MADRE CORAGGIO di Dario Fo (versione integrale, riveduta e corretta)

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Ecco la stesura finale del testo Madre Coraggio, scritto da Dario Fo con l'aiuto di Franca Rame (che ha curato questa versione): di questo pezzo vi abbiamo proposto in due puntate una versione iniziale incompleta. Molti ci hanno scritto chiedendo di poter leggere il testo per intero. Ecco qui la versione integrale sviluppata e corretta in alcuni punti. Crediamo che oltre al valore di questo scritto di per se', possa essere molto utile, per chi voglia sviluppare le proprie capacità di scrivere, confrontare la differenza tra le due stesure. Colgo l'occasione per ricordare che su http://www.alcatraznews.com è disponibile il testo tradotto in inglese. Lanciamo a tutti un appello affinché questo testo possa viaggiare nei paesi anglofoni e arrivi al maggior numero possibile di statunitensi e inglesi. Hai amici all'estero? Faglielo avere! Te ne saremo eternamente grati.
(E speriamo rimbalzi.)

MADRE CORAGGIO
di Dario Fo

3 dicembre 2005 - IV stesura

DIARIO AUTENTICO E IMMAGINARIO DI CINDY SHEEHAN

Su uno schermo posto come fondale compare l'immagine di un marine in primo piano, che via via si allontana prospetticamente. Alle sue spalle sale una colonna di fumo: è il classico pozzo di petrolio che va in fiamme. Un taglio di luce illumina in scena una donna che prende forma spuntando dal buio. Vicino a lei c'è una poltroncina da giardino in vimini, sulla quale ad un certo punto si andrà a sedere.

FRANCA: Una frase che mi sono sentita risuonare più volte nel cervello aveva la voce di mio figlio: "Mi voglio iscrivere all'università - diceva - l'unica opportunità che ho è quella di arruolarmi nell'esercito degli Stati Uniti. Sarà l'esercito a pagarmi le tasse per frequentare i corsi, non ho altra soluzione."
Un mese dopo la sua partenza per la zona d'operazione è arrivato un accredito da parte dell'Esercito a nome di Casey Sheehan: erano i denari per pagare la prima rata d'anticipo all'iscrizione. Il 4 aprile 2004, tre ufficiali dell'esercito sono venuti a casa mia a dirmi che Casey era stato ucciso in Iraq. Sono svenuta.
Era come se tutto fosse volato via: la casa, la sua stanza, i suoi abiti civili, i suoi giochi, la bicicletta...
Tutto morto.
L'accredito non serve più.
I suoi amici arrivavano balbettando a chiedere notizie e biascicare cordoglio, la sua ragazza non riusciva a piangere, era bianca come uno straccio. Ogni tanto le usciva come un singhiozzo... ma niente lacrime. Poco più di un mese dopo la sua morte, mi son detta: "Ho finito di piangere per mio figlio. Ora piango per tutte le altre madri."
Su un giornale locale ho trovato un articolo che elencava i caduti della regione. Ho rintracciato qualche famiglia. Ho parlato con le altre madri. Due di loro continuavano a ripetere la stessa mia domanda: "Perché l'hanno mandato laggiù, mio figlio? Perché è morto in un Paese che io fino l'altro ieri non sapevo nemmeno che esistesse?"
Partecipo a manifestazioni... marce contro la guerra in Iraq ma mi rendo conto che non determinano niente.
Il 4 agosto sono partita da casa, portando con me tutto il necessario per dormire all'addiaccio, come andassi ad un campeggio. Due giorni dopo ero nel Texas e scendevo da un pullman proprio davanti all'ingresso del ranch di George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti.
Ho aperto la sedia da giardino che avevo portato da casa e mi ci sono seduta, esattamente di fronte alle due grosse corna sorrette da altrettante travi di legno massiccio, che delimitavano l'entrata alla tenuta.

Sullo schermo viene proiettata un'immagine che riproduce l'ingresso del ranch di Bush.

