Care amiche e cari amici,
oggi Vi presentiamo un libro un po' particolare, scritto da Renato Palma. Chi e' Renato? Un medico, uno psicoterapeuta, il cui principio e' "Governare con affetto il proprio presente per creare il proprio futuro". Basta come presentazione, no?
Ho avuto la fortuna di conoscere Renato Palma qualche anno fa. Il primo incontro, benche' nato grazie al contatto di un caro amico comune, fu "professionale".
Ricordo bene la poco velata ansia e miei occhi lucidi mentre, seduta su un comodo divano nella serenita' del suo studio, gli raccontavo di difficolta' insormontabili e di ostacoli invalicabili che ai miei occhi segnavano il rapporto educativo con i miei figli. E con quanta dolcezza mi ridiede le giuste coordinate: il rapporto con un figlio e' anzitutto un dialogo tra persone che si amano. Senza ruoli ed etichette, senza fardelli sociali e sovrastrutture educative ... Ne uscii rinata: non aveva dato "ricette" di alcun tipo, semplicemente mi aveva ricordato in quale direzione guardare. Cosi' riproposto nella giusta luce, il "problema" si era dissolto e tutto appariva molto piu' sereno e lineare...
Ed ecco che, anni dopo, esce il suo saggio: "I si' che aiutano a crescere" (ed. ETS). Il titolo, in aperta contrapposizione con il noto libro "I no che aiutano a crescere", e' quantomeno intrigante: "Maccome? - viene subito da chiedersi - torniamo alle teorie del permissivismo sfrenato? Non siamo gia' abbastanza schiavi di questi piccoli dittatori egoisti ed egocentrici, ingombranti soli intorno ai quali deve girare il mondo?!?"
Domanda del tutto fuorviante! Basterebbe gia' la lettura delle prime pagine a far capire che non siamo di fronte all'ennesimo saggio dispensatore di consigli pedagogici.
“(...) per una parte lunghissima della nostra esistenza noi abbiamo potuto essere solo cio' che ci veniva consentito di essere. Questo ci ha fatto perdere l’amore per la ricerca di alternative, la fiducia nel nostro senso della possibilita', che ci permette di adattare e modificare il contesto alle nostre necessita'. (...) Quando un individuo e' libero e riconosce di essere l’unico responsabile della costruzione della sua vita, puo' rifiutare le abitudini, i modi di pensare e di fare che generano sofferenza. Puo' disperdere le consuetudini che lo soffocano. Puo' ridiscutere, invece che subirle, regole e istituzioni che non gli garantiscono un’esistenza senza conflitti. Puo' cambiare. (...) Questo uomo, che non e' piu' ne' figlio ne' padre, ma compagno di viaggio, conserva la possibilita' di fidarsi di cio' che pensa e sente.”
E' dunque la relazione di potere, quella che viene messa in discussione, e non le "regole" in quanto tali.
Schiacciati dal potere della regola imposta, fin da piccoli ci viene negata la liberta' di chiedere a noi stessi "Posso essere?" E anche quando, ormai adulti, avessimo il coraggio di farlo, diventiamo "padri" di noi stessi: la risposta che ci diamo, nella maggior parte dei casi, suona: "No".
Un "no" che pesa come un macigno, perenne origine di conflitti e conseguentemente di dolore.
E il rapporto padre/figlio non si esaurisce nella famiglia. Nel rapporto medico-paziente, per esempio, ci si puo' rendere conto dell'angustia in cui il nostro equilibrio interiore e' costretto: li' dove la malattia, potenziale occasione per affermare "io sono", viene ancora una volta trattata come elemento di disturbo dell'ordine imposto.
“Sara' di nuovo 'il padre' a portare se stesso come 'figlio' in terapia. E anche questa volta il 'figlio' si trovera' la strada sbarrata dai farmaci, dalla psicologia, dall'ottusita' di un altro adulto. (...) La malattia offre invece l'occasione di ridiscutere il potere che fa soffrire. Ripropone al paziente la possibilita' di chiedersi: 'Almeno questa volta, posso provare ad essere?'
E questa domanda non e' piu' la richiesta di un giovane a suo padre. E' la domanda di un uomo che ha bisogno di cambiare, ma non sa trovare sostegno e aiuto in se stesso. Il compito del medico e' dare questo aiuto.
Non esiste un padre, non esiste un figlio. Esiste solo l'uomo e il suo bisogno di relazioni affettive.
Non sostengo - conclude Renato - che un padre buono, tollerante, ben disposto, amante della propria liberta', innamorato della propria vita, sempre dalla parte dei propri figli, pronto a sostenerli, ad amarli, capace di operare scelte semplici, comprensibili, disponibile a mostrarsi sempre per quello che e', sia la soluzione di tutti i problemi che ci travagliano.
Si tratta solo di un vantaggio, di un buon inizio.
Se riusciamo a non interrompere il tentativo che i nostri figli fanno per aver cura di se', loro riusciranno a non essere ostili con se stessi. (...) La domanda 'Posso essere?' non ha piu' ragione di essere posta.
Ma se per caso, in un momento di dubbio, di sfiducia o di panico, dovesse ancora succedere, la risposta che ognuno ha l'impegno di dare e' 'Si''”
Tocca dirlo... novita' e bellezza di quanto si racconta in questo libro non vanno certo a braccetto con una scrittura banale: ma abbiamo davvero sempre bisogno di banalizzazioni? La lettura del saggio di Renato e' in realta' un affascinante viaggio, denso di suggestioni colte e stimolanti, che vale la pena di intraprendere con curiosita' ed emozione.
Maria Cristina
Chi fosse interessato alla lettura del libro puo' ordinarlo sul sito della casa editrice: http://www.edizioniets.com/Scheda.asp?N=9788846723925