela76

 

Capitolo 2

Dove si narra della tremenda traversata, della nascita del bambino nella fazenda in Messico. Con brevi cenni sulla vita da schiavi. Capitolo 3 La fuga dalla schiavitù della madre. Come avviene?

 

APPUNTI DI STORIA

La FLORIDA e’ spagnola per tutto il diciottesimo secolo ad eccezzione dei due decenni dal 1763-83 che passa sotto il dominio inglese. Gli americani hanno comunque sempre interesse a levare la florida agli spagnoli e spingono sul confine con georgia, alabama e florida.


-1790 William Augustus Bowles of Maryland e’ un bianco atipico che decide di mettersi a capo degli seminole e dei creek meridionali. Fonda Muskogee popolata da muskogeans. Muore nel 1805 in una prigione spagnola ma il suo operato riesce ad incrinare i rapporti tra indiani e americani della georgia e alabama
-1774 Molti schiavi neri scappano dalle piantagioni e si insediano in florida. Molti diventano “schiavi” dei seminole ai quali devono un terzo del raccolto. Essi erano ottimi guerrieri, molto intelligenti ed erano bilingui (inglese, creek. Utilissimo). Gli americani accusano gli indiani di rubargli gli schiavi. I creek senza un consenso dei seminole firmano un trattato dove attestano di restituire gli schiavi>>questo inasprisce i rapporti creek-seminole

 

Capitolo 4

Fuga verso i territori Calusa. L’incontro con i nativi americani. Il villaggio dei neri in territorio Seminole e dove si racconta di come i Calusa vincero contro gli invasori bianchi quattro volte, ma furono sterminati dalle malattie, Come diedero ospitalità agli indiani profughi dalle zone conquistate dagli europei e di come mai i Calusa cambiarono nome e diventarono Seminole.

Capitolo 5

La madre si innamora di un uomo Calusa. Lui si trasferisce a vivere nel villaggio nero. di come la situazione restò sul filo della guerra per un po’ di tempo. Capitolo 6 Dove incontriamo Jonh Horse e scopriamo che è bravo a imbrogliare i bianchi. Storia di come vendette le stesse 2 tartarughe, 30 volte, a un generale bianco e di come divenne così famoso tra i neri e i Seminole.

 

-1812 Il governatore spagnolo Kindelan aizza gli indiani contro gli americani e a condurre piccole invasioni in georgia. Di conseguenza il colonnello Daniel Newnan porta i suoi in territorio spagnolo per attaccare il nucleo indiano. La battaglia durera’ dal 27 settembre all’11 novembre. I seminole capitanati dal re payne vincono gli uomini di newnan. Questo fa molto inalberare gli americani.

 

Capitolo 7

La prima Guerra seminole

Jonh Horse arringa gli schiavi nelle piantagioni invitandoli a fuggire e unirsi all’esercito dell’alleanza Seminole-Black Seminole.

-1813 Arrivano rinforzi dal tennessee col colonnello john williams che brucera’ 386 case indiane, distrugge i raccolti e rapisce il bestiame.
-

1813-14 GUERRA CREEK (dettaglio nel post precedente) che vede i creek contro i bianchi. Andrew Jackson ha la meglio sui creek ai quali confisca le terre. Molti profughi si rifugiano dai seminole


-1814 EDWARD NICOLLS luogotenente colonnello della marina di sua maesta’ di Inghilterra arruola alcuni mikasuki lungo il fiume apalachicola. Costruisce un fortino che nel

 

1816 lascia agli indiani. Esso viene pero’ subito occupato da una banda di neri e verra’ chiamato negro fort. (in florida nel territorio spagnolo a 60 miglia dal confine americano). Esso giace lungo le sponde dell’apalachicola e quindi interferice con i rifornimenti diretti in georgia in particolare al fort scott.

 

-1816 i neri incendiano un vascello mandato dal generale maggiore Andrew Jackson
-1816 l’ufficiale Edmund peddleton gaines riesce a distruggere fort negro per culo perche’ centra il magazzino delle munizioni con una palla di cannone.
-Il fiume flint separava fort scott dal villaggio di mikasuki chiamato fowltown (villaggio del pollame). Il re nemathla si allea con bowlegs (gambe storte) a capo degli alachua e minaccia gli americani di massacro in caso di una lorro incursione.

 

Questo fu il fattore scatenante della I GUERRA SEMINOLE

-1816 i neri incendiano un vascello mandato dal generale maggiore Andrew Jackson


-1816 l’ufficiale Edmund peddleton gaines riesce a distruggere fort negro per culo perche’ centra il magazzino delle munizioni con una palla di cannone.
-Il fiume flint separava fort scott dal villaggio di mikasuki chiamato fowltown (villaggio del pollame). Il re nemathla si allea con bowlegs (gambe storte) a capo degli alachua e minaccia gli americani di massacro in caso di una lorro incursione. Questo fu il fattore scatenante della I GUERRA SEMINOLE

-1817 novembre. Il maggiore David Twiggs con i suoi 250 vengono sconfitti vicino fowltown mentre il luogotenente scott viene massacrato insieme ai suoi 40 sul fiume flint.
-1817 Washington autorizza Gaines ad entrare nel territorio spagnolo per combattere i seminole. Il 26 dicembre Andrew Jackson viene incaricato di sottomettere i seminole


-1818 il comando della guerra passa dall’alachua bowlegs al mikasuki Capechimico. I bianchi di fort scott attaccano fowltown e trovandola deserta la bruciano.


-1819 gennaio. Andrew Jackson con 1500 americani e 2000 creek (maledetti traditori)attaccano e distruggono i villaggi mikasuki che si ritrovano senza armi e guerrieri. 200 negri riescono a rallentare i bianchi con archi e frecce sul fiume suwannee per dare tempo ai civili di scappare. Intanto Jackson che voleva togliere la florida agli spagnoli manda Gaines a prendere st augustine senza il consenso inglese. Si comincia quindi a dubitare della correttezza di Jackson anche per quanto riguarda la crudelta’ verso gli indiani. John Horse,anche detto Juan Caballo,nacque a Micanopy nella Florida spagnola.Suo padre era un Seminole di nome Charlie Cowaya(o Coheia),cognome derivante da una distorsione Seminole dello spagnolo “caballo”.
John aveva una sorella di nome Juana (o Wannah,o Warner-in alcune fonti-) .
L’anno in cui John Horse nacque,il 1812,scoppiò la guerra tra Stati Uniti e gran Bretagna;egli viveva con molta probabilità in una delle città site lungo il fiume Suwanee(che scorre a sud della Georgia e a nord della Florida) sotto la giurisdizione del gruppo Alachua.
Il generale Thomas Sidney Jesup (16 dicembre 1788 -10 giugno 1860) ,durante la 2° guerra Seminole,promise la liberazione dalla condizione di schiavitù a coloro che avessero smesso di combattere e avessero accettato la ricollocazione nei territori destinati ai Nativi.

 


Nel 1843 nei territori indiani dell’Oklaoma, i Seminole esiliati votarono John Horse come loro guida.
La prima guerra Seminole ci fu durante l’infanzia di John Horse (1817-1818),la seconda iniziata alla fine di dicembre 1837,contro l’armata del generale Zachary Taylor(che nel 1848,presentandosi nel partito dei Whig,battè Lewis Cass e divenne il 12° presidente degli Stati Uniti ),terminò nel 1842.
Nel 1838 John Horse,in seguito alla morte della sua prima moglie (donna Seminole,figlia di Capo Holatoochee),si arrese alle truppe statunitensi e venne imbarcato,insieme ad altri Seminole,da Tampa Bay a New Orleans,per esser poi trasferito nei territori indiani,secondo i piani della ricollocazione dei Nativi Americani dai territori a est del fiume Missisipi a quelli posti nella parte ovest del fiume stesso (il così detto “indian removal” era stato voluto dal presidente Andrew Jackson con una legge emanata il 26 maggio del 1830).

Arrivato in Oklaoma,John Horse accettò di fare da interprete all’esercito americano.
Le terre in cui erano stati ricollocati i Black Seminole erano,però,già occupate dai Creek ;questo creò tensioni tra i 2 gruppi e i Creek cercarono di rapire molti Black Seminole per ridurli in schiavitù;riuscirono a rapire Dembo Factor,un veterano di guerra.
Coacoochee,capo Seminole noto agli americani como “gatto selvatico”e ai messicani come “gato del monte”,si oppose,insieme a Horse, alla vendita di Dembo come schiavo che venne recuperato dall’esercito e fatto tornare presso i Seminole.
John Horse si recò a Washington per cercare un accordo col generale Jesup,in modo da poter separare le terre Seminole da quelle Creek. Jesup concesse Fort Gibson ai Seminole.Mentre John Horse era a Washington,però,un atto governativo avente forza di legge voluto dal consulente governativo John Y. Mason stabilì che era legale catturare i Black Seminole e venderli come schiavi;questo significava che 280 Black Seminole,inclusi i membri della famiglia di John Horse,potevano essere venduti come beni mobili ai bianchi.
Tornati al territorio indiano,John Horse e Coacoochee condussero un gruppo di Seminole da Fort Gibson a Wewoka (Oklaoma) e pensarono di costruire un’alleanza con i Nativi della pianura,quelli dell’est e gli schiavi fuggitivi.I 2 attesero finchè l’agente indiano Marcellus Duval terminò le sue mansioni e tornò a Washington,poi condussero la loro gente attraverso i Texas e,passando per il Rio Grande,arrivarono a Coahuila (Messico) dove la schiavitù era stata abolita;il 12 luglio 1850 si presentarono al comandante messicano a Piedras Negras.
Horse assicurò la terra in Messico ai migranti e dopo la guerra civile tornò nell’ovest,con un gruppo di Seminole e lavorò come scout per l’esercito americano.Dopo alcuni anni tornò in Messico;egli morì sulla strada per Mexico City,mentre cercava di guadagnare più terre e diritti per il suo popolo nel Messico del nord. ((Daniela))

Capitolo 8

Horse porta in battaglia i 300 schiavi ribelli che ha reclutato ma essi si comportano da vigliacchi. Allora lui si mette sotto il fuoco nemico e li incita deridendoli fino a quando non si decidono a combattere e vincere.

 

((DA QUI IN POI VA MESSA A POSTO LA CRONOLOGIA))

Capitolo 9 I bianchi rapiscono la moglie di Osheola, capo di battaglia Seminole, e tutto quello che accade poi.

Capitolo 10

Dove si narra di come alcuni capi Seminole furono corrotti e si determinò la grande deportazione in due riserve lontane molti giorni di cammino. E come fu che non venne dato cibo ai Seminole e molti morirono durante il viaggio.

Capitolo 11

La vera storia del capo indiano svedese e del suo amore per una donna Seminole figlia di Jonh Horse e di una ragazza bianca (di cui non si sa quasi niente di niente, nè di lui né del suo amore ma la raccontiamo comunque inventando la narrazione di un olandese ubriaco).

Capitolo 12

Dove si narra di un grande agguato dove perirono più di 100 cani bianchi. I soldati bianchi attaccano Fort Black.

Capitolo 13

Dove si narra della figlia del Capo indiano Svedese e della figlia di Horse, di come si innamorò di un Seminole e di come insieme parteciparono in modo imprevedibile alla terza Guerra Seminole. C’è anche un traditore Seminole. (E questa è una sfida alla fantasia e alla logica perché è tutto da inventare deducendo)

Capitolo 14

Il traditore Seminole del capitolo precedente continua a far danni. Succede qualche cosa e si arriva alla giusta punizione del traditore e alla salvezza degli innamorati. Fine delle guerre Seminole

Capitolo 15

Qui bisogna inventarsi qualche cosa che succede tra il 1860 e il 1906 (?) quando si arriva alla firma del trattato di pace con gli Usa. Capitolo 16 Inventare una storia nel periodo fino al 1940 Capitolo 17 La storia di Mae Tiger.