Sopraggiunge di lì a poco una macchina degna davvero di un Presidente, si ferma davanti a me e l'autista mi chiede se ho bisogno di qualcosa.
"Vorrei parlare con il signor Presidente, sono la madre di Casey Sheehan, un caduto in Iraq."
L'autista non risponde, schiaccia l'acceleratore e se ne va.
Mi sposto un attimo per evitare la sbroffata di polvere che mi sta arrivando addosso.
Arriva alla mia tenda il consigliere della sicurezza nazionale Stephen Hadley accompagnato da un deputato. Vuole parlare con me, mi dice... mi chiedono... rispondo... se ne vanno. "Incontro superfluo" penso.
Estraggo un album dalla sacca, mi risiedo al mio posto e comincio a scrivere.
Trascorrono un paio d'ore, il sole al tramonto proietta sul terreno due enormi corna d'ombra.
Arriva un poliziotto in moto, gli faccio cenno di fermarsi. Si arresta proprio tra le due corna: "Agente, le dispiace consegnare questa lettera al Presidente?".
"Vedrò se mi riesce! - mi dice afferrando la busta. - Ma lei, signora, pensa di rimanere qui per molto tempo?"
"No! Solo fino a quando riceverò risposta. Non è proibito vero?".
"No, non credo. Fin quando rimane fuori dal ranch, nessuno la dovrebbe importunare: è territorio pubblico. Arrivederci e buona fortuna."
Solita sgommata e via.
Mi sistemo per la notte. Pianto i paletti per la tenda e la isso.
Arrivano due altri poliziotti in macchina con tanto di lampeggiante. Mi chiedono i documenti: "Cosa fa qui signora?".
"Aspetto dal Presidente una risposta alla lettera che gli ho fatto avere."
"Non sarebbe più comoda se l'attendesse a casa sua? Ci avrà messo l'indirizzo, no?"
"No. Dietro la busta ho scritto solo: sto qui fuori sotto l'arcone d'ingresso del suo ranch. Attendo risposta."
Viene buio. Fra le due corna del portale si accende un gran faro che proietta potenti fasci di luce gialla. Per proteggere gli occhi mi avvolgo una sciarpa intorno al capo.
(7 AGOSTO) Il mattino mi sveglia un canto di bambini, sollevo la sciarpa dagli occhi e faccio capolino fuori dalla tenda.
Sta transitando uno stuolo di ragazzini: scout, maschi e femmine. Vanno a far visita al Presidente. Un giornalista, che li segue, si ferma a chiedere con molto garbo che facessi lì. Gli racconto della lettera.
"Scusi se sono sincero" - commenta - ma penso che questa sua provocazione non avrà molto successo."
"Non è una provocazione... - ribatto io - George Bush è il nostro Presidente. E credo di avere il diritto di porgli una domanda su mio figlio Casey. E' lui che lo ha spedito laggiù nell'Iraq a far la guerra. Voglio soltanto sapere perché."
Il giornalista mi guarda con un'espressione quasi commossa, e commenta: "Lei mi ricorda un antico santone tibetano che diceva: Il candore unito alla fede sposta le montagne. Ma spostare gli uomini sommersi nell'ignavia anche di un solo passo, è molto più difficile."
Sopraggiungono due ragazzine, che lo afferrano per la giacca per tirarlo via di lì. Il giornalista raccoglie un mazzolino di fiori caduti a terra e me lo posa sulla coperta.
"Fra poco incontreremo il Presidente - dice - tenterò di accennargli del suo caso", e mi lascia.
Nella giornata continuano ad entrare ed uscire dal ranch macchine, moto e gruppi di gente a piedi, quasi tutti visitatori, che raggiungono gli autobus fermi ad attenderli lungo la strada principale.
Pochi fanno attenzione a me. Quasi nessuno si ferma a pormi domande.
Avevo estratto il computer portatile, me lo ero posto sulle ginocchia per comunicare a tutti i siti che conoscevo, quello che stavo combinando.
Il mio appello stava rimbalzando in modo inimmaginabile, grazie ai blogger, fino a raggiungere un'enorme quantità di siti.
Il giorno appresso, l'8 agosto, ricevo la visita di alcuni ragazzi che venivano da Huston. Mi hanno portato anche da bere ed altre provviste. Mi fanno leggere i giornali che, seppure in tono sciatto e distratto, danno notizie del mio sit-in chiamandolo Camp Casey.
Ad un certo punto arriva un funzionario dello stato, mi informa che se non ce ne andremo entro il 10 agosto, sia io che i miei compagni saremo considerati una minaccia per la sicurezza nazionale e che saremo arrestati. Ragioniamo tra di noi, poi decidiamo di non muoverci.
9 agosto - I deputati democratici al Congresso chiedono che Bush mi riceva con gli altri parenti dei soldati caduti. Chiedono anche che sia lui a garantire che nessuno sarà arrestato per una manifestazione pacifica.

11 agosto 
Bush si sta innervosendo, la stampa preme...
Organizza una conferenza stampa nel suo ranch, durante la quale dichiara che Cindy Sheehan ha tutti i diritti di manifestare il suo punto di vista ma che non ritirerà le truppe dall'Iraq.

12 agosto
La protesta aumenta. Tutti i giorni ci sono centinaia di persone, anche personaggi famosi, compreso l'attore Viggo Mortensen che vengono a trovarmi.
Lungo la strada per Camp Casey, i membri della California del Sud dei Veterani per la Pace installano più di mille croci bianche, come stelle o mezzelune, ognuna con il nome di un soldato morto in Iraq.
In un ranch vicino al nostro accampamento, Bush prepara un barbecue per la raccolta fondi che ci si aspetta procuri 2 milioni di dollari per i Repubblicani. Ho issato un cartello: "Perché hai tempo per i donatori e non per me?"
Poi Patrick Sheehan presenta al tribunale della California richiesta di divorzio, per "inconciliabili differenze". Patrick Sheehan è MIO MARITO, il padre di nostro figlio Casey.
Giorno dopo giorno le visite continuano a crescere, arrivavano perfino vere e proprie delegazioni di cittadini, anche politici democratici, che vengono a darmi tutta la loro solidarietà. Tra di loro, numerose le donne, molte sono madri di soldati al fronte, qualcuna come me, ha perso il figlio.
Una donna, emigrata dal Messico ancora ragazzina si accovaccia accanto a me: "Anch'io sono una madre disperata come te - dice - mio figlio si è arruolato nell'esercito americano pur non essendo cittadino degli Stati Uniti... era solo un emigrato ispanico. Al momento dell'ingaggio gli è stato assicurato che se avesse trascorso tutto il periodo dell'azione militare comportandosi degnamente sarebbe stato riconosciuto cittadino degli Usa a tutti gli effetti. Ma non ha potuto godere di questo privilegio: è stato ucciso in combattimento. L'elicottero, sul quale era mitragliere, è stato abbattuto dopo un solo mese di guerra, sopra Baghdad. In compenso, giacché il mio ragazzo con il suo sacrificio, seppur da morto, ha acquisito il diritto di cittadinanza di questo Paese, anch'io come madre ho potuto godere della stessa opportunità. Oggi sono riconosciuta cittadina americana e perfino gli altri miei due figli godono di tutti i diritti di chi nasce in questa terra da padre e madre yankee. Hanno diritto alla scuola, a un sussidio minimo. E' davvero una fortuna che l'abbiano ammazzato, questo mio primo figlio..." ha aggiunto con evidente ironia. Poi è scoppiata a piangere.
Trascorre una settimana. (E siamo al 13 agosto)
Anche giornali importanti, come il New York Times... Washington Post m'ha dedicato  addirittura una pagina intera... si accorgono della mia presenza sotto le due enormi corna dell'ingresso del ranch. Arrivano inviati per le interviste e quasi a ruota anche troupe televisive come la CNN e la CBS. Mi sento molto imbarazzata. Bisogna che resti calma, staccata. Non devo farmi trascinare nella logica del personaggio che mi vorrebbero far recitare: una specie di Giovanna D'Arco incrociata con la madre di Batman. Sono una madre come tante, credo, una donna del tutto normale.
Qualche gruppo ha deciso di stabilirsi presso il mio spazio.
Sono venuta a sapere con grande commozione che in tutta l'America si sono tenute veglie di protesta contro la guerra e solidarietà con la nostra azione. La notte del 17 agosto migliaia e migliaia di candele vengono accese in tutti gli Usa contro la guerra. Hanno cantato per ore canti folk e perfino religiosi.
A proposito di religione... Ho notato che durante e la chiusura dei suoi discorsi Bush è solito introdurre espressioni tratte dal Vangelo e dalla Bibbia. Dal che si deduce che il nostro Presidente è cattolico, o perlomeno cristiano...
Anch'io sono cattolica e cristiana. Ma non mi riconosco nel tono e nella scelta di quelle espressioni. Bush divide le comunità degli uomini in popoli canaglie e popoli giusti. È ovvio che noi siamo i giusti e le canaglie quelli che noi ci apprestiamo ad attaccare. QUELLI CHE HANNO IL PETROLIO.
Ho sfogliato il Vangelo e non ho trovato nulla che assomigliasse a questa sentenza. Anzi, Cristo ci impone di amare i nostri nemici e non fa distinzione né di razza né di credo. Ancora, non ha mai parlato di guerre giuste e sante, anzi ha sempre ribadito che ogni guerra è criminale e ingiusta.
Inoltre Bush ha dichiarato a più riprese che spesso gli capita di parlare con Dio. Assicura che è lui, l'Eterno in persona che lo chiama e imposta il dialogo. Gli chiede: "Che cosa pensi di fare?"
Lo provoca. Gli pone quesiti. Gli dà ordini. Per questo Bush si permette di garantire di continuo, alla maniera dei fanatici delle crociate "Dio lo vuole". È un dio spietato e sanguinario quello che dialoga con il nostro Presidente. È un dio degli eserciti e della vendetta. Non ha niente a che vedere con il padre pietoso, tenero come una madre, che le Sacre Scritture ci hanno insegnato a conoscere...
Di certo in cielo c'è stato un golpe.
Il vecchio fabbricatore del creato e della vita è stato cacciato e seppellito nel fondo degli abissi, e Cristo l'hanno di nuovo inchiodato alla croce, perché non faccia danni con la sua mania del perdono e dell'amore.

