Carissimi lettori,
nel 2000, tra le mille cose pubblicate nei nostri siti, abbiamo anche inserito un articolo che parlava delle aziende boicottate a livello internazionale a causa di cattivi comportamenti sia in campo ambientale che sociale (http://www.cacaonline.it/primapagina/multinazionaliboicott.htm).
Tra queste figura la Chiquita Brands International Inc: la compagnia statunitense con sede a Cincinnati, nell'Ohio, specializzata nella produzione e nella distribuzione di banane e altri prodotti di marchi diversi riuniti sotto il brand di Chiquita.
L'azienda e' leader nella distribuzione delle banane negli Stati Uniti d'America dove e' anche tra i maggiori finanziatori dei partiti statunitensi (nel 2002 ha speso 25mila dollari interamente versati al partito Repubblicano).
Con 2,3 miliardi di dollari di fatturato e circa 30.000 dipendenti tra permanenti e stagionali (anno 2002, fonte: Guida al Consumo critico) controlla il 25% del mercato mondiale della banana (provenienza Centro America e Ecuador).
Questo articolo e' stato ripreso, come si usa in rete, anche da altri siti e in questi giorni abbiamo ricevuto da Chiquita Spa Italia una gentile lettera che replica al nostro articolo, ripubblicato da mediterre.net.
Chiquita Italia inizia cosi' la sua email:
La presente e' in riferimento all'elenco delle multinazionali boicottate pubblicato dal sito http://www.mediterre.net (Fonte http://www.cacaonline.it), nel quale di Chiquita si dice testualmente:
"E' coinvolta in tutto. Intrighi internazionali, scioperi repressi nel sangue, corruzione, scandali e colpi di stato. Utilizza massicce quantita' di pesticidi, erbicidi e insetticidi. Approfitta della sua posizione di potere per imporre prezzi molto bassi alle aziende agricole da cui si rifornisce. Nel 1994 il sindacato SITRAP ha denunciato l'esistenza di squadre armate all'interno delle piantagioni in Centro America e in Ecuador.
I lavoratori sono sottopagati, senza alcuna assistenza medica. Le attivita' sindacali sono represse talvolta con la forza".
Notiamo che oltre a queste, molte delle informazioni diffuse in questi ultimi tempi sul nostro conto sono imprecise e pur nella consapevolezza che i fatti nei quali siamo coinvolti possano suscitare forti reazioni, riteniamo opportuno aggiornarvi su alcuni dei passaggi del processo di trasformazione intrapreso dall'azienda a partire dal 1992. I risultati di questa attivita', verificati internamente sulla base dei principi ai quali si ispira il proprio Codice di Condotta ed, esternamente, da osservatori indipendenti; vengono pubblicati periodicamente e resi disponibili anche in Internet nella sezione Corporate Responsibility del sito: http://www.chiquita.com ."
E la mail continua (leggi qui tutto il testo http://www.jacopofo.com/node/3745) con una difesa dell'azienda sia per quanto riguarda le accuse in materia di lavoro, di salvaguardia ambientale e, circostanza piu' che spinosa, in merito alla situazione in Colombia e soprattutto in relazione ai pagamenti di Chiquita ai Gruppi Paramilitari e sul traffico di armi nel paese sudamericano.
Come e' noto, la multinazionale americana e' stata condannata a meta' settembre di quest'anno a pagare una multa di 25 milioni di dollari perche' riconosciuta colpevole di aver pagato, tra il 1997 e il 2004, almeno 1,7 milioni di dollari agli squadroni della morte delle Autodefensas Unidas de Colombia (AUC), il principale gruppo paramilitare del paese, considerato un "terrorist group" dal Dipartimento di Stato statunitense e guidato dall'oriundo Salvatore Mancuso.
Nella mail arrivata in Redazione, Chiquita spiega che: "I pagamenti avevano un unico scopo: proteggere le vite dei nostri lavoratori, in una fase in cui rapine e omicidi erano frequenti e in un contesto in cui le autorita' governative non erano in grado di garantire sicurezza e protezione".