Capitolo 17 La storia di Mae Tiger. Sono un’amica di Mae Tiger Per Franca Mi sono chiesta: ma come hanno potuto vivere una storia simile questi Seminole? Una storia veramente incredibile. C’è questa Mae, che donna… Ho cercato in giro su internet, qualche cosa della sua storia. Per capire. Mi sono infervorata, tanto che me la sono sognata di notte. Una donna, un amica di Mae, che la conosceva fin da bambina mi raccontava come era successo. Mi sono alzata dal letto e mi sono subito messa a scrivere quello che mi ha detto. Eravamo in una grande casa di legno, con le pareti alte quattro metri, una casa fatta di tronchi. Enorme. C’erano almeno mille persone dentro. Per terra stuoie intrecciate. Gli uomini e le donne erano seduti sulle stuoie o dondolavano sopra le amache. Indossavano pantaloni e camice senza colletto. Non avevano piume in testa ma strani cappelli colorati. Anche i vestiti erano colorati. Sapevo cosa era quel posto. Una grande casa dei Calusa, avevo visto un’illustrazione su wikipedia. I Calusa erano il popolo che fondendosi con indiani profughi di molte tribù sconfitte diedero origine al popolo Seminole, che nella loro lingua vuol dire “indiani selvaggi”, indiani dispersi, reduci di tribù sconfitte che erano andati a riparare nei territori dei Calusa. Perché i Calusa, invece, che avevano vinto tutte le battaglie, eccetto quella contro il vaiolo e l’influenza che li avevano più volte quasi sterminati. Ma ogni volta arrivavano degli indiani di altre nazione a unirsi a loro… L’amica di Mae è seduta di fronte a me. Ha un’età indefinibile nel mio sogno. Mi sorride e inizia a raccontare: “Mae era figlia di una famiglia importante. I Tiger. I tigre. Le donne erano tutte sciamane. Anche Mae lo era. Si tramanda col sangue. Ci sono famiglie seminole nelle quali gli sciamani sono maschi. Ma loro erano di discendenza Calusa. Erano le donne ad avere la conoscenza. Ma anche se erano scimane non se la passavano bene. Tutti conoscevamo la fame a quei tempi. I Tiger e noi abitavamo di fronte, al di là della strada di fango c’era la loro baracca. Non avevamo niente allora. Solo qualche giovane che combatteva con i coccodrilli della palude e zanzare grosse come topi e più cattive. Tempi duri. C’era solo qualche turista che veniva a vedere la lotta con i coccodrilli e a comprare qualche braccialetto e qualche tessuto. I prodotti della terra erano miseri. Non avevamo trattori. Quella era terra cattiva. I bambini iniziavano a lavorare subito. Non c’erano scuole. Ma Mae era diversa. Aveva qualche cosa di strano dentro. Forse nel sangue. Era una bambina disprezzata. Sua madre era stata con un bianco. Forse per questo era diventata amica di una ragazzina di colore che abitava in paese. Un giorno, una domenica, si erano ritrovate ai giardini a parlare. Avrà avuto dodici anni, era l’inizio degli anni ‘30. La ragazzina nera aveva con sé un giornale di fumetti e glielo fece vedere. La ragazzina nera era entusiasta di quella storia disegnata. Mae non capiva come la sua amica vedesse in quelle immagini una storia complicata. “Come fai a sapere che questa principessa sta andando al ballo?” Mae era una ragazza che sapeva usare il cervello. Fin da bambina ogni tanto se ne usciva con delle frasi che lasciavano tutti di sasso. Allora la ragazzina nera iniziò a leggere la storia. E Mae le chiese: “Ma dove vedi queste parole?” E l’altra le spiegò che quei segni piccoli, disposti in file parallele erano i suoni delle parole. Ogni segno corrispondeva a un suono. Mae fu colpita da questa rivelazione, la sua mente si esaltò. Mi ricordo che venne da me e me lo disse. Era raggiante. Mi disse: “Possiamo leggere migliaia di storie scritte da altri, in altri tempi. Storie bellissime.” Io non la capivo proprio. Ma lei ne fece una malattia. Tanto che alla fine la madre acconsentì a portarla alla scuola dei neri. Ma lì non l’accettarono perché era indiana. Per lei fu terribile. Non c’era nessuna scuola che accettasse un’indiana! Erano tempi così, vivevamo oltre i confini del mondo. Poi mi ricordo, arrivò correndo a casa mia. Saltellava come una pazza. “Ti ha morso la tarantola?” Chiese mia madre. Niente tarantola. Aveva scoperto che esisteva una scuola per indiani. Era distante centinaia di miglia ma esisteva. Avrebbe dovuto abbandonare la famiglia e stare via per anni perché era molto lontana. E loro non avevano i soldi per viaggiare in treno. Così partì. Con lei andò un suo cugino che era di due anni più grande. Stettero via molto tempo. Quando tornarono nessuno li riconosceva. Erano un uomo e una donna. Mae era vestita come una bianca, Tutta di blu. Era un vestito da infermiera. Lei era diventata infermiera. Diplomata. Aveva dovuto studiare e ancora studiare. Quando era arrivata al convitto non sapeva niente. Ma lei aveva la testa dura. Quando ritornò non ci mise molto a fare arrabbiare la maggioranza degli sciamani. Soprattutto i maschi. Lei voleva insegnare le norme igieniche alla gente. Fare corsi alle donne che dovevano partorire. Le dicevano che voleva distruggere la tradizione, contaminare l’antica cultura. I primi tempi furono difficili. Ma poi si capì che quando gli sciamani non riuscivano a fare niente lei offriva qualche possibilità in più. Io andavo ad aiutarla. Mi aveva insegnato a fare le medicazioni. C’erano dei giorni che non ce la faceva da sola perché era l’unico presidio medico nel raggio di chilometri. L’unico che i Seminole potevano permettersi. Così eravamo 5 ragazze a aiutarla a turno. Fu così che poi anch’io diventai infermiera. Eravamo tutte giovanissime eccetto un’anziana sciamana che fungeva da levatrice. Poi Mae fu presa dalla politica. Io proprio non la capivo. Ma lei vedeva tutto in un altro modo. Ed era testarda. Cominciò a parlare con le donne. Diceva: “Chi sono i Seminole? Non sono niente. Una marmaglia di straccioni. I francesi hanno un governo, uno stato. Ce l’hanno gli statunitensi, i canadesi, gli spagnoli. Noi non siamo niente, non abbiamo i nostri simboli, nessun governo, nessuno stato.” “C’è il Consiglio.” Le rispondevano. Ma lei insisteva: “Ma quelli si riuniscono ogni tanto a fare quattro chiacchiere sulle tradizioni. Che decisioni pigliano? Programmano le feste per i turisti. Noi abbiamo bisogno di ministri, di un capo che ci rappresenti, che vada a trattare per noi con i bianchi. Dobbiamo avere strutture ufficiali, elette, rappresentanti riconosciuti. Ambasciatori, non semplici “inviati del consiglio”. Il mondo dei bianchi è basato sui nomi delle cose. E poi ci servono veramente dei ministri che lavorino tutti i giorni per sviluppare la nostra comunità. Deve essere un lavoro a tempo pieno. Loro sono pieni di persone importanti che si occupano di questioni importanti. Noi siamo un branco disorganizzato.” Lei aveva la passione per l’organizzazione. E organizzò un comitato per la creazione di un governo seminole. Spiegò mille volte perché non se ne poteva fare a meno. Alla fine convinse anche me. Giravamo la domenica, dopo la messa, andavamo nelle case a incontrare uomini e donne. Parlavamo della rinascita del popolo, di scuole per i figli, un ospedale, tutte cose che potevamo ottenere solo se diventavamo una nazione. Lei diceva: “Siamo stati un grande popolo, per 500 anni abbiamo resistito ai bianchi. Non una volta i nostri antenati sono stati sconfitti in battaglia. Non una volta. Nessun popolo americano può dire altrettanto. E ora siamo ridotti a un ammasso di pezzenti. Non siamo capaci di ottenere quello che è giusto. I soldi che il governo americano ci manda vengono sprecati o rubati in gran parte prima che ci arrivino. Ci sono leggi in nostro favore ma noi neanche lo sappiamo, non abbiamo una rappresentanza che faccia valere i nostri diritti. Il Consiglio non conta. I bianchi ascoltano solo rappresentanti eletti con le elezioni. Anche noi dobbiamo fare le elezioni del nostro governo! E i Seminole potranno tornare a fiorire.” E così alla fine il nostro movimento riuscì a convincere tutti che dovevamo avere un governo come i bianchi se volevamo trattare con i bianchi. Per loro le parole sono molto importanti. E in effetti Mae, che divenne subito ministro, riuscì a cambiare molte cose. Riuscimmo a ottenere sussidi per una scuola e per l’ospedale, aiuti per i disoccupati e per l’edilizia popolare. Fondi agevolati per fondare piccole imprese. Si costituirono cooperative, che compravano trattori. E ristoranti per i turisti. Le bancarelle furono affiancate da negozi, in alcune case furono portate la luce e l’acqua. E anche le strade furono allargate. E tutti sapevamo che grande merito era di Mae. Era una tigre. Si metteva di fronte ai funzionari del governo statale come di fronte a quelli del governo federale. A lei non importava. Lei era un ministro del Governo Seminole Democraticamente Eletto. E diceva: “I nostri bambini muoiono perché non ci sono dottori. Le scuole sono obbligatorie ma noi non ne abbiamo. Perché? Voi avete scritto delle leggi. Ora dovete rispettarle.” Andò anche a Washington. Non aveva paura di niente. Poi divenne Presidente del Governo Seminole. E allora diventò ancora più insistente di prima. Mi aveva chiamato a farle da assistente. Ci conoscevamo da tanto tempo e lei si fidava di me. Ci mettevamo lì a leggere interi libri di leggi, di regolamenti, di disposizioni, alla ricerca di un appiglio per ottenere qualche cosa per il nostro popolo. L’America dei bianchi è piena di dipartimenti, di fondazioni, di commissioni, governi di Contea, di Stato, Federali, fondi sociali erogati da banche, istituti, enti. Lei non si fermava: “Gentile fondazione apprezziamo molto il vostro impegno per i diritti umani e vorremmo segnalarvi che tra i membri del nostro popolo non esiste nessuno che abbia avuto la possibilità di laurearsi. Quello che vi chiediamo quindi è se esiste la possibilità che la vostra nobile istituzione eroghi una borsa di studio a favore dei nostri figli.” Lei aveva una passione per i bambini. Diceva che sono loro il popolo che cresce. Che dovevamo farlo per loro. Un bambino lo prese quasi come un figlio. Era stato praticamente abbandonato dalla famiglia. Per via che la madre lo aveva avuto da un bianco. I costumi antichi dell’ospitalità sessuale erano stati abbandonati ed ora avere un figlio con un cane bianco era una pessima cosa. Proprio come era successo a lei. Forse per questo si attaccò molto a quel bambino. E lo fece studiare. Quando poi partì per andare a combattere in Vietnam lei era distrutta. Ma quel ragazzo ritornò dal Vietnam, vivo. Aveva combattuto. In una squadra di guastatori che andavano nelle paludi dietro le linee nemiche. I Seminole avevano fama di essere grandi guerrieri abituati a strisciare nel fango tra i serpenti. E in effetti la compagnia di James Billie si era fatta onore. Ma quando James era tornato a casa, oltre a qualche strada asfaltata in più e qualche negozio che vendeva panini con hambueger, aveva trovato molti ragazzi che si facevano di eroina. E chiedendo in giro avevano scoperto alla svelta che i territori seminole erano diventati la base per i traficanti di droga che arrivavano con gli aerei dal Messico e caricavano la loro porcheria su auto blindate e motoscafi veloci. I trafficanti erano armati, avevano armi di tutti i tipi. Perfino i bazooka. La gente aveva paura. James venne da noi, in ufficio. Lui e un nipote di Mae. Erano due ragazzi robusti. Con un bel sorriso. Si misero a parlare con Mae e con me. Dicevano che si dovevano spazzare via gli spacciatori. Mae aveva paura. Era tornato vivo dalla guerra e ora ne voleva incominciare un’altra. Il morso della violenza lo aveva colpito. Ne parlano le storie degli antenati. Per questo i guerrieri dovevano purificarsi dopo le battaglie. Perché sennò la rabbia resta in circolo e cerca altro sangue. Ma James disse: “Non iniziamo nessuna guerra. Tutto deve succedere in una sola notte. Dobbiamo spazzarli via in un colpo solo, tutti. Sappiamo che domani faranno una grande consegna. Ci saranno i messicani e i bianchi della costa. Ogni mese fanno una grossa consegna. Noi faremo come facevamo in Vietnam. Ci dipingeremo le facce di nero e li spazzeremo via prima che si accorgano di noi.” E così fecero. Fu una notte di sangue. Fu così che crearono la polizia seminole. Avevano due aerei, tre motoscafi a quattro auto blindate. Dei gossi fuoristrada. E quattro casse di armi. I migliori fucili automatici, mitragliatori, bombe a mano, esplosivo. Quando lo sceriffo della contea seppe cosa avevano fatto agli spacciatori non riuscì a provare niente. Ma si presentò dicendo che dovevano consegnare le armi e i mezzi che avevano preso agli spacciatori. Ma James aveva imparato da Mae a leggere i regolamenti. Tirò fuori il trattato di pace firmato dagli Stati Uniti d’America con il Popolo Seminole, mai sconfitto in battaglia. Un trattato di settant’anni prima. Lui aveva capito che per i bianchi le parole contano moltissimo. E nel foglio che avevano firmato c’era scritto che loro erano un Popolo Sovrano, una Nazione. Non sottostavano alla legge della contea. Lo sceriffo non poteva fare nulla. Così iniziò l’Ultima Guerra Seminole. Una guerra di carta bollata e timbri. C’era anche il primo avvocato seminole in aula. Ogni giorno James ci telefonava e ci diceva come andava il processo. Era diventato lui il nuovo capo del Governo Seminole Democraticamente Eletto. E ogni giorno che c’era udienza era in tribunale. Durò anni quella causa. Ma anche quella volta i Seminole non furono sconfitti. E ci tenemmo le armi i motoscafi, i gipponi e gli aerei. E poi James venne in ufficio. Ma non aveva l’aria cattiva come l’altra volta degli spacciatori, sorrideva. Mae gli chiese: “Cosa c’è adesso con quella faccia?” Lui disse: “Cosa ne dici se iniziamo una nuova guerra contro i bianchi che hanno rubato le nostre terre e sterminato le nostre tribù?” Lei rispose: “Non ti basta aver rapinato i cugini di Al Capone?” “Possiamo vincergli un mucchio di soldi a poker!” Mae lì per lì non capiva. Poi le si illuminarono gli occhi. Avevano vinto la causa e determinato il loro status di nazione che non doveva sottostare alle limitazioni statali. Nella loro contea il gioco d’azzardo era vietato. Ma loro non erano tenuti a rispettare quel divieto. Sei mesi dopo aprì il primo Bingo Seminole. Poi vennero gli altri, nelle tre Aree Seminole. Essere stati divisi e deportati nell’’800 si rivelava un vantaggio. Aprirono casinò in 3 stati dove erano vietati. Come avrebbero potuto non avere successo? Anche le banche lo avevano capito. La donna mi guardò. Indicando con un gesto circolare la grande sala con i muri di tronchi e tutta la gente che sedeva lì in torno disse: “Vedi, sono passati 30 anni da quella sentenza. Ora tutti i giovani sono laureati. Un terzo di Las Vegas è nostro. La Nazione Seminole paga gli studi a tutti. Ci servono laureati per gestire i nostri locali. Abbiamo denaro da investire, diritti da proteggere e far fruttare. Nessuno lo avrebbe detto70 anni fa che sarebbe potuto succedere. Quando mae non poteva andare a scuola perché non c’era nessuna scuola per gli indiani qui. Eppure è così che succede. Ci sono sogni che si possono avverare anche se sembrano impossibili. Basta scoprire quali sono i sogni che si possono avverare e poi sognarli.” Appendice storica 1 I Calusa e il divieto del re di Spagna di colonizzare le terre abitate da mostri. Appendice storica 2 Le guerre Seminole e i Black Seminole Appendice storica 3 I Seminole nel 1900 Appendice Storica 4 Usi e costumi.