Molti commentatori di giornali d'ogni livello vanno chiedendosi come può essere accaduto un fatto del genere: una semplice, insignificante donna senza particolare fascino o carisma che riesce a radunare intorno a sé un movimento così grande e soprattutto attivo, una partecipazione che non tradisce alcun segno di stanchezza o esaurimento.
A questo proposito mi ha colpito la risposta di un poeta del Nevada, di origine mohicana, Buskaar, che mi ha dedicato una ballata, davvero insolita. Il titolo è "Ascoltate le pietre tornicanti".
Le pietre tornicanti si trovano nel deserto del Nevada e ai confini delle grandi praterie. Sono pietre sferiche, al cui interno c'è un vuoto abitato da una più piccola pietra, anch'essa sferica, che funge da volano. Quando il vento investe la pietra tornicante, essa comincia a roteare, facilmente sollecitata dalla sfera interna che, avendo gioco, ruota più veloce e ne aumenta l'abbrivio.   
Se vi capita di scuotere all'altezza dell'orecchio una di queste pietre, ne sentirete uscire uno strano suono che assomiglia a uno sproloquio senza senso. Per questo, tali pietre vengono anche chiamate sassi parlanti o che cantano.

 "La storia di Cindy - dice il poeta mohicano - ricorda una favola indiana che racconta della pietra che canta, spinta dal vento e costretta a rotolare nella prateria. Il suo passaggio muove e trascina con sé altre piccole pietre che come lei vanno rotolando e si sfregano l'un l'altra, causando piccole scintille che vanno aumentando fino ad incendiare tutta la prateria.
Infatti nessuno avrebbe dato un soldo di credito a quella piccola donna seduta davanti all'ingresso della tenuta del Presidente. Nessuno immaginava che Cindy fosse una pietra parlante e che al suo richiamo giungessero tante persone commosse, anzi mosse, da quella sua semplice domanda: 'Perché mio figlio è morto?' - E il poeta conclude: - Forse non ci abbiamo fatto caso. Quella frase disperata, detta con parole così semplici, è la stessa che la madre di Cristo ha pronunciato sotto la croce: 'Perché ti uccidono, figlio mio?'".

25 agosto
Ho saputo che stanno organizzando con tre bus, acquistati grazie a donazioni, un tour che partendo da Crawford l'1 settembre arriverà a Washington.
Ogni giorno escono servizi televisivi a valanghe. Mi hanno già trovato un paio di nomi di contorno. C'è una specie di gara a presentarmi con termini epici e d'effetto, come "madre pace" (peace mome), madre coraggio, la grande, piccola donna della California ecc.
Il New York Times mi dedica una pagina intiera, che apre così: "Cindy Sheehan ha 48 anni, è californiana, bianca, cattolica. Suo figlio Casey, arruolatosi nell'esercito statunitense per pagarsi le tasse universitarie, è morto in Iraq nell'aprile del 2004. La signora Sheehan è una donna comune e la sua storia, semplice quanto tragica, non è molto diversa da quella di oltre 1.800 madri statunitensi che hanno perso i loro figli per una 'nobile causa', come si ostina a dire il nostro Presidente. Eppure, da quando il 6 agosto è arrivata a Crawford, in Texas, e si è piazzata davanti al ranch dove Bush passa le sue vacanze estive, Cindy è diventata uno dei personaggi più noti degli Stati Uniti. Quasi un terzo della popolazione americana, un centinaio di milioni, la conosce e parla di lei. Di certo la fama di cui improvvisamente gode questa donna dipende dall'apparire sola e indifesa. Non alza la voce, non issa bandiere, è sommessa e spaventata, intimidita essa per prima del clamore che va suscitando."