Insomma, la multinazionale sarebbe stata sotto ricatto e avrebbe pagato un pizzo.
Ma se cosi' fosse stato non si capirebbe il motivo della richiesta di indennizzo dei familiari delle 144 persone assassinate dai paramilitari di estrema destra facenti capo alle AUC, Autodefensas Unidas de Colombia. Il risarcimento che viene richiesto alla Chiquita ammonta a circa un miliardo di dollari, in questo caso ritenuta colpevole di aver utilizzato le stesse AUC per assassinare uomini, donne e bambine che interferivano con gli interessi economici e finanziari della multinazionale
La condanna
E' anche vero che e' la stessa Chiquita ad ammettere il finanziamento di un gruppo terroristico nell'aprile 2003, ammissione che permette l'inizio delle indagini da parte della giustizia USA.
L'ammissione e la collaborazione di Chiquita e' sicuramente ammirevole ma non troverebbero pero' giustificazione alcuni successivi comportamenti della multinazionale.
Nella sentenza si legge chiaramente che "i finanziamenti di organizzazioni terroristiche non possono mai considerarsi costi per business", come Chiquita invece aveva cercato di fare, registrando i pagamenti periodici come spese per la sicurezza della multinazionale. Chiquita in cambio di questi finanziamenti non ha infatti mai ricevuto nessun servizio legato alla sicurezza.
Da approfondire c'e' poi un ulteriore aspetto: Chiquita comincia a finanziare le AUC nel 1997, dopo un incontro tra un senior executive di Banadex, azienda controllata dalla multinazionale, e Carlos Castaño, leader delle AUC. Gia' nel 2000 pero' gli executives di Chiquita erano pienamente a conoscenza dei pagamenti e soprattutto erano a conoscenza del fatto che le AUC fossero una violenta organizzazione paramilitare. Nonostante questo, i pagamenti furono comunque approvati da un senior executive e l'alto direttivo ne era perfettamente consapevole.
Ulteriori dubbi sulla condotta "poco limpida" di Chiquita emergono anche successivamente: sempre dalla sentenza di condanna si evince infatti che gia' nel febbraio 2003 alcuni consulenti legali esterni intimavano alla multinazionale di fermare i finanziamenti alle AUC, visto che andavano completamente contro le leggi anti-terrorismo Usa. Gli avvisi dei legali che si possono leggere nella sentenza sono molto chiari: "Must stop payments", "Cannot make the payment", "the company should not make the payment", etc.
Malgrado tutto cio' Chiquita continua imperterrita a finanziare le AUC, fino all'aprile 2003, quando decide di autodenunciarsi.
Chiaramente anche il dipartimento di giustizia intima di fermare i pagamenti che, nonostante l'autodenuncia invece Chiquita continua ad effettuare sino al febbraio 2004 (ossia per quasi un anno), data in cui Chiquita vende Banadex ad un compratore colombiano e arriva dunque a lasciare il paese. I pagamenti effettuati dopo l'autodenuncia sono 20 per un totale di 300.000 dollari.
Nella mail inviataci la multinazionale sottolinea poi i propri standard etici e di responsabilita' sociale.
Ma anche in questo caso ci sorge qualche dubbio.
Infatti le promesse di eticita' fatte da Chiquita non sembrano trovare effettivo riscontro. Una notizia datata 5 giugno 2007, fonte Adital, parla ad esempio di un ulteriore accusa ai danni della multinazionale. I sindacati bananieri (Colsiba) hanno infatti denunciato l'impresa per violazioni dei diritti dei lavoratori che si sarebbero avute anche in questi ultimi mesi: Colsiba accusa la violazione delle norme fondamentali dei sindacati, mancati adempimenti di impegni sottoscritti e soprattutto violazioni fisiche dell'integrita' di lavoratori affiliati a sindacati. In particolare si denuncia la situazione nelle piantagioni dei lavoratori in Nicaragua, dove la concentrazione di persone puo' "essere paragonata a quella di campi di concentramento", ed in Guatemala e Honduras, dove Chiquita nega rispettivamente da nove e dieci mesi la negoziazione collettiva dei contratti con i sindacati (in Nicaragua sono gia' passati 10 anni, fonte Pulsar/Adital).