I Calusa, gli antenati dei Seminole, gli unici indios che nel 1.500 sbaragliarono gli spagnoli I Calusa erano un popolo con caratteri matriarcali. Abitavano in grandissime case di tronchi che potevano contenere anche mille persone, indossavano calzoni e camice, avevano una medicina sviluppata e conoscevano l’algebra. Come gli eschimesi e i babilonesi praticavano l’ospitalita' sessuale, convinti che lo straniero portasse sangue nuovo alla loro nazione. Cosi' mentre gli Apaches fecero schiavi i primi bianchi che catturarono, trattandoli bestialmente, i Calusa accolsero a braccia aperte alcuni naufraghi (vedi la storia di Joan Padan e Naufragi, di Álvar Nuñez Cabeza de Vaca ) e chiesero loro se per favore potevano far l’amore con tutte le donne del loro popolo.
 Donne che tutti gli europei che arrivano da quelle parti descrivono come bellissime, pulite, vivevano all’aria aperta avevano corpi potenti e amavano far l’amore. Niente a che vedere con le donne europee che si lavavano una volta all’anno, spesso mangiavano male, avevano denti guasti, vivevano in citta' coperte di immondizia ed escrementi e odiavano il loro corpo. Cosi' i naufraghi europei si innamorarono di quel popolo e raccontarono che sarebbero arrivati i soldati e li avrebbero massacrati tutti, spiegarono cos’erano i fucili e come si potevano domare i cavalli.
Cosi', quando sbarcarono i primi spagnoli, i Calusa li accolsero pronti a combattere. Impararono a usare i fucili e i cavalli. E distrussero le successive spedizioni militari. E per questo il re di Spagna intorno al 1630 promulgò l’ordine di interrompere le spedizioni contro la Florida. Questa popolazione resiste per 200 anni ai tentativi di colonizzazione ma non possono nulla contro le epidemie diffuse dai bianchi, la popolazione si riduce da 10 mila individui a qualche centinaio. Altri gruppi etnici confinanti con i Calusa ma di cultura patriarcale vengono completamente cancellati dalle epidemie e dagli scontri con i bianchi. Ad esempio gli Apalachees e i Timucua. Ma i Calusa contemporaneamente accolgono gruppi di indiani (in particolare Creek) in fuga dalle aree controllate dagli europei, e si mischiano con loro, dando origine alla tribù Seminole che significa “uomini dispersi” o “uomini selvatici”. I Seminole resistono Agli inizi del 1800 il territorio Seminole è ancora libero anche se ormai circondato dalle colonie dei bianchi. Ma si è sviluppato anche un fenomeno unico: molto schiavi neri hanno capito che i Seminole erano molto ospitali e iniziano a trovare rifugio presso di loro. Arrivano addirittura a creare villaggi di neri all’interno del territorio libero e la popolazione nera raggiunge gli 800 individui. Uno di questi schiavi fuggiti è John Horse. Con la sua famiglia scappa da una piantagione e entra a far parte della nazione Seminole, è un marrones, un nero che vive con gli indiani. John Horse diventa famoso per il modo nel quale prende in giro i bianchi. Ad esempio riesce a vendere al colonnello Brooke 30 volte due tartarughe d'acqua, rubandogliele ogni notte per rifilargliele il giorno dopo.
E' una specie di Pasquino, i suoi lazzi entusiasmano i neri e gli indiani. Jonh Horse è anche un abile allevatore, si sposa, possiede 90 bovini e un pezzo di terra. E' un benestante fino a quando gli europei dichiarano guerra alle comunita' libere di marrones e ai Seminole. Diventa uno dei capi del consorzio di tribu' nere e indiane.
Quando la Seconda Guerra Seminole e' ormai imminente gira per la Florida e grazie alla sua notorieta' e alla sua capacità di parlare riesce a reclutare 300 schiavi che fuggono dalle piantagioni e si uniscono ai ribelli. Durante il primo scontro questa compagnia di neri non dà prova di grande coraggio, allora Jonh Horse esce allo scoperto, sotto il fuoco dei fucili dei bianchi e inizia a arringare gli schiavi, e al contempo fa il buffone per incoraggiarli. Alla fine riesce a smuoverli e a vincere così lo scontro. Il numero dei neri combattenti raggiunge le 500 unità. I Seminole combattono tre di guerre contro i bianchi e gruppi di indiani loro alleati dal 1816 (Prima Guerra Seminole) al 1858 (Terza Guerra Seminole). Queste guerre impegneranno eserciti di migliaia di uomini, costeranno agli europei 40 milioni di dollari (allora una cifra spaventosa) e non riuscirono mai a sconfiggere la resistenza. Alla fine ci saranno ancora 500 seminole e marrones asserragliati nelle paludi. Indiani straordinari, i Seminole: si appollaiavano in cima ad alberi altissimi e sparavano sugli invasori con una mira spaventosa.
Gli europei massacrarono le donne e i bambini, imbrogliarono, deportarono ma non riuscirono mai a vincerli. Una delle pagine più nere della storia americana fu la deportazione di forse 3.000 seminole in Oklaoma. Circa 2.000 morirono lungo il cammino di fame e freddo. Avevano avuto capi indiani Neri, Creek e persino uno Svedese.
All’inizio del 1900, gli Stati Uniti d’America firmarono un trattato di pace con la Nazione Seminole riconoscendone la sovranita' sulle terre che avevano difeso e sulle riserve nelle quali erano stati deportati.
 Seguirono decenni di povertà temperata soltanto da un inizio di turismo nelle terre seminole a partire dal 1920. La riscossa seminole Betty Mae Tiger nacque nel 1923 nel territorio seminole della Florida da una famiglia particolare: il padre era un bianco e madre una Seminole, sciamana, come la nonna. Per lungo tempo Mae visse in estrema poverta' e soffri' la fame. A 14 anni non parlava l’inglese ed era analfabeta.
Un giorno un'amica le mostro' una storia a fumetti e le spiego' che quei segni neri, piccolissimi, erano la voce dei disegni che raccontavano una storia. Mae ne fu affascinata e prego' insistentemente sua madre perche' la mandasse a scuola. Ma non c’erano scuole indiane. A quei tempi c’erano scuole per bianchi e scuole per neri. E una donna di colore che lavorava con la madre nei campi suggeri' di iscrivere Mae nella stessa scuola di sua figlia. Ma quando Mae si presenta li' non la lasciano entrare perche' non e' nera.
Alla fine scopre che in effetti una scuola per indiani esiste, e' lontanissima, ma e' possibile ottenere una borsa di studio. Parte con il fratello e un cugino, torna a casa solo durante le vacanze. A quei tempi la comunita' seminole viveva senza prospettive e senza speranze. Un’economia di sussistenza esclusivamente agricola, poco turismo e artigianato. Ignoranza, malattie, alcolismo. Un popolo piegato. Una strana tribu', i Seminole: sono in miseria, ma sono anche gli unici nativi americani che non sono mai stati sconfitti. 
Mae Tiger ha la stessa determinazione dei suo antenati materni. In pochi anni completa le scuole superiori, e diventa infermiera, torna dal suo popolo e inizia a curare le persone. 
Si sposa con un uomo dal quale prende il cognome Tiger, ma lui e' un reduce della seconda guerra mondiale che non riesce a reinserirsi. Gli incubi lo distruggono. Per vivere lotta con i coccodrilli per i pochi turisti che visitano la riserva. Un giorno e' troppo ubriaco per esibirsi e Mae lo sostituisce. Lei e' del clan del serpente e sa come addormentarli.
Mae ha un figlio e lavora per la rinascita del popolo seminole.
Collabora a creare un governo, ed e' determinante nel riunire piu' di 20 tribu' in un’unica Unione delle Tribu' del Sud e dell’Est (USET). Nel 1957 e' membro del neonato governo.
Quando si insedia, nelle casse dello stato ci sono 35 dollari. 
Il governo si riunisce sotto un albero quando c’e' il sole, in un camper quando piove. Nel 1967 viene eletta capo della sua nazione.
Quando nel 1971 lascia la politica perche' ammalata, la nazione Seminole ha scuole, servizi sanitari, una vita sociale, un’agricoltura efficiente.
Alla guida della nazione seminole le succede James E. Billie, un reduce della guerra del Vietnam. Anche lui come Mae e' un meticcio, figlio di un padre irlandese sparito nel nulla: l’odio verso i bianchi aveva fatto dimenticare i costumi dell’ospitalita' sessuale e uno sciamano aveva consigliato alla madre di uccidere il piccolo James. Fu proprio Mae Tiger a salvarlo.
James Billie cresce in modo selvatico in mezzo alle paludi. Butta le scarpe in un canale per non andare a scuola. Ma Mae gliene compera un altro paio e lo convince a studiare.
Poi James Billie finisce in Vietnam, dove viene utilizzato in missioni dietro le linee nemiche per la sua dimestichezza con le paludi. E’ uno tosto che uccide a mani nude.
Quando torna a casa non riesce piu' a sopportare la miseria del suo popolo.
Un giorno incontra una tigre e la uccide con un colpo di fucile, poi la mangia con gli amici. Prende questo evento come un segno, e' convinto che la sua vita cambiera'. Viene processato da un tribunale di bianchi perche' il felino e' una specie protetta ma lui vince il processo dimostrando che uccidere la tigre fa parte della sua religione.
James Billie inizia a fare politica fino a diventare capo della nazione Seminole, appunto, nel 1971. Indirizza tutti i propri sforzi per trovare il modo di far rinascere l’economia, inizialmente, in particolare, attraverso lo sviluppo del turismo e l’artigianato: anche a lui capita di lottare con un coccodrillo per il divertimento dei turisti.
Poi un bel mattino prende in mano il vecchio trattato con il quale gli Usa riconoscono la nazione seminole e scopre che i bianchi, nella loro infinita presunzione, hanno fatto un errore madornale. Non hanno mai pensato che quegli indiani avrebbero potuto evolversi. E hanno riconosciuto ai Seminole lo status di nazione.
Billie capisce che questo vuol dire che i territori Seminole, 6 riserve, non devono sottostare alle leggi statunitensi.
Quindi fa due cose: apre una sala bingo e forma una polizia tribale armata fino ai denti. E attacca gli spacciatori di droga che atterrano nei territori indiani con aerei ed elicotteri e vendono cocaina ai giovani. La polizia seminole, composta da un gruppo di reduci, sequestra ai trafficanti un aereo e un elicottero. Cosi' la nazione Seminole ha anche l’aviazione. Lo stato della Florida tenta di chiudere il bingo e di sciogliere la polizia tribale. Ma le tigri delle paludi vincono la causa legale. Nel giro di pochi anni aprono 6 bingo, e investono i guadagni in case, scuole, strade.
Oggi i Seminole controllano uno dei piu' grandi gruppi americani di gioco d’azzardo. Un bel pezzo di Las Vegas e' loro. Ogni nuovo nato ha un sussidio mensile che gli garantisce di potersi laureare. Oggi Mae dirige il Seminole Times e scrive le storie della tradizione del suo popolo. Altri riferimenti Gruppo di lavoro per un romanzo su Jonh Horse: http://www.jacopofo.com/facciamo-un-romanzo-collettivo

Salve!
ho visto il link oggi... il che mi pone già a -6 giorni ... considerato che le scadenze mi hanno sempre mandato in panico... posso tranquillamente camminare su e giù per la stanza guardando un video vuoto...
farò del mio meglio... il che prevede anche il nulla!
ola

Ho modificato il testo in modo che fosse più coerente con la "leggenda" Seminole del furto delle tartarughe.
Dateci un'occhiata appena potete.
Ora mi butto su un nuovo capitolo.

“Ehi guardate in cielo, John aveva ragione!!”
Il piccolo Fai correva nella gigantesca piantagione di canna da zucchero gridando a squarciagola e indicando con la mano il lato est della tenuta. Riusciva a stento a vedere tra quei cespugli così fitti ma correva e gridava a più non posso.
A quelle parole gli schiavi intenti a raccogliere le piante mature interruppero il loro lavoro e si misero a scrutare il cielo.
Nessuno voleva perdersi il miracolo che, evidentemente e a dispetto di quanto avevano pensato tutti, si era magicamente compiuto.
Immediatamente si mossero le guardie, tutto quel trambusto aveva attirato anche la loro attenzione.
Fai inciampò e cadde al suolo. Fu subito raggiunto da un soldato: “Cosa è successo e perché non sei al lavoro?” disse il militare.
Il piccolo riaprì gli occhi e si mise a sedere cercando di riprendersi dal colpo. Aveva imparato che piangere davanti agli inglesi serviva solo a farli infuriare di più quindi trattenne le lacrime con tutta la sua forza, fece un profondo respiro e accennò con un inglese stentato:
“Tartughe!! Volano, volano!”
La guardia corrucciò il volto e alzò lo sguardo.
In lontananza, confuse dal sole del mattino, si vedevano due piccole sagome verdognole in cielo.
Dalla piantagione si sollevò un grido di giubilo: “Le tartarughe volanti, le tartarughe volanti!”
Quella visione era talmente mistica che per un momento, ogni schiavo, credette in cuor suo di essere di nuovo un uomo libero.
L’incantesimo fu spezzato da un colpo di fucile che risuonò nell’aria portando via con se ogni speranza e ogni idea di libertà e costringendo tutti a tornare al proprio lavoro.
Fai aveva approfittato di quell’attimo di distrazione per darsi alla fuga scomparendo senza lasciar traccia tra la fitta selva di canne da zucchero.