E' trascorso più di un mese... siamo in settembre; gli amici che mi vengono a far visita crescono ogni giorno di numero. Due sostenitori pacifisti, che hanno voluto restare anonimi, hanno acquistato a poche centinaia di metri dall'ingresso del ranch una modesta abitazione a una solo piano che hanno battezzato "La casa della Pace". Ora abito lì, ma continuo ad andare alla mia tenda ogni giorno.
Dal Presidente non arriva ancora nessuna notizia. Perciò mi decido ad inviargli un'altra lettera. Via e-mail mando lo scritto a tutti i siti con cui sono in rapporto, con la preghiera di divulgarlo il più possibile. Ecco la lettera:

Caro Presidente Bush,
ho atteso cinque settimane una Sua risposta. Forse la mia prima lettera è andata perduta nel bailamme di corrispondenza da cui si ritroverà sicuramente ogni giorno sommerso. Perciò mi decido a scriverle un'altra missiva, che verrà inviata via e-mail a molti cittadini compresi tutti i mezzi di informazione e sarà certamente pubblicata e letta da moltissimi americani, cosicché, stavolta, spero che non vada perduta.
Scrivo a Lei perché mi aiuti a sciogliere un doloroso vuoto di conoscenza, che mi assilla da quando ho ricevuto la terribile notizia che mio figlio è stato ucciso in Iraq.
La domanda è semplice: "Perché? A che scopo Lei, e con Lei il segretario di stato Condoleezza Rice, andate ripetendo, quasi ad ogni vostro intervento, che i giovani americani che hanno perso la vita in questo conflitto in Iraq si sono immolati per una nobile causa? Spiegatemi cosa significa, PER VOI, nobile causa? Dove sta la nobiltà di una simile morte?
Ci avete assicurato che questa guerra era un dovere sacrosanto per salvare il mondo. Voi e i vostri collaboratori politici e militari vi siete detti certi che l'Iraq possedesse armi di distruzione di massa. Avete dichiarato alla stampa e alla televisione di essere in possesso di foto satellitari e immagini scattate dagli aerei spia: fabbriche d'ordigni fotografate a più riprese. "Esistono le prove!"
Ci avete dato per certo che entro un anno Saddam Hussein avrebbe posseduto bombe atomiche con le quali sarebbe stato in grado di colpire e distruggere l'America e il mondo tutto.
Ma le Nazioni Unite avevano più di un dubbio sull'autenticità delle vostre accuse, perciò hanno inviato propri osservatori che non hanno rilevato, scoperto nulla.
Ma che risposta avete dato voi alla dichiarazione negativa dell'Onu?
Ci avete assicurato che le Nazioni Unite non sarebbero riuscite a rintracciare gli ordigni, per la semplice ragione che l'Intelligence di Saddam avrebbe anzitempo sistemato le micidiali armi segrete in sotterranei inaccessibili e ben nascosti.
E di nuovo avete rilanciato: "Possediamo foto degli avvenuti trasbordi."
Ma quando, dopo aver scagliato l'attacco e aver sgominato la resistenza nemica, siete giunti a occupare tutto il territorio iracheno, gettando superbombe e normali bombe intelligenti che hanno violentemente squassato ogni spazio abitato, provocando migliaia di vittime collaterali, e finalmente siete stati in grado di indagare in ogni direzione e luogo, non sono emerse né armi di distruzione di massa né frammenti di esse.
I nostri generali hanno dovuto ammettere che i terribili ordigni, che avevano dato per certi, non erano mai esistiti.
E allora domando: "Come si può distruggere qualcosa che non è mai esistito?". E ancora una volta ripeto: "Perché avete mandato mio figlio a morire laggiù?".
Dov'è la nobile causa per la quale mio figlio si sarebbe immolato e con lui 1.800 altri cittadini americani?
So dai giornali e dai servizi televisivi che la mia insistente presenza davanti al suo ranch Le ha causato qualche fastidio. Un corrispondente assicura che Lei, signor Presidente, e il Suo staff vi sareste mossi per contrastare questa mia presenza e cancellare le mie "petulanti" domande. A questo scopo avete cercato di procurarvi, fra le tanti madri alle quali è stato ucciso un figlio in Iraq, qualcuna disposta a contrastare la mia protesta.
Un quotidiano in particolare, forse maligno, ha scritto che l'operazione non è stata semplice. Delle 1.800 madri interpellate, pare che nessuna fosse disposta a darLe una mano. Poi finalmente se n'è trovata una che ha dichiarato: "Sono orgogliosa di aver dato mio figlio alla patria." Ho trovato quella frase molto infelice. Quella voce è spuntata all'improvviso stonata e falsa dentro una guerra illegittima, illegale e basata su un mucchio di menzogne su cui non si respira l'aria della verità, ma solo il fumo dei pozzi di petrolio che vanno a fuoco all'orizzonte.
Io sospetto sempre di più che quell'immagine ci proietti la vera ragione di questa guerra: le nostre riserve di carburante sono al minimo, quel petrolio ci serve... è nostro... fin dal giorno in cui abbiamo deciso di prendercelo.
Fine della lettera.
30 agosto: Il presidente Bush termina le sue vacanze.
Bush non è più qui. Si è trasferito alla Casa Bianca. Ma noi non possiamo lasciarlo solo... Progettiamo di raggiungerlo a Washington.
Il 31 agosto, dopo ventisei giorni, smontiamo le nostre tende davanti al ranch del Presidente,  lasciamo il Texas con i tre autobus acquistati grazie a donazioni, diretti verso Washington. (La carovana fa tappa a Austin (Texas), in Louisiana, in Minnesota e altri stati. In tutte queste tappe critico Bush e la sua politica militarista senza occuparsi dei problemi interni e sociali degli Usa - vedi uragano Katrina, il 29 agosto2005).