Le relazioni tra sindacati dei lavoratori bananieri, Colsiba, e Chiquita, pertanto, non sembrano affatto cosi' idilliache come invece la multinazionale descrive.
Un altro tema delicatissimo di cui la multinazionale dovrebbe rispondere e chiarire la sua posizione e' quello dell'utilizzo del Nemagon, pesticida micidiale gia' proibito a livello internazionale dal 1977 (anno in cui gli "US Environmental Protection Agency" ne vietarono l'uso).
Malgrado il divieto, questo potentissimo pesticida veniva abitualmente utilizzato da Chiquita (ma anche da altre imprese bananiere) nelle piantagioni, in particolare in Nicaragua e Centro America, contribuendo in questo modo non solo all'inquinamento ambientale, ma soprattutto violando i diritti umani e la salute dei lavoratori delle piantagioni. Basti dire che per il solo Nicaragua si parla di piu' di centomila persone la cui salute sarebbe stata compromessa dall'uso del Nemagon e addirittura di migliaia di morti in conseguenza al suo utilizzo.
Che il problema sia ancora attuale lo dimostra una notizia di qualche mese fa: proprio in Nicaragua si e' tenuta una marcia di "bananeros" ed ex-lavoratori del settore per richiamare l'attenzione sulle richieste di indennizzo per i danni alla salute sia nei confronti di Chiquita che di altre multinazionali, le quali, ad oggi, invece di riconoscere i reati perpetrati sollevano di continuo nuove eccezioni per ritardare i tempi.
L'utilizzo dei pesticidi, purtroppo, non si limita solo al Nemagon: nel 2002, infatti, Human Rights Watch, in tema di abuso dei diritti umani dei lavoratori da parte delle multinazionali bananiere (tra cui e' citata anche Chiquita), oltre al Nemagon nominava anche un altro pesticida, il Fumazone. Come si diceva, l'uso di questi due pesticidi continuo' nel tempo anche dopo il divieto a livello internazionale del 1977, come e' dimostrato dalle cause intraprese nel 2004 contro le multinazionali bananiere per il reiterato utilizzo e l'esposizione dei lavoratori nicaraguegni e costaricani sia al Nemagon che al Fumazone .
A conclusione, c'e' da dire che Chiquita, ahinoi, e' in buona compagnia: quanto detto sin qui puo' essere esteso a numerose altre multinazionali del settore bananiero, come ha dichiarato di recente anche Salvatore Mancuso, uno dei leader della AUC: "Ci pagavano tutti i produttori di banane. Tutti. Facemmo quest'accordo con Chiquita, Dole, Banacol, Uniban, Proban e Del Monte. Ci pagavano un centesimo di dollaro per ogni cassetta esportata. [...] Dole s'incaricava di raccogliere il denaro [...] che si distribuiva proporzionalmente tra la Casa Castaño, il Bloque Bananero, una parte in opere pubbliche e l'altra per corrompere istituzioni dello Stato".
Crediamo comunque che sia importante cercare di fare chiarezza su queste realta' sicuramente "poco limpide", anche approfittando dell'eccellente prova di maturita' che Chiquita ha dato cercando il dialogo con mezzi di comunicazione, anche se piccoli come il nostro sito.
Ed e' comunque fondamentale cercare di rendere giustizia a tutte le vittime, ai familiari, alle organizzazioni sociali e alla popolazione civile che hanno subito ingiuste atrocita': l'implicazione di multinazionali come Chiquita non puo' e non deve passare inosservata.
Fonti: per scrivere questo numero di Cacao abbiamo utilizzato, tra l'altro, notizie riportate da Antonio Pagliula su http://www.verosudamerica.com/2007/06/il-caso-chiquita-banane-sangue-e.html e quanto indicato su "Guida al Consumo critico" del Centro nuovo modello si sviluppo - ed EMI (disponibile su http://www.commercioetico.it/libri/altri-autori/consumo-critico.htm .