Poco prima la ricca villa del Generale Brooke era già in subbuglio.
“Cosa significa vuoto?! Il mio stagno, vuoto???” gridò il generale avvicinandosi allo stagno nel giardino interno della sua villa.
“Maledizione!!” esclamò battendo il pugno su un tavolaccio di legno dopo aver constatato che le sue 50 tartarughe, le sue preziose tartarughe erano misteriosamente scomparse.
Davanti a lui, disposti in riga ed immobili, c’erano il tenente Foster, responsabile della sicurezza della villa e le due guardie che avevano il compito di perlustrare di notte il perimetro del caseggiato.
“Alla forca vi manderò, alla forca! Avete rovinato la mia cena!!”
Il generale aveva invitato per quella sera un nutrito gruppo di personaggi importanti da tutta la Florida e si era impegnato a presentare agli ospiti quello che nell’invito era definito “il migilor brodo di tartaruga che si sia mai sorbito in tutta la Florida”.
A meno che il brodo di tartaruga non potesse essere cucinato senza le tartarughe il generale era nei guai.
“Come hanno fatto? rubare 50 tartarughe in una notte!” chiese inviperito al tenente.
“Non lo so signore. Sembrano essere scomparse nel nulla, signore” rispose timoroso il soldato.
“Abbiamo trovato queste” continuò il tenente mostrando al generale come tutta una sponda del laghetto fosse ricoperta da svariate piume d’uccello.
“Che significano?” chiese Booke.
“Guardi qui generale, confuso fra le piume c’era anche questo biglietto”
Il generale apri il biglietto e lo lesse attentamente.
Recitava: “Generale, siccome puzzi come il buco del culo di un maiale questa notte ci siamo fatte spuntare le ali e siamo volate via verso la libertà. A mai più rivederci. T.”
Qualche riga più in basso il messaggio continuava:
“Caro amico Generale,devo confessarti una cosa: tu non hai mai posseduto oltre 50 tartarughe, ne hai possedute due, che io per una trentina di volte ti ho venduto e poi rubato la sera stessa per rinvendertele ancora al mattino. Forse non siamo così stupidi come credevi! Questa volta non te le riporterò, sono volate via, hanno scelto la libertà così come prima o poi faranno anche gli schiavi della colonia! Comunque hanno ragione i saggi animali: il tuo culone bianco puzza più della latrina di un reggimento. J.H.”
Il Generale Brooke fece appena in tempo a terminare la lettura che un colpo di fucile proveniente dalla piantagione lo fece sobbalzare e, subito dopo, un grido si levò dalla strada!
“Guardate!!!! In cielo!!!”
Alzando lo sguardo i presenti rimasero sbigottiti.
Dal terreno paludoso che circondava il lato est della tenuta si erano alzati in volo quelli che dovevano essere due grossi aquiloni verdi che ricordavano abbastanza fedelmente i carapace di due tartarughe.
Brooke non reagì quasi; né alla lettura del messaggio, né allo spettacolo delle tartarughe volanti, voltò solo le spalle ai presenti e si diresse verso il suo studio. Qualche istante più tardi però, le sue grida risuonarono feroci in tutta la villa.
“Quel bastardo figlio di un cane, quel negro maledetto e che maledetti siano tutti! Quel sudicio pezzo di sterco di vacca! Quel diavolo farebbe schifoanche a un ratto! Ahh Ma la pagherà! La pagherà cara quel figlio di una scrofa!Lui e tutti i suoi compagni Seminole!”
Poi si le urla si chetarono per un istante, nella villa nessuno ebbe neppure il coraggio di respirare.
“Foster!”
Il grido rimbombò per le sale silenziose della magione.
Il Tenente salì in un lampo le scale che portavano allo dello studio del Generale. Bussò ed entrò timoroso.
Il generale era paonazzo in viso, ma i suoi movimenti e il suo parlare lo facevano apparire calmo, quasi sorridente.
“Foster, ho intenzione di preparare una bella sorpresa per i nostri vicini Seminole e per il nostro amico John Horse. Di a Smith e Collin di raggiungermi il prima possibile.”
Erberth Smith e William Collin erano il tattico e lo stratega del battaglione e quando il generale faceva chiamare loro d’urgenza significava che una battaglia era alle porte.

Intanto, nella piccola colonia la notizia del nuovo furto degli animali era rapidamente passata di bocca in bocca ed era diventata il principale argomento di discussione della mattina.
Nel mormorio del mercato si ripetevano sempre le stesse frasi:
“Hai visto le tartarughe volanti?"
"C'è stato un furto nella villa!"
"Dicono che siano stati i Seminole."
Mano a mano che le notizie trapelavano dalla casa del Generale anche i discorsi dei coloni si facevano più precisi:
“Il generale pensava di avere cinquanta bestie nel suo stagno, invece erano solo due… e questa mattina non c’erano neppure quelle!”
“Kalei mi ha detto che quel marrones, vendeva sempre le stesse tartarughe al generale. Di notte gliele rubava e di giorno le rivendeva, lo ha fatto 30 volte!”
Kalei era lo schiavo della villa che aiutava in cucina e che ogni mattina veniva mandato a fare incetta di verdura e frutta fresca per rifornire la dispensa degli articoli migliori.
Per ultimo si ipotizzarono svariati modi in cui il ladro avrebbe potuto riuscire nell'impresa:
“Dicono cheabbia fatto un patto col Demonio che gli ha dato il potere di rendersi invisibile e veloce come il vento”.
"Ho sentito che parla con i morti"
“Hanno trovato delle prove di come abbia stregato il generale con un sortilegio!”
Più la voce correva e più l’impresa di John si tingeva di colori leggendari.
In breve tempo tutti parlavano del marrones figlio del demonio che era veloce più del vento e ti stregava con lo sguardo; la gente giurava che fosse alto più di otto piedi e che avesse le braccia grosse come le gambe di un uomo normale.

Se tra i coloni non c'era praticamente nessuno che avesse sentito il nome di John Horse prima di quella mattina chi lo conosceva invece molto bene erano gli schiavi delle piantagioni. Tutti lo avevano incontrato almeno una volta. Molte notti, riuniti nel fienile o in qualche capanno degli attrezzi, gli schiavi rimanevano per ore ad ascoltare le parole di libertà, fratellanza e ribellione che John riusciva scagliare come saette verso le loro anime. Era un grande parlatore e si recava da loro molto spesso. Voleva che si ribellassero, che impugnassero i fucili e combattessero per la loro liberà. Ma per quanto il carisma certo non gli mancasse i neri continuavano ad avere molta paura, credevano di essere troppo deboli e rifiutavano l’idea di scatenare una rivolta. Così, qualche notte prima di quella mattina, John aveva riunito un piccolo gruppo di due dozzine di schiavi riuscendo a strappare loro la promessa che lo avrebbero seguito anche se questo avesse significato combattere, sparare e morire. Lo avrebbero seguito se…
“Non mi credete?” aveva detto “Non pensate che possa condurvi alla libertà? Avete paura mollaccioni? Guardate me, la mia pelle è nera come la vostra eppure io sono libero! E credete che io non combatta tutti i giorni per la mia libertà? Me la spremo dalla pelle col sudore! E’ vero, sono nato libero, ma non siete forse nati liberi anche voi, figli di un’altra terra? Dovete ribellarvi, non siete bestie siete uomini dannazione… fidatevi di me, gli spiriti sono dalla nostra parte!”
“Devi provarlo John, provaci che gli spiriti sono favorevoli e verremo con te” aveva obbiettato uno schiavo.
Il Seminole si fermò a riflettere un istante. Poi s’illuminò ed esclamò:
“Le tartarughe, le tartarughe del Generale Brooke voleranno via dalla loro prigione!”
Fu interrotto dalle risate degli schiavi, nessuno poteva credere che delle tartarughe, gli esseri più lenti che conoscevano, avrebbero mai potuto volare, forse neppure con l’intervento degli spiriti .
“Non ci credete fannulloni? Non credete in ciò che non è possibile?” riprese John.
“Allora ascoltate: i prossimi giorni guardate verso est, un po’ dopo l’alba. A est ho detto, verso il nostro accampamento, verso la libertà. Vedrete come i miracoli possano diventare realtà e forse vi convincerete che è arrivato il momento per capire che gli uomini veri, non i piscialetto, non marciscono in schiavitù, piuttosto muoiono combattendo”.
A quelle parole tutti avevano pensato che John l’avesse davvero detta davvero grossa e avevano sparso la voce fra gli schiavi di tutta la tenuta tanto che quella mattina, alla vista delle tartarughe volanti, erano in molti a chiedersi se era davvero venuto il momento di prendere le armi contro i padroni che li frustavano e dormivano con le loro mogli e le loro figlie. La vista di quel miracolo aveva rinvigorito quella fiammella di speranza che rimane sempre viva nel cuore di ogni uomo a cui tocca vivere in schiavitù. (frase retorica eliminabile)

Dalla finestra del suo studiolo, arredato con mobilio proveniente dal vecchio mondo, il Generale Brooke scrutava le paludi ad est della tenuta meditando come vendicarsi dell’affronto. Le sue preoccupazioni andavano ben oltre la figuraccia che avrebbe fatto quella sera a cena o lo smacco ricevuto; aveva ricevuto delle informative che parlavano di contatti fra gli schiavi e i Seminole. Era quel vicino accampamento di neri e indiani, uomini liberi e coraggiosi a disturbare la pace nella colonia e di conseguenza la sua tranquillità. Andava eliminato il prima possibile o la rivolta sarebbe potuta scoppiare da un momento all’altro.
Brooke alternava i suoi pensieri con la lettura del messaggio che era stato ritrovato nel suo giardino e, ogni volta, la sua rabbia cresceva di più, tanto che quasi non riusciva più a trattenerla.
Quello stillicidio fu interrotto dall’arrivo dei suoi consiglieri di guerra.
Dopo i convenevoli iniziali il generale affrontò subito il tema centrale della questione.
“ Vi ho fatti chiamare d’urgenza perché ho in mente di attaccare il villaggio dei Calusa o Seminole, come penso si facciano chiamare adesso”
“Li attaccheremo, li vinceremo e li uccideremo tutti” disse con calma apparente e fissando negli occhi i suoi due ospiti.
“lo sconsiglio, signore” intervenne il tattico Erberth Smith “ ci risulta che tutte le spedizioni sia inglesi che spagnole sono sempre andate fallite; non possiamo permetterci troppe perdite in unmomento in cui la colonia è destabilizzata, sarebbe meglio aprire un tavolo diploma…”
“ Ho detto che voglio sterminarli tutti!” intervenne bruscamente il generale che all’udire la parola “diplomazia” si era messe a gridare e sbraitare come se avesse perso completamente le staffe.
“Li voglio morti, morti e sepolti, voglio piantare la testa di John Horse sul pennone all’ingresso della mia villa e voglio sventrare tutti i Seminole e dare le loro budella in pasto ai porci. Cosa c’è che non avete capito nelle mie parole?”
Poi si calmò, come se aver sfogato un po’ della rabbia che covava da mesi avesse alleggerito un pochino il suo animo e gli avesse permesso di riprendere il controllo di sé. Nella stanza era calato un silenzio più pesante di quello di un cimitero.
“Questa non è una discussione soldati, questo è un’ordine del vostro generale.” Disse aggiustandosi il colletto della camicia che si era spostato nella sfuriata precedente. Poi riprese:“Scriverò in mattinata al GEnerale Blackwood chiedendogli di mandarmi duecentocinquanta uomini da Sant’Augustìn, dovrebbero arrivare in cinque giorni. Con quel numero unito ai nostri strecentocinquanta soldati arriveremo a 600 unità. Quanti combattenti si stimano esserci fra i Seminole?”
“I nostri scout ci riferiscono fra i cento e i centocinquanta uomini e armati a malapena, signore” rispose lo stratega William Collin.
“Siamo quattro a uno e meglio armati, li schiacceremo come si schiaccia una cimice.” concluse il generale.