--- continua dalla newsletter ---

Il 24 settembre arriviamo alla Casa Bianca.
Facciamo un SIT-IN, siamo migliaia di  mila partecipanti. Molti sono i poliziotti che presidiano la zona... un esercito. Numerosa la presenza di stampa e televisioni.
Due giorni dopo i poliziotti ci caricano. Mi sento letteralmente sollevata da quattro braccia. Scattano centinaia di flash.
Una voce mi avverte che sono in arresto, per essermi rifiutata di muovermi. Lo stesso avviso viene ripetuto a 383 manifestanti. L'accusa è quella di aver dimostrato senza permesso. Ci spingono dentro ai pullman, già pronti dietro l'angolo e ci trasportano alla centrale di polizia.
E dopo altri due giorni veniamo rilasciati su cauzione di 75 dollari che mi rifiuto di pagare, e saremo chiamati in tribunale il 16 novembre per essere processati.
Scatta una tempesta di e-mail che raccontano e commentano l'avvenimento. Moltissimi chiedono che venga organizzata una manifestazione più importante, magari a New York.
Quasi immediatamente viene messa in campo da associazioni filo-governative una contromanifestazione nella quale, sempre a Washington, sfilano i reduci del Vietnam. Naturalmente nessun arresto...
Durante queste settimane ho scoperto che le mie conoscenze riguardo ai fatti della nostra vita di americani, la storia, la politica, la verità, sono a livello zero. In poche parole ho scoperto di essere una ignorante.
Mi sono sempre dichiarata progressista e democratica. Ma oggi so che per potersi definire tali bisogna possedere una cultura... conoscere, sapere chiaramente che cos'è una autentica democrazia. S'è formato un gruppo tra i sostenitori di questo movimento contro la guerra, formato da alcuni professori, autori di inchieste e saggi sulla guerra, sull'economia, il cinema, l'informazione. Ci hanno tenuto vere e proprie, lezioni. Letto e commentato un numero enorme di dichiarazioni, articoli usciti sui quotidiani e internet. Abbiamo fatto dibattiti che mi hanno sbattuto all'aria luoghi comuni e preconcetti con i quali ero stata allevata.
Mi sembrava d'essere tornata a scuola.
Ho sempre creduto con certezza che la decisione di scatenare una guerra in Iraq fosse nata all'improvviso, proprio in seguito al massacro delle torri dell'11 settembre nel tentativo di bloccare e annientare i terroristi. Invece, grazie ai dibattiti scopro che quella decisione era stata presa già molto tempo prima. I neoconservatori in un loro programma, "The Project for a New American Century's Rebuilding America's Defense", proclamavano che gli Usa dovevano assolutamente esercitare il proprio ruolo di unica superpotenza mondiale, assicurandosi l'accesso alle cospicue riserve petrolifere del Medio Oriente. E' uscito più di un articolo dove il tema principale era: "Occorre procurarci nuovi giacimenti estranei all'Opec, come appunto quelli ricchissimi dell'Iraq."
Iraq... dove avete mandato a morire mio figlio.

Da agosto a oggi sono trascorsi quasi tre mesi. Più di un commentatore, a proposito del silenzio che Bush ha scelto nei miei riguardi, ha cercato di spiegare perché il Presidente insista nell'ignorarmi. Uno di loro dice che quella mia semplice domanda sulla guerra ha causato nel Presidente un forte deragliamento nei programmi.  Qualcuno mi accolla perfino la responsabilità dell'imprevedibile crollo della sua popolarità negli ultimi mesi.  Non sarebbe meglio per il Presidente uscire da quel dannoso e imbarazzato mutismo?
Il famoso regista Micheal Moore ha risposto a questa domanda dichiarando: "Bush non può rispondere. Ha costruito un castello di bugie incatenate una all'altra come una cattedrale. Se ne toglie una a caso, tutto gli crolla addosso. Anche se è vero che cadrebbero solo pietre di carta, il vuoto che si scoprirebbe dietro quel crollo sarebbe disastroso."
Uno che parla con Dio, non si accetta di vederlo rimanere senza una cattedrale, seppur fasulla, inesistente.

Se avessi Bush davanti cercherei di spiegargli: "Vorrei dire, da buona cristiana, che non provo sentimento di odio nei Suoi riguardi, Presidente... solo un certo disprezzo. Vorrei limitarmi a questo, ma non ci riesco.
Quando in televisione La vedo scendere dall'elicottero atteso dai Suoi ministri e generali, tenendo fra le braccia un piccolo cane, ben pettinato, tutto fru fru come una bestiola di peluche, non riesco ad esclamare "Oh, che carino! Che persona gentile e sensibile questo nostro capo!".
No, non credo assolutamente che Lei ami gli animali, scommetto che sono stati i Suoi consiglieri a convincerLa a recitare questa sceneggiata, Presidente.
Le hanno detto: "Negli Stati Uniti ci sono numerosissimi cittadini con diritto al voto che vanno pazzi per i cani... I loro bambini poi li adorano! Una recente inchiesta ha stabilito che almeno cinquanta milioni di americani posseggono un cagnolino o un grande cane. Perciò, si prenda in braccio un barboncino peloso, se lo coccoli, se lo sbaciucchi, e avrà il voto certo di quei cinquanta milioni di amanti degli animali."
Lei, non ama né gli animali né gli esseri umani.
L'ho osservata in una diretta televisiva mentre stava accovacciato fra i bambini di una scuola e cercava di essere affabile, paterno. Ma non ci riusciva, appariva terribilmente goffo e insopportabile.
No, Lei non odia i bambini, ma fa peggio: li ignora. Quelli uccisi a migliaia in Iraq, Afghanistan e altri Paesi nei bombardamenti non esistono, PER LEI sono solo vittime collaterali... Stanno nella norma. Omicidi previsti, inevitabili... Raggiunto quale numero di bimbi morti comincerà A SENTIRE  un leggero senso di colpa?
"Perdona, perdona!" - mi ripeto tutte le volte in cui la rabbia e il dolore mi si mischiano in petto, diventando insopportabili. No, non ce la faccio.
E' la Sua arroganza, Signor Presidente, sporcata dal fastidio che Le vado procurando, ad impedirmelo... perché Lei, oltretutto, non ha cancellato solo l'esistenza di mio figlio, ma con lui ha distrutto anche quello che io aspettavo trepidante... un "suo" figlio. Sì, fra un anno Casey e la sua ragazza si sarebbero sposati. Poi, sono certa, sarebbe nato un bambino.
L'ho sognato e continuo a sognarlo. E piango quando mi risveglio.
Lei, con la Sua guerra, mi ha ucciso anche i sogni!
Sia maledetto!

