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Berlusconi chiedeva aiuto a Sacca', gli dice: "Per sollevare il morale del CAPO". Lo dice raccomandando attricette. Il capo e' lui, parla di se' in terza persona come Giulio Cesare. Con l'allocuzione "SOLLEVARE IL MORALE" invece e' chiaro a quale sua propria parte anatomica si riferisce.
Sputtanato dalla diffusione dell'audio dei suoi intrighi sessuali Berlusconi protesta.
Come protesto' D'Alema che preferiva le banche alle passere.
E io son d'accordo con loro. E' colpa dei giudici vanagloriosi se l'Italia e' diventata un caso pornograficobancario internazionale.
Intanto l'Italia viene sorpassata dalla Spagna dal punto di vista economico. Sul piano della mancanza di liberta' di stampa, l'enormita' del debito pubblico e sul numero di auto e cellulari invece la battiamo ancora noi.
Le statistiche ci informano che anche la Grecia ci ha ormai raggiunto. La Grecia!
Ci espelleranno dal G8 (il club delle grandi potenze), ci diminuiranno il numero dei posti macchina nel parcheggio dell'Onu, ci guarderanno con commiserazione ai party dell'Unesco... E probabilmente il Vaticano si trasferira' alle Canarie. Che umiliazione.
Luttazzi e' stato cacciato di nuovo dalla tv.
La Forleo e' stata trasferita in Africa: processera' beduini col cammello in divieto di sosta.
I giornali continuano a dedicare pagine e pagine a quel che i politici dicono. Non e' normale. Nel resto d'Europa la stampa si occupa solo di quel che i politici FANNO.
La situazione, in fondo, e' semplice: l'Italia e' preda di una banda di furbastri che volano sugli elicotteri della finanza.
La domanda e': come e' possibile smantellare questo inciucio ladrocinante?
Cambiare, per ora, appare impossibile.
E' possibile al massimo erodere.
Giudicando il governo Prodi bisognerebbe partire da qui.
E' un governo ostaggio di una banda di predoni in combutta con i briganti dell'opposizione.
La situazione e' talmente merdosa e incistata da 50 anni di pratiche sporche, che il massimo che possiamo sperare e' un governo che eroda qualche privilegio e un briciolo dei poteri delle corporazioni tenendo la barca a galla.
Evidente che sperare in qualche cosa di meglio e' illusione.
Ed e' duro per chi sogna un mondo migliore accettare il fatto che siamo messi talmente male che Prodi e' comunque meglio di Berlusconi e che non possiamo smettere di sostenere Prodi perche' questo governo sta facendo qualche cosa, ogni tanto, mentre Silvio manderebbe l'Italia allo sfascio.
E' un discorso difficile da fare ma bisogna farlo. Quando un sistema nazionale crolla come accadde in Argentina, sono i piu' poveri a pagare di piu'.
Il tanto peggio tanto meglio si misura in milioni di famiglie rovinate.
Certo, ora va male ma peggiorare la situazione non aiuta.
D'altra parte e' necessario rompere qualsiasi complicita' con questo stato di cose, nella speranza che l'evidenza del tracollo italiano muova piu' ampi settori sociali a farsi carico del cambiamento.

Ed e' per questo che alla fine mia madre ha deciso di dimettersi dal Senato. Proprio perche' e' necessario in questo momento far sapere agli italiani che se non si da' una sterzata anche con Prodi andiamo a sbattere contro il muro. Magari a minor velocita'...  Ma col nostro debito pubblico non possiamo proprio permettercelo.
Fino ad un certo punto era parso che la parte sana del centrosinistra avesse la forza di imporre un cambiamento lento ma deciso, mentre ora appare chiaro che questa parte della politica che ha a cuore il destino di tutti noi non ha proprio la forza di andare oltre a qualche limatura del male.
Importante certo, ma non sufficiente a dare decenza a una presenza in un sistema come questo.


Commenti

Carissimo Jacopo,

essere rappresentato in senato da tua madre è stato comunque un onore ed una consolazione.