Nell’accampamento Seminole, che distava solo un’ora di cammino spedito dai margini della colonia, su un sentiero difficile che attraversava le paudi, si era formato un grande campanello di persone intorno a John Horse e alle due tartarughe.
“Raccontaci la tua avventura John!” chiedeva la folla a gran voce.
I Seminole adoravano ascoltare il marrones raccontare le sue avventure, aveva un modo di parlare magico e riusciva a narrare le sue gesta sempre in rima baciata
“Certo che ve la racconterò! Volete che vi racconti la storia di come ho rivenduto le tartarughe mille volte al generale?” chiese.
“No quella è vecchia”
“La conosciamo già” Rispose la folla.
“Allora questa volta vi narrerò di come ho salvato la vita a queste bestie e di come loro hanno salvato la mia” dichiarò fieramente
“ ma prima fatemi sorseggiare un bicchiere di Ruhm di quello nostro, quello vero, non di quella porcheria che bevono i cani bianchi.”
Ci fu un’ovazione, era più di un mese che le avventure di John erano sempre molto simili, in effetti l’ultimo mese era stato per John un continuo “ruba e rivendi le tartarughe”.
Gli fu subito portata una piccola zucca svuotata e fatte essiccare per diventare una piccola borraccia.
John Horse trangugiò un paio di golate del prezioso nettare e parve sprizzare energia da tutti i pori, alzò la testa, sgranò gli occhi fece cenno di fargli spazio con le mani e cominciò il suo racconto.
“Avete presente come sono i soldati bianchi?” disse osservando il suo pubblico negli occhi.
Poi corse dal lato opposto dello spazio che gli era stato concesso e si rispose:
“Con il culo su una sedia e i piedi su quella davanti!?!”
Il pubblicò reagì con risate ed grida che John zitti velocemente indicando che aveva molto altro da raccontare.
Tornò alla prima posizione e continuò a raccontare:
“Eran proprio così le due guardie della villa,
Mentre mi avvicinavo sculettando come un’anguilla!
E tanto leggero era il mio piede
Che non s’accorsero di esser le mie prede!
Un pugno al primo sul muso:
cadde a terra dritto come un fuso!
E prima che l’altro potesse dar fiato alla voce
Lo colpisco col calcio del fucile veloce!
In un istante son dentro, vicino al laghetto principale
e questa strana tartaruga mi voleva parlare (indica la tartaruga più grossa delle due)
Così’ avvicino l’orecchio alla sua bocca
e quella mi ci canta dentro una filastrocca.
Mi dice: -sai cosa vorrebbe questa vecchia tartaruga?
un po’ di libertà e un cespo di lattuga!
Se frughi dentro al secchio,
di certo ne troverai uno spicchio,
la nasconde l’uomo bianco
Presto guarda sopra il banco!-
Come potevo rifiutare,
a quest’animale che voleva scappare,
e dopo un splendida ballata
un rametto d’insalata?
Così ne prendo un pezzetto
e lo porgo all’animaletto
e quella affamata
non ci da manco un’annusata!
D’improvviso squillan le trombe
Han trovato i corpi moribondi
E io penso mi han beccato
di sicuro son fregato!
Nello scuro della villa
ecco accendersi una fiammella
e dopo quella un’altra e un’altra ancora
tutta sveglia è la dimora.
-Presto corri dietro alla cucina,
troverai una porticina
non scordarti mia sorella
che ti servirà anche quella!-
O grazie mille tartaruga
che mi indichi la fuga
metto ognuna sotto un braccio
che risolvano il brogliaccio
sono dietro alla magione
sento odore di prigione
perché al posto di quell’uscio
contro il muro il naso struscio.
Ecco la sorella carapace
che mi da dell’incapace.
“Con le mani i rampicanti
sposta presto li davanti”
E mi indica col becco
un cespuglio tutto secco
Senza neanche farlo apposta
urto la porta ben nascosta
Ma appena uscito sulla via
Ecco c’è la polizia
Le due bestie leste leste
spremon si le loro teste
E col rombo di più tuoni
mollan mille scorreggioni
D’improvviso e soprassalto
eccomi salire in alto
volo sulle loro teste,
salgo più delle finestre!
e le guardie sbigottite
restan li come impietrite.
La magia del deretano
mi porta sempre più lontano
e in uno schioccar di dita
metto in salvo la mia vita!
Sulla via per l’accampamento
penso a come sarà contento
il malvagio Generale
quando lo verrà a sapere
Batte il pugno grida forte
e ci giurerà morte
ma noi siamo differenti
siamo immuni agli accidenti
il nostro sangue è così forte
che spaventiamo anche la morte
Il bisonte ci da forza
l’orso nero la sua scorza
dei guerrieri abbiam l’ardore,
per combattere per ore
La libertà è il nostro spirito
perché è stata nostro merito
e abbiam l’ardir di dire
che è peggio viver schiavi che morire!

Finì la filastrocca rimanendo immobile e sorridente mentre tutto il villaggio gioiva e batteva i piedi a terra per festeggiare le imprese del suo eroe.
Più tardi, nella capanna centrale, quella in cui avvenivano le grandi riunioni, John venne ricevuto dal capo villaggio.
“Sei sempre un ottimo ladro John e un ottimo cantastorie” disse (nome capovillaggio)
“Non voglio sapere come davvero sei riuscito nella tua impresa, so che avrai fatto uno splendido lavoro”
“Ti ringrazio per la tua fiducia, Micco” rispose John onorato.
“Sai cosa mi preoccupa di più?” aggiunse.
“Dimmelo se ti va” replicò il capo.
“I neri che arriveranno qui in queste sere, saranno molti vedrai, li ho impressionati.”
“E’ questo che ti preoccupa John?”
“No, quello che mi preoccupa è che sono stati schiavi per molto, potrebbero non sapere più come si ci comporta da uomini liberi, potrebbero avere paura, rifiutarsi di combattere… potremmo ritrovarci senza il loro aiuto e sarebbe davvero dura allora.”
“Vedi John” fece il capo villaggio “io non ho nessuna paura, sai perché?”
“No”
“Perché so che tu sai riaccendere la libertà anche nel cuore di uno che non l’ha mai assaporata”

Fila. Ci sono un paio di incongruenze, l'episodio delle tartarughe avviene anni prima. Possiamo però meterlo a posto e inventarci un episodio di fuga da una piantagione. Comunque per adesso va bene, poi faremo le correzioni. A presto. Un Abbraccio J

metto qui la continuazione dell'ipotesi cap 1...quindi una specie di ipotesi cap.2? ...boh e chi lo sa!!Ora sto provando a scrivere del modo in cui Kai fugge dalla fazenda. :). Ciao a tutti.