Ho incisa nel cervello la trionfale immagine di Lei, Signor Presidente, infilato nella tuta da pilota da guerra che scende dal jet rombante da caccia, atterrato su una portaerei degli Usa nel Golfo Persico.
Una folla di marines e truppe da combattimento Le sta intorno, solleva le braccia scandendo urrà.
"Missione compiuta!", annuncia a gran voce, sorgendo dalla carlinga con il capo coperto dal casco da pilota.
Mi ha subito fatto venire in mente un vecchia illustrazione su un libro di storia, che tenevo nel mio zainetto da bambina con l'immagine del trionfo di Alessandro il Grande, vittorioso sull'esercito persiano.
Ero commossa: è splendido onorare un simile condottiero...
Non sapevo che Lei fosse un intrepido combattente aviatore. Un portavoce del Suo staff esaltava il Suo coraggio, ricordando che Lei nella Sua giovinezza era stato protagonista di azioni di guerra nel Vietnam.
Poi però vengo a scoprire che il suo portavoce aveva mentito... e che Lei, Signor Presidente, durante la campagna del Vietnam non s'è mai trovato su un caccia del genere in un combattimento, anzi si era assentato per un anno, dalla sua unità militare, senza aver ottenuto un permesso ufficiale. Non è stato capace di sopportare neanche il servizio nella Guardia Nazionale Aerea dell'Alabama.
Ora indossa la pelle del leone e ci viene a raccontare una favola eroica. Non era proprio il caso che Lei mettesse in piedi una sceneggiata del genere.
Ma quello di non trovarsi mai sul set della scena giusta è ormai una Sua costante...
Poco fa sulle nostre coste è esploso il tornado Kathrina che ha travolto New Orleans e tutta la Louisiana. Si conosceva già in anticipo il disastro che avrebbe prodotto: quell'uragano avrebbe travolto la zona più povera dell'America, la più indifesa, completamente priva di organizzazione.
Sì! Dovere di un Presidente, così propenso all'azione fulminea e partecipata, era quello di trovarsi nel cuore dell'uragano, o perlomeno negli immediati dintorni. E invece Lei, Signor Presidente, non c'era, neanche nella zona cosiddetta tiepida. Lei trascorreva BELLAMENTE il week-end nel Suo ranch, al riparo da colpi d'aria.
E a fatica s'è deciso al fine a far visita al luogo del disastro, ma più tardi, quando tutti, o quasi, i superstiti erano stati evacuati. La palude aveva ingoiato ogni cosa e Lei viaggiava su un possente mezzo anfibio da sbarco della marina.
Sempre al punto sbagliato nel momento sbagliato. In quest'occasione pare indossasse una tuta mimetica... giusta precauzione per non essere riconosciuto dai pochi superstiti arrampicati sui tetti...
In una vecchia farsa satirica sulla guerra di secessione mi ricordo di una scena in cui il glorioso governatore di un distretto del nord incitava i giovani della sua contea ad arruolarsi nell'esercito federale. Parlava di dovere, di difesa dei diritti civili, della libertà per gli schiavi. Poi al momento dell'attacco risultava introvabile.
Sembrava la Sua caricatura, Signor Presidente...
Ma devo ammettere che Lei nel Suo governo si trova in buona compagnia... La predisposizione del Suo staff e dei Suoi senatori all'imboscamento è ampiamente documentata, per loro e per i loro familiari: dei 535 membri del congresso, proprio quelli che hanno esaltato il dovere dell'entrata in conflitto dell'esercito americano, uno solo può vantare un proprio figlio nella zona dello scontro! È proprio il caso di dire "Arruoliamoci e partite!"

"Caro George Bush,
ormai sono tante le lettere che Le ho inviato anche se non ho mai ricevuto risposta - ma questo è un particolare trascurabile... - dicevo... Ho intrecciato ormai un dialogo così intenso con Lei che La sento come uno di famiglia, un parentone col quale sfogarsi, come su un pungiball che non geme mai. Tanto che ho deciso di darLe del tu e di chiamarLa George, senza W. Mi permette vero? Non risponde? Va bene... proseguo!
In compenso c'è qualcuno dei Suoi collaboratori che risponde per Lei, pardon per te, George! Si tratta di Karl Rove, che è senza dubbio un pezzo grosso del tuo staff, una specie di tuo consigliere.

Il nostro amico mi scrive aggredendomi e dicendosi certo che io, Cindy, sono un clown e che le persone che partecipano a questa campagna contro la tua guerra sono "inesistenti", non ci sono! Mio dio! Sono di certo malata grave... soffro di allucinazioni! Nella ultima manifestazione, quella di settembre, proprio qui a Washington, sono certa di aver visto centinaia di migliaia di partecipanti ai quali ho stretto la mano, che mi abbracciavano. Insieme abbiamo cantato... uomini, donne che tenevano in braccio i loro bambini, e tanta polizia intorno, intere guarnigioni che bloccavano le strade d'accesso alla Casa Bianca. E adesso il tuo portavoce mi ha assicurato che tutta questa folla di gente non esiste... Non sono mai venuti al mondo, non hanno mai respirato, vissuto, amato. Sono spiriti, semplici fantasmi che una folata di vento può cancellare in un attimo. E anche i poliziotti quindi, forse, non c'erano. Che ci facevano là, se la folla dei manifestanti non esisteva? Solo io, mi assicura il tuo portavoce, Karl Rove, esisto e sono reale. Su un punto però ha ragione: sono un clown, autentico.
A proposito di rispetto... Non capisco perché il tuo portavoce, pardon stavo dicendo tirapiedi..., usi nei miei riguardi il termine clown come epiteto offensivo. Dovrebbe sapere che nella nostra cultura il clown ha un ruolo di tutto rispetto. È un personaggio costante nelle opere di Shakespeare e degli elisabettiani più famosi.
Marlowe faceva dire al Re Riccardo: "Ascolta e impara dalla voce e dai gesti del clown. Non accontentarti di ridere delle sue facezie."
George, ti prego, dillo tu a Rove: è più nobile un fool di un consigliere... Lui sì, dovrebbe studiare da clown! 
Ma il clown, in verità, non significa solo allegrezza intelligente: è anche sinonimo di pazzia, vedi il fool, e di sofferenza. I nazisti nei loro lager chiamavano i prigionieri clown pazzi. Loro, li avevano ridotti in quelle condizioni, indotti a muoversi come ebeti, senza carne né muscoli, attoniti, senza luce nello sguardo.
Le stesse figure che ho visto, sorrette da due poliziotti americani, vagare a Guantanamo. Indossavano tute di un arancione sgargiante, proprio come pagliacci. Si guardavano intorno, ma non recepivano alcunché.
Di certo quegli uomini che avevate catturato, imprigionato, tenendoli in gabbie degne di animali, facevano parte di una masnada di fanatici, i talebani, usi a opprimere e a mortificare le loro donne, cancellandone il volto e la dignità, a compiere violenze indicibili travolti dal vuoto della ragione. Ma la nostra è fino a prova contraria una nazione civile di massima grandezza. Da bambina ho imparato a memoria, come ogni piccolo cittadino di questo Paese, i capitoli essenziali della nostra Costituzione, fra i quali ne ricordo uno in particolare: l'assoluto rispetto per la persona umana, anche se quell'individuo è colpevole di crimini efferati. Ma come avete potuto allora ridurre quei prigionieri a un tale svuotamento psichico, privo di ogni parvenza umana, automi simili a pupazzi manovrati da un burattinaio a sua volta impazzito?
Caro George... Scusami se ti dico che a quella vista mi sono vergognata del mio Paese. No, mi sono male espressa. Per il mio Paese provo tutta l'ammirazione e l'amore che meritano le sue incredibili azioni civili. Mi sono vergognata del mio governo, delle forze di polizia militare e di come avete aggirato le leggi democratiche e sacrosante che questa nazione si è data, conquistando la libertà. George Washington, padre fondatore del nostro Paese, diceva nel suo testamento: "Riuscire a dire sempre la verità non nasce solo da un'educazione inculcata fin dall'infanzia, ma dietro a questa costante abbisognano generazioni di uomini che abbiano fatto di questa cultura la verità sempre e ad ogni costo, il nucleo fondamentale della propria vita civile. In me, oggi, dire la verità provoca sempre uno straordinario piacere... così come in altri provoca fatica e addirittura dolore."

