Dopo le ricerche per il libro “Non e' vero che tutto va peggio” e la redazione, insieme a Marco Boschini, de “L'anticasta”, da alcuni mesi Michele Dotti sta lavorando a una nuova avventura: “Sambiiga, l'altro fratello”: un video-documentario sul Burkina Faso per raccontare la realta' di questo povero e intenso paese africano.
Un viaggio responsabile, svoltosi tra dicembre e gennaio scorsi, in cui i 15 partecipanti hanno girato il paese in lungo e in largo, per conoscere la realta' locale, i progetti in atto, la gente del posto e soprattutto per mettere a nudo le proprie abitudini, le proprie priorita' e i propri pregiudizi.
Per raccontare l'esperienza di Sambiiga e' stato creato un blog (http://www.altrofratello.it) e un trailer video che anticipa il documentario integrale vero e proprio, ancora in fase di montaggio.
E il montaggio e' un lavoro crudele che impone di scegliere tra centinaia di ore di pellicola: sono tantissimi gli spunti su cui bisognerebbe discutere, tantissimi gli attimi che varrebbe la pena far vedere.
Io lo so.
Ci sono stato, abbiamo provato anche noi a girare un video, risultato poi pessimo, abbiamo provato ad andare li' dove non era mai stato nessuno, abbiamo provato a far partire orti, pozzi e stalle la' dove c'erano solo campi coltivati a sorgo e miglio.
Abbiamo mandato un centinaio di bambini a scuola, abbiamo rifornito quelle stesse strutture della cancelleria necessaria e delle baguette di pane per la merenda cucinate nel forno del nostro Centro.
Qualcosa abbiamo fatto ma in 4-5 anni di “progetto” non siamo riusciti a spogliarci di quei pregiudizi di cui parlavo sopra.
Abbiamo tentato di imporre le nostre priorita' e i nostri maledetti schemi e alla fine ci hanno rispedito a casa.
Considero la mia esperienza africana alla stregua di uno dei demoni contro cui combatte Dylan Dog, l'indagatore dell'incubo.
Tempo fa dividevo le colpe del nostro insuccesso circa a meta', tra noi e loro, oggi, quando ci penso, mi sento solo uno stupido.
Il progetto e le immagini di Sambiiga, che in lingua locale moore' significa letteralmente “il figlio di mio padre” (fratello, ma inteso all'africana, nel senso piu' ampio del termine), servono proprio a questo.
Conoscere, parlare, guardare, sono le basi dell'integrazione, sia quando loro vengono da noi, sia quando noi andiamo da loro.
In bocca al lupo, Michele!
Commenti
fratelli
Sono d'accordo! Condividere imparare l'uno dall'altro, ridere, soffrire insieme producono integrazione reciproca, accettazione reciproca. Il mondo che vorrei!