Chissà che ne sarebbe stato di lei,del suo bambino e degli altri? Ancora strattoni per farla camminare fino ad una tenda;non c’era molta luce i suoi occhi avevano bisogno di un po’ di tempo per abituarsi a quella penombra;pian piano l’interno della tenda iniziò ad essere più chiaro e visibile;non che ci fosse un granchè da vedere in realtà:qualche coperta,una specie di giaciglio e poco altro. Era sconfortata,è vero,ma non poteva permettere all’angoscia di prendere il sopravvento;era una madre lei,doveva pensare al suo bambino!
Acqua. Aveva bisogno di acqua e cibo;possibile che in quel posto non ci fosse niente? Iniziò a cercare. Cercava qualsiasi cosa che le potesse essere utile: dell’acqua,avanzi di cibo. Teneva i sensi allerta,nel caso in cui fossero arrivati i soldati.
Nell’angolo più buio della tenda c’è qualcosa,una specie di brocca. Con dell’acqua,magari.
“è vuota!” la voce che sente fa sussultare Kai;soldati? No,non era possibile,quelle parole erano state pronunciate nella sua lingua! Era Abeke.Catturata,anche lei. Aveva visto arrivare all’accampamento sia Kai che gli altri del villaggio,i pochi che erano rimasti vivi; diceva che i soldati la sera prima avevano parlato tra loro indicandola più volte con lo sguardo;aveva capito che stavano parlando di lei,ma proprio non riusciva a capire cosa stessero dicendo. Un rumore,da fuori. Qualcuno si avvicina,una mano solleva un lembo della tenda. Un soldato. Porta qualcosa in mano,Kai non riesce a vedere bene cosa. Il riverbero della luce che filtra da fuori dà fastidio. Si avvicina,lascia una scodella e un’otre,scruta. Si avvicina a Kai,la guarda,la afferra per un braccio e la fa alzare. Indietreggia un passo o due,per poterla osservare meglio. Tutto il suo corpo,attentamente. Indugiando sul ventre rigonfio. Le mani di Kai cingono d’istinto la pancia,spera che non venga fatto del male al suo bambino. Il soldato dice qualcosa che Kai non comprende. Ancora uno sguardo,un ghigno inquietante,poi si dirige verso l’uscita. Kai fa un lungo respiro e si lascia cadere su alcune coperte. Abeke si alza per vedere cosa avesse portato il soldato: cibo e acqua! Non conoscevano quali fossero le intenzioni dei soldati,ma perlomeno ora sapevano che non le avrebbero fatte morire di fame e di sete! Mangiarono quello che era stato portato loro: del pane e una specie di stufato,bevvero dei lunghi sorsi d’acqua dall’otre. Ora che la fame e la sete erano state placate Kai ed Abeke iniziarono a chiedersi quanti del loro villaggio erano morti,quanti erano stati catturati e se qualcuno di loro,e lo speravano,era riuscito a mettersi in salvo. Kai aveva iniziato a sentir freddo,forse per la stanchezza,forse per l’imminente avvicinarsi della notte. Si avvolse in una delle coperte che erano nella tenda;di lì a poco anche Abeke fece lo stesso.
Kai aprì gli occhi, per un momento le sembrò di essere ancora al villaggio,le sembrò persino di sentire la voce di Zama che la chiamava! Poi si rese conto e tornò alla realtà. Abeke era già sveglia e cercava di avvicinarsi all’ingresso della tenda per cercare di vedere cosa stesse succedendo fuori. Cercò di avvicinarsi il più possibile,ma i ceppi che erano stati messi loro alle caviglie impedivano la gran parte dei movimenti.
Uno dei soldati entrando nella tende fece cenno a Kai e ad Abeke di alzarsi e,con uno strattone,le portò fuori:Kai si accorse che anche gli altri prigionieri erano lì fuori,legati polsi e caviglie,esattamente come lei ed Abeke. I soldati si stavano preparando a partire,parlavano. Kai non poteva sapere cosa si stessero dicendo,ma il campo veniva
smontato velocemente. Lei e gli altri prigionieri erano stati messi tutti insieme davanti a quattro soldati che gli tenevano le baionette puntate contro. Non passò molto che la guarnigione fu pronta a muoversi: comandante,vessillo,bandiera,soldati,colonna di prigionieri,ancora soldati,portatori.
I prigionieri sono stati legati l’uno all’altro per essere tenuti sotto controllo con maggior facilità. Un soldato all’inizio della fila tiene la fune e strattona di tanto in tanto per far aumentare l’andatura. Kai si chiede dove stiano andando: 4 giorni di cammino,facendo soste brevi,i soldati si riposano e si rifocillano. Ai prigionieri gettano gli avanzi del cibo e,durante il cammino spesso tormentano le parti nude dei loro corpi i graffiandoli con le punte delle baionette. La notte è fredda,la temperatura scende vertiginosamente,è quasi impossibile riuscire a dormire nonostante la stanchezza. I soldati si avvolgono nelle loro coperte,ma gli ostaggi patiscono il freddo. Un soldato si avvicina a Kai. Le dice qualcosa;impossibile capire. Lei lo fissa,il cuore le manca un battito: “Cosa vorrà?”. Si allontana. Meno male! Il tempo di un sospiro e lo vede riavvicinarsi. Parole,ancora. Incomprensibili. “Calma”. Kai respira a fondo,cercando di respingere l’angoscia. Vicino,ancora. Il soldato si china verso di lei,Kai sente gocce di sudore freddo scenderle sulla fronte. Chiude gli occhi. Una parola,poi un gesto. Rapido. Passi:il soldato si era allontanato da lei. Per la paura Kai non aveva neanche sentito cadere qualcosa di caldo e morbido sul suo ventre: una coperta…. il soldato le aveva portato una coperta! Per via del bambino forse. Kai trovava difficile credere che fosse stato un gesto di gentilezza nei suoi riguardi,ma non riusciva a capirne comunque il motivo: non voleva che lei si ammalasse ma….Perchè? Forse non aveva importanza,non in quel momento, si addormentò. Sognò:il villaggio,Kamau,il suo bambino. Il risveglio la riportò di colpo alla realtà: senza troppi complimenti uno dei soldati la fece mettere in piedi con gli altri. Stava cominciando un’altra giornata di cammino. Kai credeva che avrebbero camminato fino a sera. Era primo pomeriggio quando,invece,arrivarono davanti all’oceano. I soldati spingevano i prigionieri fin sopra delle piccole imbarcazioni. Dalla riva si intravedeva una grande nave: era lì che erano dirette le barche. Arrivati alla nave tutti i prigionieri vengono fatti salire,uno ad uno. Una volta saliti a bordo vengono fatti scendere lungo una scala di legno,fino ad arrivare alla stiva. È buio,Kai deve chiudere e riaprire gli occhi più volte,per abituarsi alla mancanza di luce. I prigionieri vengono sistemati nella parte in fondo della stiva,ammassati e fatti sedere. Uno dei soldati dice qualcosa,ancora parole incomprensibili,poi si gira e se ne va. Kai sente salire in gola un conato di vomito,l’odore acre che sente nella stiva le dà la nausea e l’agitazione che cresce non facilita le cose. Respira a fondo,più volte,cerca di calmarsi. Deve riuscire a calmarsi,per sé e per il suo bambino. Uno scossone. Forte. Voci. Parole urlate. La nave era salpata. Chissà dove li avrebbero portati e per quanti giorni avrebbero navigato. La stanchezza aveva avuto la meglio su Kai,come anche sugli altri del resto. La maggior parte di loro si erano addormentati,alcuni tenevano solo gli occhi chiusi nella speranza che,riaprendoli,quell’incubo sarebbe sparito. Ma non era così;i soldati tornavano di tanto in tanto per controllare i prigionieri,ogni tanto portavano loro dell’acqua e qualcosa da mangiare:volevano tenerli in vita e in salute. La stiva della nave era sporca,buia e umida;Kai sentiva passarle accanto dei topi,spesso le sfioravano le gambe. Tutti i prigionieri avevano pochissima libertà di movimento:potevano a malapena arrivare in un
angolo buio della stiva dove i soldati avevano messo un secchio di legno per i loro bisogni. Kai sentiva il proprio corpo intorpidito,aveva dolore dappertutto:le gambe,le caviglie,le braccia. Iniziava a chiedersi se sarebbe riuscita a scendere da quella nave prima della nascita del suo bambino. Kai non riusciva più a contare i giorni di navigazione:la stiva era buia,non sapeva se fosse giorno o notte. Tutti i prigionieri cercavano di darsi conforto a vicenda. Stesso odore acre,stesso buio,stessa umidità,stesso scricchiolio delle travi di legno della stiva per chissà quanti giorni. Stessa presenza dei soldati:andavano,venivano,portavano cibo,tornavano,parlavano tra loro. Stavolta,però,i due soldati scesi dalle scale di legno afferrano Kai per un braccio. La sollevano bruscamente,la spingono verso le scale che portano fuori dalla stiva. Kai fatica molto a salire:le gambe le fanno male,gli occhi fanno fatica a causa della luce. Non sa dove verrà portata: sul ponte forse,ma perché? No. I soldati fanno salire a Kai solo la prima rampa,le spingono lungo un corridoio stretto. Un marinaio si scansa per cedere il passo al soldato. L’uomo si ferma davanti ad una porta chiusa. Bussa. Una volta. Nessuna risposta. Il soldato batte un altro colpo sulla porta. Una voce dall’interno dice qualcosa e il soldato apre la porta. Il comandante: Kai lo aveva visto una volta quando i soldati stavano smontando il campo. Poi quando erano partiti per arrivare alla nave non lo aveva più visto,probabilmente li aveva preceduti sulla nave. Kai viene fatta fermare al centro della cabina;il comandante,prima seduto davanti al proprio tavolo,si alza e procede a passi lenti verso di lei. La scruta attentamente,le gira intorno. Osserva le gambe,la schiena,il seno. Le fa alzare prima un braccio. Poi l’altro. Con la mano destra afferra il mento di Kai. Le gira la testa da un lato e dall’altro;poi con la mano sinistra le scosta le labbra per vedere i suoi denti. Avvicina il suo viso a quello di Kai a tal punto che lei può sentire l’aspro odore di whisky e tabacco che proviene dalla bocca del comandante. Perchè era stata portata lì? Perché lei sola? Kai ha paura. Respirando a fondo cerca di ritrovare la lucidità e di non far trapelare la sua angoscia. Immobile. Resta immobile per tutto il tempo in cui il comandante la ispeziona. Due passi indietro,finalmente! Kai tira un sospiro di sollievo: perlomeno ora il comandante non era più così vicino. Le aveva voltato le spalle e stava dicendo qualcosa ad uno dei marinai che,appena il comandante aveva finito di parlare,era uscito dalla cabina. Il marinaio ritorna qualche istante dopo con un altro uomo,uno dei portatori, che si avvicina al comandante. Parlano,Kai non capisce. Ora l’uomo si avvicina a Kai,le parla. Stavolta in una lingua che lei comprende. Nella sua lingua. Eppure l’uomo non era del suo villaggio,di uno vicino forse. L’uomo le dice che il comandante è molto contento di averla fatta prigioniera perché è bella,giovane,in salute,adatta al lavoro e incinta:gli frutterà un bel po’ quando la venderà come schiava nel Nuovo Mondo, in America! Una schiava. Schiavi! Era per questo che la guarnigione aveva attaccato il villaggio,era per questo che Kamau e Zama erano morti? Il portatore le dice che ormai sono quasi arrivati a destinazione: un giorno di navigazione,forse due ancora. Il comandante deve aver detto di riportare Kai nella stiva,perché il soldato ,prendendola per un braccio la spinge verso la porta della cabina. Stesso percorso al contrario: corridoio,scale,stiva. Di nuovo buio. Di nuovo umido. Il soldato la spinge a sedersi vicino agli altri e se ne va. Abeke si avvicina a Kai : non era sicura che l’avrebbe vista tornare quando i soldati l’avevano portata via! Le chiede se le abbiano fatto del male. No,nulla. -“Allora cos’hai?”- Abeke era preoccupata:Kai sembrava ancora più angosciata di prima. -“So dove ci stanno portando,so che ne sarà di noi. Di tutti noi!”-
-“Parla allora,su!” – Anche altri prigionieri si erano avvicinati per sentire quello che Kai stava per dire.
-“Siamo diretti nel Nuovo Mondo. Tra un giorno o due saremo arrivati. E una volta lì verremo venduti tutti quanti come schiavi”-
Le parole di Kai avevano fatto scendere un pesante silenzio. Ora sapevano quale sarebbe stato il loro destino. Anche Kai stava pensando;si accarezzava il ventre e pensava al suo bambino: il figlio di una sciamana e di un guerriero sarebbe nato schiavo! –“Mi dispiace piccolo mio. Non era così che avevo immaginato la tua vita.”
Passò ancora del tempo. Giorno,notte chissà. Un rumore metallico. Uno scossone: l’ancora era stata gettata in mare. La nave era attraccata. Poi di nuovo rumore,qualcuno scende le scale che portano alla stiva: sei soldati. Si danno un gran da fare per preparare i prigionieri allo sbarco. Di nuovo in fila,legati polsi e caviglie. Proprio come quando erano stati catturati nella loro terra,ormai lontana.
Uno dei soldati tiene per le corde il primo prigioniero e lo strattona,costringendo così,tutti gli altri a seguirlo. È difficile per i prigionieri salire le scale della stiva: le gambe sono doloranti e i corpi debilitati. Alcuni di loro avevano iniziato a tossire già da alcuni giorni,altri avevano forti dolori allo stomaco. Probabilmente a causa della forte umidità e della mancanza di igiene.
Arrivati sul ponte molti dei prigionieri tengono gli occhi semi-chiusi: è giorno il sole è troppo forte e i loro occhi sono stati per troppo tempo al buio. I soldati li fanno scendere lungo la passerella di legno della nave. Ecco erano arrivati. Erano in America. Il porto era pieno di gente che andava e veniva:marinai che caricavano e scaricavano casse,navi pronte a salpare,gente che salutava chi partiva. Uomini fermi a fumare sigari o masticare tabacco vicino alle navi. Cavalli che trainavano lussuose carrozze,da cui scendevano uomini riccamente vestiti.
La voce del portatore distrae Kai dal quel trambusto che l’aveva quasi ipnotizzata.
-“Siamo in Messico.”- le stava dicendo nella sua lingua.
-“ Oggi stesso verrete prelevati qui al porto dall’uomo che vi venderà al mercato degli schiavi.”-
Messico. Che importa? ormai per lei non aveva più alcuna importanza il luogo in cui si trovava: era lontana dalla sua terra,sapeva che non avrebbe più visto Kamau. Suo figlio non avrebbe mai avuto un padre. Lei era una schiava,il suo bambino sarebbe nato già schiavo. Si,ormai un posto valeva l’altro.
Il comandante aveva preceduto i soldati nella discesa dalla nave ed ora stava parlando con un uomo dall’aspetto poco rassicurante,il mercante probabilmente. L’uomo,avvicinatosi ai prigionieri inizia ad osservarli attentamente. Uno ad uno. Controlla gambe,braccia,schiena ,denti. Ispeziona anche Kai ,fa un sorriso compiaciuto vedendo che è incinta. Torna dal comandante gli dice qualcosa e gli consegna un sacchetto di pelle chiara. Il comandante lo apre,conta i denari contenuti nel sacchetto e lo richiude. Dice qualcosa al mercante: sono pochi,vuole più soldi. In fin dei conti sono quasi tutti giovani i prigionieri;gli uomini sono forti e le donne sane. Per di più aveva portato anche una donna incinta:valeva di più;chi l’avesse acquistata si sarebbe portato a casa due schiavi al prezzo di uno!
Il mercante non è d’accordo. Si tiene il prezzo pattuito. Niente scherzi.
Arrivano quasi alle mani. Poi il mercante propone qualcosa al comandante che accetta di buon grado. I toni tornano pacati.
Il portatore si avvicina ai prigionieri e ordina alle donne di fare un passo avanti. Tutte tranne Kai.
Il comandante,attaccato il sacchetto col denaro alla cintura, si avvicina ed osserva le prigioniere una ad una. Tutte. Attentamente. Poi il suo sguardo ritorna su Abeke. La scruta. Tenendole il viso tra pollice e indice le fa girare la testa prima da un lato poi dall’altro. Le afferra i seni con le mani,soppesandoli e stringendoli. Abeke chiude gli occhi per cercare di scacciare la sensazione di repulsione che sente. Il comandante si allontana,si dirige di nuovo verso il mercante: -“Si. Va bene. Il prezzo pattuito più lei. Prendo lei,mi piace. Mi divertirò molto con lei!”-
Il mercante sembra compiaciuto. I due si stringono la mano.
I prigionieri non capiscono cosa sia accaduto finchè il mercante,andato di fronte ad Abeke,taglia i ceppi che la tengono legata al resto del gruppo e la spinge verso il comandante. Abeke era il premio che il mercante aveva concesso al comandante per avergli portato una prigioniera incinta!
Kai si sentì disperata. *
Il mercante prese la corda che teneva legati gli schiavi e,con uno strattone,li costrinse a seguirli. Anche il portatore andò con lui. Dovevano sbrigarsi perché proprio quella mattina in città ci sarebbe stato il mercato degli schiavi.
Lasciandosi il porto alle spalle stavano imboccando una strada abbastanza affollata:persone,cavalli,carrozze. Tutti andavano di gran fretta.
Arrivati in una piazza i prigionieri vengono sistemati in fila per uno davanti a tre scalini che portano ad una specie di piano rialzato. Vengono fatti salire uno ad uno. Kai vede davanti a sé una folla di gente che guarda lei e gli altri,urlando chissà cosa. Il mercante la prende per un braccio,obbligandola a fare un passo in avanti,poi l’uomo dice qualcosa,le tocca il ventre,le cosce e le strappa la tunica mettendo in mostra i suoi seni. La folla da sotto urla,indica con le mani,fa strani gesti. Ancora urla. Poi tutto si placa. Il mercante fa scendere Kai dal piano rialzato e si dirige verso un uomo alto col cappello che mastica tabacco. Parlano. L’uomo col cappello dà al mercante del denaro. Il mercante ghigna soddisfatto e consegna Kai al suo nuovo padrone.
Il portatore spiega a Kai che da quel momento in poi lei e il suo bambino erano di proprietà dell’uomo che li aveva comprati e che se lei non si fosse comportata bene lui aveva anche il diritto di ucciderla.
Kai si sentiva ferita,umiliata,spaventata:per lei e per il futuro del suo bimbo.
L’uomo col cappello spinge Kai per una spalla per farla salire su un carro. Kai si sistema dove può: ci sono sacchi di provviste ovunque. I cavalli vengono spronati e via chissà dove. Si allontanano dalla città e Kai inizia a vedere molti schiavi impegnati a lavorare nei campi.
Il carro,dopo aver percorso un lungo viale alberato, si ferma davanti ad una casa bianca dal tetto azzurro molto grande. Kai viene fatta scendere e portata dentro una specie di casa non troppo lontana da quella grande col tetto azzurro. Vede altre persone,uomini e donne,schiavi come lei.
Una donna le si avvicina,le parla ma Kai non capisce. Poi le parla di nuovo;in una lingua che conosce. Kai le chiede se anche lei sia stata catturata e dove fosse il suo villaggio. La donna dice di chiamarsi Ijaba e che il suo villaggio,non lontano da quello di Kai, era stato attaccato dai soldati e che anche lei era stata portata lì in nave. Ormai era passato molto tempo:a tal punto che i suoi figli parlavano la lingua dei bianchi e lei stessa l’aveva dovuta imparare per servire al meglio il padrone. Kai è sollevata dal fatto di avere qualcuno con cui parlare. La donna l’accompagna in una piccola stanza vicina. Le dice che dovrà rendersi presentabile al padrone.
Come: non era il suo nuovo padrone quello che l’aveva portata via dal mercato degli schiavi,pagando per lei?
-“No,quello è Carlos. Lavora per il padrone. Lui viene pagato però. Non è uno schiavo. Il padrone si fida molto di lui;si occupa delle provviste,delle riparazioni in casa e dell’acquisto degli schiavi”-
A Kai viene fatto indossare un vestito simile a quello delle altre schiave:una lunga gonna marrone,una camicia verde e un fazzoletto da portare al collo o in testa nelle giornate di sole nei campi.
Ijaba la porta in casa. Passando dalla cucina Kai arriva in una stanza dove un uomo ben vestito sta fumando un sigaro. Ijaba ,tenendo gli occhi bassi,fa una specie di inchino davanti all’uomo e dice che quella è il nuovo acquisto,la nuova schiava.
L’uomo fa un cenno con la mano destra,neanche la guarda.
Ijaba e Kai tornano al capannone degli schiavi. Si era fatto buio ormai. Ijaba dà a Kai una coperta a righe colorate,la porta alla sua branda e le dice: “Dormi,ti chiamerò io domani per andare a lavorare nei campi.”
Kai si sentiva frastornata,stanca,preoccupata. Si addormentò,accarezzandosi il ventre.
La voce di Ijabe la svegliò che non era ancora l’alba. Kai si alzò e si diresse fuori dal capannone con gli altri. Nella casa padronale della fazenda non c’era ancora nessuna luce. Dormivano tutti. Il silenzio del mattino è interrotto da Carlos che arriva con un calesse davanti al capannone. Tutti gli schiavi salgono sul calesse. Carlos schiocca le redini sul corpo dei cavalli e riparte.
Arrivati:un’immensa piantagione di zucchero davanti a loro. La lunga giornata di lavoro era cominciata. Ijaba cercava di stare vicina a Kai per insegnarle il lavoro. La giornata è faticosa,sembra non finire mai. Al calar del sole di nuovo al capannone. Distrutta.
I giorni passano. Kai ha imparato il suo lavoro,inizia a capire qualche parola della lingua locale. La vita scorre sempre uguale: esce dal capannone che è ancora buio e vi ritorna al tramonto. È stanca. La sua pancia cresce. Il bambino è in arrivo ormai.
Una notte,seppur stanca,Kai non riesce a prender sonno. Sente dei dolori al ventre. Ijaba,già madre,si offre di aiutare Kai: era il momento. Anche alcune delle altre schiave lo fanno. Kai sa cosa fare,sa come comportarsi. Aveva immaginato quel momento diverse volte. Quello che non aveva immaginato era che suo figlio nascesse schiavo e in terra straniera.
Il silenzio della notte è rotto dai vagiti nel capannone degli schiavi. Un maschietto. Kai lo aveva immaginato sin dall’inizio. Bello e forte come il suo papà. Kai è stremata,ma felice:stringe il suo bambino tra le braccia. Ijaba le porta una coperta:è logora,ma almeno servirà a riparare il bambino dal freddo.

in Wikipedia (per comodità - ma ricordo di averlo letto spesso)
http://it.wikipedia.org/wiki/Tratta_atlantica_degli_schiavi_africani
si afferma che il viaggio della tratta atlantica o Middle passage, quella appunto delle "navi schiaviste"... il viaggio dura alcuni giorni dai villaggi dell'entroterra Africana alla costa e poi "il viaggio in nave variava da uno a sei mesi"... è bene ponderare i riferimenti stagionali o lasciarli vaghi... così come il tempo della gravidanza... insomma è opportuno decidere bene dove far partorire Kai... considerando la storia e la natura.

dal capitolo 1
La sua mente iniziò a vagare, con la mano sinistra si accarezzò il ventre rigonfio [5° mese di gravidanza in poi???]...