Trovo profondamente grottesco che in questa nostra terra esista oggi un altro George che vive e opera nella stessa città che ha preso il nome del fondatore, Washington, e che al contrario del primo George non sia mai in grado di dire la verità. 
Il secondo George è costretto a bruciare il proprio tempo nel tentativo spasmodico di aggiustare i danni prodotti dalle proprie menzogne. Egli assomiglia sempre più a un giocoliere da circo che butta in aria di continuo palle e palline e alla fine corre e salta di qua e di là per poterle afferrare prima che tocchino il suolo, giacché quelle sfere sono bombe che scoppiano fra i piedi di chi ci gioca con destrezza.
Siamo ormai in novembre del 2005. Sotto "le shapiteux" governativo al ritmo di una farsa claunesca si susseguono i colpi di scena. Si scopre che tutta la storia delle armi di distruzione di massa, di cui sarebbero esistite le prove, non era altro che il frutto di una bufala architettata dalla corte dei collaboratori di George, il grande bugiardo che ormai si muove sul ring della menzogna come un pugile suonato.
I suoi tirapiedi sono stati trascinati in processo. Il gran giurì ha condannato come ipocrita e falsificatore, nonché mentitore lo staff del Presidente e perfino il vice presidente è a sua volta incriminato.

Tutti stiamo a testa in su, intorno alla Casa Bianca, aspettando di veder buttare dalla finestra uno a uno, come nelle comiche di Buster Keaton, gli uomini del Presidente. Sotto non ci sono reti: i tonfi quindi saranno spettacolari e tremendi.
Anch'io mi ritrovo fra il pubblico ad assistere ai lanci.
Ma non riesco a gioire, poiché in prima fila nel giardino della Casa Bianca non posso fare a meno di immaginare seduti a terra i 2.180 figli di altrettante madri come me che inutilmente, grazie al cinismo dei grandi clown, sono stati sacrificati non per "salvare la civiltà" ma per sostenere il progetto criminale di chi ci governa. In poche parole la guerra è servita per mantenere sempre in tensione l'intero Paese, indurlo ad accettare sacrifici, privazioni perfino riguardo ai diritti civili e alle leggi, al grido di "Meno libertà per una maggiore sicurezza!".
Fra poco vedremo precipitare anche l'ultimo gran bugiardo, ma noi, donne madri, non applaudiremo. Noi sappiamo bene che il mondo non cambia buttando giù ogni tanto un cialtrone. Cambia solo se si riescono a svegliare in ognuno la coscienza e la volontà di voler partecipare e voler ad ogni costo controllare chi gestisce la nostra vita.

Oggi, 16 novembre, è il giorno in cui una parte delle 376 persone che sono state arrestate di fronte alla Casa Bianca andrà in tribunale per lottare contro il proprio arresto.
Questa sarà la mia difesa:
Il mio caro e dolce ragazzo è stato ucciso in Iraq il 04/04/04. E' stato assassinato da un ribelle iracheno, ma George e la sua menzognera banda di criminali neoconservatori avrebbero potuto benissimo aver premuto il grilletto al suo posto. E' stato provato più volte che quei malviventi ci hanno mentito riguardo alla necessità di invadere l'Iraq e che continuano a mentirci per mantenere lo stato di occupazione.
Il 26 settembre 2005 ho saputo di aver infranto la legge per aver svolto un sit-in sul marciapiede davanti alla Casa Bianca senza permesso. Ma io ero lì per richiamare l'attenzione sugli assassini che vivono e lavorano là. Se non fosse stato per loro, avrei avuto ancora mio figlio e decine di migliaia di persone innocenti sarebbero ancora vive. L'omicidio non è forse un crimine? Quando saranno chiamate quelle persone a rispondere di fronte alla giustizia per i loro crimini di guerra e per i crimini contro l'umanità?

Chi vuole vivere libero in un mondo nel quale gli assassini hanno il permesso di muoversi liberamente e di generare la devastazione su cittadini e Paesi innocenti?

Io so che non voglio.
Vi terremo informati.

Ho deciso di inviare alla madre di Bush una lettera, eccovela:

Cara Barbara,
il 4 aprile 2004 il tuo primogenito ha ucciso il mio, Casey Austin Sheehan.