La baionetta del fucile [i soldati sono quindi "europei?"... però i dati storici raccontano che i popoli africani erano per lo più "fatti schiavi" da altri popoli africani che poi li rivendevano agli europei...

Si hai ragione Alessandro,le tempistiche ( e non solo) credo siano tutte da rivedere e da mettere in maniera tale che collmino col resto

ma lo spazio dopo la virgola tu non lo metti per la "fretta di scrivere" o sono io a sbagliare per paranoia compulsiva...

ma torniamo al racconto:

quando il traduttore gli dice che andranno nel nuovo Mondo e gli Parla del Messico... come fa Kai a sapere di cosa si parla?

e il racconto del guado... io lo immaginavo in Florida... ma lo vedo collocato nel capitolo 1°... tu che ne pensi?

Allora: lo spazio dopo la virgola se scrivo in fretta lo ometto. A dir la verità ultimanente ometto pure le parole o scirvo invertendo le lettere...brutto segno!

per il racconto: io ipotizzavo che le parole del traduttore fossere capite da Kai,perchè dette nella sua lingua,ma le risultassero "vuote" di significati particolari.

Secondo me,debitamente riveduto,il guado è un pezzo che si potrebbe adattare a diverse parti del racconto

io il guado lo inserirei nel
Capitolo 12
Dove si narra di un grande agguato dove perirono più di 100 cani bianchi.
I soldati bianchi attaccano Fort Black.

Secondo me, con le oppurtune variazioni ci starebbe bene.

E' scritto bene, chiaro e conciso. Ci sono da mettere a posto un paio di cose nella dimanica dei cani. serve che siano incapaci di seguire una traccia... un po' strani ma non dovrebbero stramazzare per terra, sennò verrebbero sostituiti dai cani dei vicini... Poi io aspetterei un momento di particolare tensione, ad esempio un epidemia di influenza che mette a letto il capo guardiano che è l'addestratore dei cani e un altro paio di guardiani. Allora lei prende al volo il momento favorevole... Comunque andiamo avanti le correzioni le facciamo poi. Adesso che capitolo scrivi? Nuzzino fa Osheola, io William Augustus Bowles, il capo anglo danese del 1990 (vedi mia pagina su FB). Vedi http://www.southernhistory.us/wabowles.htm o Wikipedia... se vuoi telefonami... Baci J

Jacopo, sto facendo il cap. 5. tra stanotte e domani lo chiudo e lo posto. Ho provato a telefonarti ora,ma dava irraggiungibile,son appena tornata da Roma,lezione di economia politica e criminologia .... 'na festa proprio....

Ho letto di Augustus Bowles.....è un personaggio interessantissimo!!!!!

COLLETTIVO LIBRO SEMINOLE: la trama si infittisce.

partecipa anche tu!

Ecco il piano di lavoro, bolettino numero 1

Ok, abbiamo il capitolo 1-2- parte del 3 e del 4 (Africa, Kai incinta, catturata dagli schiavisti, arrivo America piani di fuga dalla piantagione,) un abbozzo IL CAPITOLO 5 CAMBIA, LEI NON SI INNAMORA PIù DEL'UOMO SEMINOLE MA RIINCONTRA SUO MARITO DAL QUALE è STATA SEPARATA da rivedere del 6 tartarughe aquiloni, parte capitolo 7-8 Horse convince gli schiavi neri a fuggire e ne porta 300 in battaglia, discorso agli schiavi, capitolo finale Mae Tiger, Appendice storia fino al 1800.

A questo punto ci serve di creare una pagina-libro su Google, stiamo cercando chi lo sappia fare, così possiamo scrivere contemporaneamente tutti sulle stesse pagine.

Essenziale per passare alla fase correzioni.

Cerchiamo altri volontari disposti aingaggiarsi in questa che è la Quinta Guerra Seminole (quella letteraria) Abbiamo il 20% del materiale. Ce la possiamo fare? No. Ma ce la faremo lo stesso, perchè siamo intimamente tosti.

Per entrare in contatto usa anche pagina FB

 

ttp://www.facebook.com/pages/Jacopo-Fo/31602376827 PAGINA FACEBOOK FINO A DOMENICA NOTTE SARò QUASI SEMPRE PRESENTE. PROSSIMO APPUNTAMENTO PER RIUNIONE DI LAVORO STASERA ORE 23 CONNETTITI ALLA VIDEO CONFERENZA SU www.alcatraz.it

Le servivano altri funghi. Ne avrebbe dovuti usare parecchi perché potessero fare effetto su tutti i cani della fazenda. Però funzionava,si stava funzionando. Il cane doveva essere in preda a forti dolori perché aveva smesso di girare,si era accasciato a terra e dalla bocca gli usciva una schiuma biancastra. Quello sarebbe stati i suoi ultimi giorni come schiava degli Jones. Lei e il suo bambino sarebbero stati liberi.
Kai non era una stupida. La sua padrona bianca lo pensava. A Kai faceva comodo che lo pensasse. Alcuni giorni prima,mentre Kai serviva il tè, la signora Jones parlando con una sua amica, Freda Tibbs,aveva detto che,uscendo dalla parte nord-est della fazenda, c’era un posto dove lei incontrava il suo amante segreto. Diceva che si trattava di un luogo piuttosto sicuro. Neanche quando il marito aveva sospettato il suo tradimento ed aveva iniziato a controllarla era mai riuscito a coglierla sul fatto. Freda Tibbs aveva sgranato gli occhi: -“Ma che fai,cara,parli davanti alla servitù?”-
-“ Non preoccuparti: Betty è stupida. Ubbidiente,ma stupida.”-
-“Si certo,tu continua a pensare che io sia stupida. Che non capisca. Mi va bene così. Intanto mi stai offrendo la mia più grande opportunità di fuga!”
Nei giorni precedenti la fuga,Kai iniziò a sottrarre alcune provviste in cucina. Piccolissime quantità,un giorno dopo l’altro. Doveva essere previdente,non poteva permettersi errori. Continuava a raccogliere funghi. Studiava i movimenti di tutti.
Carlos:l’uomo di fiducia del padrone. Era lui che doveva temere. Infatti lo temeva. Il signor Jones non era stato l’unico ad abusare di lei lì. Carlos non le toglieva gli occhi di dosso. Kai rabbrividiva solo al pensiero di tutte le volte in cui Carlos era entrato nel capannone degli schiavi,le si era buttato addosso e l’aveva violentata. Kai in quei momenti cercava di staccarsi dalla realtà. Immaginava di trovarsi altrove. Per non impazzire. Ricordava la volta in cui il piccolo John si era svegliato per il rumore. –“Fallo star zitto o gli taglio la gola”- aveva urlato Carlos mentre ansimava sopra di lei.
Doveva finire. Voleva una vita migliore per se e per suo figlio. Tutto era pronto,organizzato nei minimi particolari. Aveva raccolto i funghi e preparato i bocconi per i cani,preso riserve di cibo e acqua,studiato i movimenti di tutti alla fazenda,ispezionato in parte il percorso che la avrebbe portata fuori da lì:sembrava possibile, avrebbe potuto scappare con il bambino senza dare troppo nell’occhio.
Aveva deciso:sarebbe fuggita col piccolo John quella sera stessa. Certo muoversi di notte con un bambino aveva i suoi rischi,ma le avrebbe dato ore di vantaggio prima che qualcuno si fosse accorto della sua fuga. Come ogni sera Kai servì la cena in tavola,lavò i piatti,sistemò la cucina e la sala da pranzo. Aiutò la signora Jones a spogliarsi e le spazzolò i capelli. Aveva finito la sua giornata,prese in braccio il piccolo John e si diresse al capanno degli schiavi. La maggior parte di loro già dormiva,ma non poteva rischiare che qualcuno la vedesse. Neanche gli altri schiavi. Si distese sul pagliericcio di erba secca e aspettò,sperando che Carlos non venisse a farle visita.
Era il momento. Tutti dormivano. Prese John in braccio,cercando di non farlo svegliare,prese le provviste che aveva messo da parte giorni prima. Uscì dal capanno in punta di piedi,si diresse verso il recinto dei cani. Buttò i bocconi oltre la staccionata. Si assicurò che facessero effetto su tutti i cani. Andò verso l’uscita nord-est della fazenda. Si muoveva con cautela,doveva far piano. Spesso Carlos usciva la notte se sentiva dei rumori.
Fuori,finalmente. Libera. Lo sguardo indietro,solo un attimo. Poi via verso la libertà…..

Posto io il pezzo scritto da MAFRA per il capitolo 15. Lei ha avuto difficoltà con l'inserimento:

alla fine del 1859 del popolo seminole rimasero solo in 150 arroccati nelle paludi nella loro grande casa,costruirono un'arca che li proteggerà per ben 40 anni fino al trattato con gli usa nel 1906.
Si ritirarono in 150 nel centro della palude dove nessun bianco si era mai addentrato prima,tutti sapevano come erano pericolose e piene di trappole,meccanismi mortali e sabbie mobili,solo un vero seminole poteva addentrarsi in quella palude fatta di vie d'acqua e terra apparentemente solida....questa è stata la vera fortezza che ha tenuto l'uomo bianco lontano da quel posto chiamato casa.
tenendo conto delle loro conoscenze sono sempre stati in contatto con il grande spirito hanno sempre mantenuto l'equilibrio energetico del territorio con i loro riti e sempre ricevuto in cambio un posto protetto dai pericoli.erano i giganti nativi e per nessuna ragione avrebbero ceduto i loro territori a chi voleva rendergli schiavi ,dovevano portare avanti la tradizione i riti alla madre terra e al grande spirito.

ma 40 anni sono lunghi da passare,come facevano a vivere nelle paludi?aspettando il giorno che avrebbero vinto la loro libertà?

fra i sopravvissuti c'era (nome) un bianco disertore stanco di assistere agli abusi che commettevano i bianchi in queste guerre,si era rifugiato tra i seminole e aveva combattuto diverse battaglie contro i colonizzatori,diventando un membro della tribù a tutti gli effetti col nome di Blak Montone(maschio della pecora in inglese) e raccontava loro tutto ciò che sapeva del mondo civilizzato,spiegava che giocare a kriket dama scacchi palla dadi carte ecc.. era il passatempo preferito dai bianchi civilizzati.
per anni hanno giocato a palla,poi a scacchi,ai dadi,ma anche li dopo di un pò riuscivano a predire le combinazioni diventando sempre più maestri a lanciare i dadi,provarono tutti questi divertimenti per anni (senza mai divertirsi).da quello che sapevano ormai dei bianchi potevano raggirarli come volevano,perchè la saggezza ancora non gli aveva abbandonati del tutto,così si inventarono un nuovo gioco,tagliando delle foglie di canna e imprimendoci simboli di semi diversi (visto che erano dei contadini) si sono inventati il gioco del poker!!!
una notte lo sciamano della tribù ebbe la visione del suo popolo libero e molto ricco...
questa visione fu tramandata per tutti gli anni che vissero nascosti nelle paludi,formando poi una realtà che gli riconobbe popolo libero,avevano imparato dall'osservazione ad ancorare i loro sogni....
....cose sciamaniche... (!)

così hanno avuto molto tempo per perfezionarsi in tutti gli stili.
nel frattempo aumentavano di numero,avevano piantagioni a terrazze sopra dei cumuli come la loro casa,insegnando ai loro figli le tradizioni e il gioco del poker ecc ecc....

ogni tanto qualche bianco sprovveduto cercava di innoltrarsi nelle paludi,ma il più delle volte non ne usciva vivo.tra una incursione e l'altra sbarcavano il lunario giocando.
avevano circoscritto la palude di reticolati bastava mettere un piede in fallo per ritrovarsi in una sabbia mobile senza via d'uscita,oppure attaccati da coccodrilli affamati rinchiusi in gabbia e liberati allo scattare della trappola,brutta fine per chi ancora non voleva arrendersi al fatto che i seminole erano un popolo libero.
avevano capito che all'uomo bianco piaceva giocare bere e non era quasi mai sincero,ogni volta che faceva una promessa mai la manteneva,così appropriandosi delle debolezze del colonizzatore,svilupparono una grande maestria nel gioco che piaceva molto all'uomo bianco,così misero a punto una nuova strategia di battaglia,sapevano che tutti quegli anni passati ad allenarsi avrebbero portato alla fine i loro frutti.ogni comportamento che avevano osservato nel loro nemico prevalentemente bianco,lo avevano trasformato in un'arma di difesa a loro vantaggio,traevano dal male il bene.così passarono gli anni e si ritrovarono pieni di nuove tattiche di difesa.loro erano un popolo saggio che non faceva divisioni e distinzioni tra gli uomini,ma guardavano sempre il lato migliore dell'essere,non tutti sono delle carogne.
dunque alle paludi ogni tanto arrivava qualche fuggiasco oppresso da qualcuno ed entrava a far parte della tribù,portando notizie del mondo fuori della palude,di come andavano le cose e di come i bianchi erano sempre più prepotenti ed invasori di territori.