A differenza del tuo figlio maggiore, il mio era una persona meravigliosa che è entrato nelle forze armate per servire il suo Paese e provare a rendere il mondo un posto migliore. Casey non voleva andare in Iraq, ma conosceva il suo dovere.
Tuo figlio George si è assentato per un anno, proprio durante la guerra del Vietnam, dalla sua unità militare, senza aver ottenuto un permesso ufficiale. Non è stato capace di sopportare neanche il servizio nella Guardia Nazionale Aerea dell'Alabama.
Casey si è arruolato nell'esercito prima che tuo figlio diventasse comandante in capo. Tutti noi sappiamo che tuo figlio stava pensando di invadere l'Iraq già prima del 1999. Casey era un uomo morto ancor prima che George diventasse presidente e prima di arruolarsi.
Ho cresciuto Casey e i miei altri figli a usare le parole, il dialogo, come strumento per risolvere i problemi e i conflitti. Fin da quando erano piccoli, ho detto ai miei quattro figli che è SEMPRE sbagliato tirare pugni, calci, colpire, picchiare, tirare i capelli, ecc... Se i miei piccoli non trovavano le parole per risolvere i conflitti senza violenza, li ho sempre incoraggiati a trovare un mediatore come un parente, un insegnante affinché li aiutassero a trovare le parole.
Hai insegnato a George a usare le parole e non la sua violenza per risolvere i problemi? Non sembra proprio. Gli hai insegnato che uccidere altre persone per profitto e petrolio è SEMPRE sbagliato? Ovviamente no, non l'hai fatto. Ero anche solita lavare la bocca dei miei figli col sapone, nelle rare occasioni in cui mentivano... tu l'hai fatto con George? Puoi farlo ora? Ha mentito e sta ancora mentendo. Saddam non aveva armi di distruzione di massa (WMD), né legami con al Qaeda, e i memorandum di Downing Street provano che tuo figlio sapeva questo prima di invadere l'Iraq.
Il 3 agosto 2005 tuo figlio ha affermato di aver ucciso mio figlio e altri coraggiosi e onorabili Americani per una "nobile causa". Ebbene, Barbara, da madre a madre, questo mi fa infuriare. Io non considero invadere e occupare un altro paese, che è stato provato non essere una minaccia per gli Stati Uniti, una "nobile causa". Non credo che invadere un paese, uccidere i suoi cittadini innocenti e distruggere le infrastrutture per fare ricchi la tua famiglia e i tuoi amici di famiglia, profittatori di guerra, sia una "nobile causa".
Così sono andata a Crawford in agosto a chiedere a tuo figlio per quale nobile causa abbia ucciso il mio. Non ha voluto parlarmi. Penso che abbia mostrato delle pessime maniere. Credi che un presidente, anche se tuo figlio, dovrebbe essere così inaccessibile ai suoi impiegati, ai cittadini? Specialmente verso uno, la cui vita è stata completamente devastata?
Sono stata alla Casa Bianca diverse volte da agosto in poi per cercare di ottenere un incontro con George, e tornerò a Crawford la prossima settimana. Pensi di poterlo chiamare e chiedergli di fare la cosa giusta e portare le truppe a casa, via da questa guerra illegale e immorale in Iraq che lui imprudentemente ha iniziato? Ho sentito che sei una delle poche persone che ancora parla con lui. Non vuol parlare con suo padre, che conosce le difficoltà e impossibilità di andare in Iraq ed è proprio per questo che non ci andò nella prima guerra del Golfo. Se non vuoi dirgli di portare le truppe a casa, puoi almeno sollecitare un incontro con me?
Tu hai dichiarato questo, nel 2003, poco più di un anno prima che il mio adorato e dolce figliolo Casey fosse ucciso dalle politiche di tuo figlio: "Perché dobbiamo sentir parlare di feretri, morti o di corpi martoriati? Intendo dire, non sono rilevanti. Perciò mi chiedo, perché dovrei affaticare la mia bellissima mente per pensare a cose come queste?" (Good Morning America, March 18, 2003). Barbara, non pensi di dovere a me e a ogni altro genitore dell'organizzazione Gold Star Families for Peace delle scuse per quel crudele e imprudente commento di cui dovresti vergognarti?
Sai Barbara... nemmeno io volevo sentir parlare di morti e di corpi straziati. Il 4 aprile 2004, tre ufficiali dell'esercito sono venuti a casa mia a dirmi che Casey era stato ucciso in Iraq. Sono svenuta e sul pavimento ho scongiurato il crudele Angelo della Morte di prendere anche me. Ma l'Angelo della Morte che ha preso mio figlio è tuo figlio.

Cordialmente,

Cindy Sheehan
Madre di Casey Sheehan
Founder and President of Gold Star Families for Peace
Founder of Camp Casey Peace Foundation

Franca Rame e Dario Fo

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Commenti

grande!ho qualche contatto in inghilterra, farò in modo di farlo girare.Domanda forse stupida:ma è Cindy è stata informata?!

PACE
In data: 07/02/2006
Email:
USO E ABUSO

Cindy Sheehan pacifista o stanca della guerra?
Dario Fo uso coerente o improprio?

Dati Risposta

Risposta da Pacifista
In data: 09/02/2006
Email:

Rispetto il dolore di questa madre per aver perso il figlio. Rispetto il suo modo di elaborare il dolore. Rispetto Dario Fo per l'insieme della sua vita d'artista e l'inteliggenza acuta. Mi dispiace che per frenesia sia sceso a compromessi con se stesso. Ma l'errore, si sa, è umano.

Dati Risposta

Risposta da abuso
In data: 09/02/2006
Email:

Gli intellettuali usano la madre, che a sua volta usa il figlio (morto).

Dati Risposta

Risposta da Dario
In data: 09/02/2006
Email:

Se l'opposizione pacifista e' cosi' stupida perche' il Pentagono dovrebbe essere intelligente?

Dati Risposta

Risposta da Pace
In data: 13/02/2006
Email:

Il pentagono? L'errore di Bush a sottovalutare la stampa d'agosto? Ammesso!
E poi? L'opposizione pacifista (per così dire pacifista) ha bisogno di arrampicarsi sugli specchi mettendoci nella luce dell'incoerenza?

Dati Risposta

Risposta da USO
In data: 15/02/2006
Email:

Il topico è una scelta casuale e non deve oscurare l'importanza del manifesto politico.