Ben scritto. Complimenti.
Amplierei o spiegherei meglio il discorso mistico, sennò suona paccottaglia new age...tra l'altro le nostre inviate in Florida, Vania e Claudia, potresti intervistarle, (telefona a Alcatraz e chiedi il loro numero 075 9 22 99 11 sono tornate con una grande impressione di avere a che fare con un popolo molto mistico con culti segreti e molte cose della loro storia che non vogliono raccontare.
Una specie di tibetani.
Quando dici Arca, intendi un tumulo con una casa sopra?
La storia che inventano loro le carte da poker francesi è vera? (!!!)
Bisognerebbe allargare un po' il discorso su questo Blak Montone. Molto interessante. Anche il discorso sulla profezia, qualcuno ne ha scritto prima degli anni '60?
C'è qualche altra cosa che sappiamo su questi anni post guerra?
Sulla firma della pace?
Ho trovato tra parentesi 2 date 1906 e 1910, quale è giusta? Sono due trattati?
Qualcuno riesce a trovare il testo del trattato?

I Calusa erano persone gentili,Kai si trovava bene con loro. Aveva imparato in fretta la lingua: le donne nubili che vivevano con lei nella grande casa di tronchi e foglie gliel’avevano insegnata. Così come le avevano insegnato gli usi della loro gente. Vestiva alla maniera delle donne Calusa: la gonna lunga fino ai piedi ricamata con rombi colorati,la camicia di calicò gialla,i capelli scuri raccolti a cono sulla testa. Si sentiva una di loro. I giorni della prigionia erano solo un brutto ricordo. John cresceva sano e forte. Era un bambino sveglio e simpatico. Tutti gli volevano bene. Era finalmente serena,come quando era in Africa. Serena, ma non del tutto felice. Pensava a Kamau. Ci pensava spesso. Ogni volta che guardava John: il bambino aveva gli stessi occhi e lo stesso aspetto fiero. John a volte le chiedeva dove fosse suo padre. Kai rispondeva che lui era un valoroso guerriero che aveva combattuto per il suo popolo.
-“Sarebbe orgoglioso di te John”- Gli diceva sempre.
Kai e le altre donne stavano tornando. Erano andate a raccogliere erbe. Le anziane erano rimaste al villaggio con i bambini. Gli uomini erano a caccia.
Le erbe raccolte dovevano essere messe ad essiccare. Erano erbe utili per curare,semmai qualcuno del villaggio si fosse ammalato.
Kai , accovacciata davanti alla pentola sul fuoco,è intenta a mescolare lo stufato di zucca e patate dolci. Il rumore delle voci dei bambini del villaggio le annuncia che gli uomini sono tornati dalla caccia. I piccoli corrono loro incontro. Così ogni volta: una grande festa! Kai segue con lo sguardo la corsa dei bambini. Gli uomini hanno fatto buona caccia. Donne e bambini si avvicinano. Anche Kai lo fa. C’erano altri due uomini con loro; non erano del villaggio. Schiavi fuggiti ai padroni bianchi,probabilmente. Persone che avevano un passato da dimenticare. Come lei. Uno dei due uomini veniva sorretto dall’altro. Era ferito. Entrambi avevano delle cicatrici su tutto il corpo. –“segno che erano stati battuti dai loro padroni.”-pensò Kai. I loro vestiti erano logori. L’uomo che si aggrappava alla spalla dell’altro aveva la camicia strappata ed inzuppata di sangue. Il suo zigomo ed il suo occhio destro erano gonfi e lividi. Il labbro inferiore spaccato. A tratti si abbandonava sulla spalla dell’amico: perdeva conoscenza. I cacciatori avevano visto i due uomini nei pressi di un ruscello,mentre cercavano di pulire le ferite. Li avevano invitati ad andare con loro al villaggio dove li avrebbero curati e rifocillati.
Le anziane si avvicinano di più all’uomo quasi svenuto. Guardano le sue ferite,parlano. Poi una di loro dice di portarlo nella capanna grande. L’uomo viene portato nella capanna grande e disteso sulla pelle di cervo. L’anziana,intanto, prepara le erbe che userà per curargli le ferite. L’altro uomo viene curato e rifocillato,le sue ferite sono più superficiali. L’anziana dice a Kai di portare bende e acqua. La ferita va prima pulita con cura. L’uomo è febbricitante. La ferita è rimasta aperta troppo a lungo. Kai gli ripulisce il corpo dal sangue con delicatezza. Facendo maggiormente attenzione alla pelle vicino alla ferita. L’uomo non è cosciente. L’anziana è intenta a pestare le erbe che ha sminuzzato nel mortaio. Le applica direttamente sulla ferita. Fascia con delle bende. L’anziana chiede a Kai di restare alla capanna per assicurarsi che non ci sia un peggioramento. Si sarebbe occupata lei del piccolo John. Era notte fonda. L’uomo si lamentava nel sonno,ma perlomeno stava riposando. Non sembrava ci fossero peggioramenti nelle sue condizioni. Di tanto in tanto Kai gli accostava alle labbra un panno imbevuto d’acqua per dissetarlo. Lo rimetteva in posizione supina ogni volta che l’uomo tentava di girarsi nel sonno. Era importante che stesse fermo,altrimenti la ferita avrebbe impiegato più tempo a cicatrizzare. Kai guardava quell’uomo: nonostante il viso tumefatto le sembrava bello. Aveva lineamenti marcati,labbra carnose,zigomi alti,pelle scura. -”Assomiglia a Kamau”- pensò Kai. Si la somiglianza era decisamente forte,ma …. non era possibile: Kamau era stato ucciso in Africa,mentre cercava di difendere il suo villaggio. L’uomo iniziò ad agitarsi. Sogni. Un nome: il suo. Pronunciato dalle labbra di quell’uomo. Possibile? Kamau era ancora vivo? Anche lui era stato catturato e deportato come schiavo? Kai doveva scoprirlo. La notte è trascorsa. L’uomo ha riposato,la febbre è scesa.
Kai esce dalla capanna, intravede l’altro uomo. Lo raggiunge. Gli chiede di raccontarle cosa è successo loro.
_” Eravamo schiavi. Siamo fuggiti dalla stessa casa. Il padrone ci frustava. L’uomo che state curando veniva chiamato Ben dai bianchi. Però mi ha sempre detto che il suo vero nome è Kamau”-
-“ Kamau!”- è lui! È veramente lui! Kai non riesce a crederci: aveva pronunciato il suo nome nel delirio,ma lei aveva paura anche solo di sperare che fosse davvero lui.
L’anziana era nella capanna per sostituire le bende di Kamau. –“ Lui è l’uomo che amo! È Kamau,il padre del piccolo John!”-
-“Si riprenderà in fretta,è forte!” – aveva risposto l’anziana,accennando un sorriso. Era così felice Kai da non essersi accorta che l’uomo era cosciente. L’anziana uscì dalla capanna. Kai si avvicinò al giaciglio. Si guardarono. Occhi negli occhi. –“Kai,sei veramente tu?!? Sei viva! Sapessi quanto ho sperato che ti fossi salvata!” -
-“ Si Kamau,sono io. Ho creduto tu fossi morto. Non pensavo che ti avrei rivisto!”- Si abbracciarono a lungo. Kai gli disse che anche lei era stata catturata ed era scappata dal padrone bianco. I Calusa le avevano offerto ospitalità. Kamau le chiese se il loro bambino era riuscito a nascere e a vivere, con tutto quello che era accaduto a lei!
-“Si,John è un bambino forte e sano. Sono riuscita a proteggerlo.”- Così dicendo era uscita dalla capanna. Vi era tornata poco dopo con il piccolo John.
-“ Lui è un guerriero,John. Un guerriero forte e valoroso. Lui è tuo padre”- Il viso di John fu illuminato da un bellissimo sorriso. Il bambino si avvicinò al padre. Guardò Kai. Si avvicinò ancora di più al giaciglio. Si abbracciarono tutti e tre. Finalmente felici. Finalmente insieme.

Questa è la bozza che ho scritto sul rincontro dei 2. Ora scappo a lavoro. Mancherò la diretta delle 18 purtroppo,ma in serata mi guarerò la registrazione. Ciao a tutti :)

Va bene. Solo aggiungerei un po' di patos quando lei lo guarda e si accorge che è lui, il suo grande amore!

Allora c’è un problema iniziale: secondo i testi che ho letto non è la moglie che viene rapita, ma la figlia. Viene rapita dai bianchi e venduta come schiava. Questo accade nella prima guerra seminole (o giù di lì, non è esposto chiaramente) Nella prima guerra osceola non è capo tribu ne leader di guerra, nella prima si fa le ossa.
Quindi ho pensato che potremo già aver incontrato osceola nel capitolo 7 (quello della prima guerra seminole) e li raccontare anche del rapimento della figlia e utilizzare il capitolo 9 per narrare la seconda guerra seminole, quella in cui osceola è “leader della resistenza”.
Ho preparato questa timeline presa direttamente dalle ricerche che ho ricevuto per capire un po’ cosa succede mentre Osceola è giovane e cosa succede quando è lui uno dei leader dei Seminole. Ne vien fuori che ad esempio la presa di fort black è uno dei motivi per cui scoppia la prima guerra seminole, mentre nel bozzaccio capitolo per capitolo viene inserito molto dopo non so se ho capito male io o se è una cosa da rivedere.
Dateci un’occhiata, dovrebbe essere giusta.
Per il resto sto buttando giù la storia do osceola, dovrei finire questa notte di creare una bozza. Fatemi sapere cosa decidete ringuardo l’eventuale cambiamento dei capitoli. Non so se riuscirò ad esserci per la riunione delle 18, devo portare il mio amore a prendere il treno 
Besitos.

1804 nasce in Alabama, in un villaggio indiano del nord, billy Powell (che poi prenderà il nome di osceola) da madre creek del nord e padre scozzese.

1812 gli inglesi finita la guerra (quale?) abbandonano un forte che diventa il quartier generale dei neri in fuga dalla schiavitù (si chiamava prospect bluff e poi cambia nome in fort black o fort negro) Gli inglesi in realtà appoggiano i neri ribelli e gli indiani donando loro armi ed equipaggiamento per aiutarli contro gli usa.

1813-14 guerra creek (guerra dei bastoni rossi) Gli americani aiutati dai cerokee e dai creek del sud muovono guerra e massacrano (non senza difficoltà) i creek del nord. Questi al termine della guerra vengono scacciati dai loro territori in Alabama e fuggono in florida. Fra questi c’è anche Osceola (9 anni)

1816 gli americani attaccano fort negro dal mare e lo prendono. (una palla di cannone centra la polveriera del forte e l’esplosione si sente a 160 km di distanza!! Fonte wikipedia)

1816 scoppio prima guerra seminole (i seminole corrono in aiuto dei neri e vogliono contrastare l’egemonia statunitense che sta rubando loro le terre, come era già successo in Alabama)

1817 21 marzo il generale Jackson attacca di Folwton (importante villaggio seminole) muoiono 4 uomini e due donne, i seminole si rifugiano nelle foreste e comincia la strategia della guerriglia.

1818 Jackson compie razzie in tutto il nord della florida attaccando numerosi dei vollaggi seminole più grandi.

1818 6 aprile il comandante Jackson entra a S. Marks (posseidimento spagnolo)

1818 fine prima guerra seminole (gli indiani perdono la guerra, molti villaggi, molte scorte alimentari e capi di bestiame e si rifugiano nella boscaglia e nella paludi)

1826-28 (data non precisa) Osceola sposa Che co la (rugiada del mattino). Interessante notare il nome rugiada che in creek si dice “che cola”….. rugiada che cola… ahahah

1832-1833 alcune tribù seminole accettano il trasferimento in “riserve” (fra Texsas e Kansas)

1834 Osceola sposa la sua seconda moglie

1835 28 dicembre scoppio seconda guerra seminole (alcuni gruppi seminole non accettano la deportazione e riprendono le armi. La causa scatenante è l’assassinio da parte di osceola e di un gruppetto di guerrieri del generale Tompson (che era responsabile di aver rapito e venduta come schiava la figlia di osceola))

1837 Il generale Jesup prende d’assalto il quartiere generale di osceola e fa prigionieri 55 uomini fra neri e seminoles ma osceola si salva.

1837 6 marzo firma trattato che garantisce ai seminole il “possesso” degli schiavi neri

1837 Jesup prende in ostaggio il padre e il fratello di gatto selvaggio (capo guerra seminole con osceola) e fa promettere a Gattoselvaggio di convincere i seminole recarsi a un incontro diplomatico

1837 21 ottobre Osceola si reca all’incontro diplomatico e viene fatto prigioniero.

1838 30 gennaio osceola muore

1839 Billy gambe storte diventa leader capo per diritto di nascita

1842 fine seconda guerra seminole

Ora vado a fare la pappa.... ciauuuuuuuuuuuu


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