Il miglior augurio per il  2008 penso sia di poter nuovamente contare su  persone di specchiata onesta e dirittura morale come la senatrice Rame.

I migliori Auguri per le prossime festività!

nei bar dei paesi intorno alla mia città la politica e il mondo della politica vengono lette cosi...vittimismo e letture semplicistiche mischiate a problemi personali e quotidiani. popolari e popolani come il piotta o il corona o il grillo di turno che fanno trend...tendenze che portano poi a letture semplicistiche e al sentirsi autorizzati e magari anche grandi a farle. ci son argomenti e argomentazioni ben più sociologiche di questa. dai jacopo non fare un ministrone...ringrazio tua madre per le lotte che negli anni ho appoggiato ma non sono certo d accordo abbia lasciato il senato. forse ci sono persone che sanno solo stare all' opposizione:-) spiace.

 

E' un libro insulso.....ho buttato via dei soldi. Sei un malato di mente....filofemminista del cazzo.

si,tommy,sei mejo te.

 

http://www.ilterzostato.splinder.com/

C’è un veleno che intossica la nostra democrazia, si chiama conflitto di interessi. Al di là dei malanni più o meno seri che gravano sullo stato di salute dei nostri governi e delle nostre istituzioni da qualche decennio, questo male oscuro si è diffuso più di recente nei palazzi della politica, nel mondo dell’informazione, dell’alta finanza in modo pregnante, tanto da preoccupare seriamente per il proseguimento di un corretto cammino democratico e istituzionale.  Ci vuole una buona dose di ottimismo, o dabbenaggine per vedere, da qualche lustro a questa parte, una democrazia compiuta nell’esercizio della Cosa Pubblica in Italia. Lo sanno bene gli osservatori esteri che definivano Berlusconi “unfit” (inadeguato) a governare il Paese per l’eclatante conflitto di interessi che lo coinvolge. Nessuna democrazia compiuta si sognerebbe mai di permettere a chi concentra tanto potere economico e mediatico, di ricoprire cariche pubbliche, e le ragioni sono evidenti.

In Italia no; l’interessato afferma che non c’è alcun conflitto di interesse (già questo è singolare), i suoi dipendenti (servitori)  gli fanno indefinitamente da eco attraverso   il potente mezzo televisivo, le voci contrarie vengono sistematicamente messe a tacere, svilite, mistificate, deformate, ignorate.  Così il veleno del conflitto di interessi si insinua lentamente nell’organismo sociale, intossicandolo fino al punto di far sembrare accettabile l’adeguamento di un paese alla misura degli interessi del grande venditore. Questa intossicazione tocca ormai considerevoli settori del palazzo e grossi centri di potere politico ed economico, oltre all’avere invaso fuori da ogni misura il settore televisivo.

La “partita” del confronto democratico è truccata, un baro è seduto al tavolo. Se  ne accettiamo la  presenza non potremo mai vincere, e finiremo per sfinirci in un gioco al massacro . Contro un baro non c’è partita. Per  ridare dignità e rendere giustizia alla partita lo si può solo espellere.

Credo perciò che sia irrinunciabile, per non finire soffocati dalla frana della sfiducia e del passivismo dilagante, prendere coscienza che la disintossicazione dal veleno berlusconiano è la “cura” da affrontare prima e più decisamente di qualunque altra, perché è alla radice dell’incapacità di reagire a tutti gli altri mali.

Finché la partita sarà truccata, i problemi della giustizia, del lavoro, del precariato, della guerra, della libertà di informazione, e le altre questioni irrisolte del Paese non avranno risposta istituzionale.

Se le democrazie non permettono simili aberrazioni una ragione c’è, e “grazie” a Berlusconi ci risulta anche molto chiara.

 

 

Perché non sia una Caporetto occorre oggi il coraggio e l’orgoglio necessario per recuperare la dignità che compete ai cittadini di un paese civile e ai lavoratori. Una dignità di cui siamo privati da anni.

Il degrado avanza nel tessuto sociale, in un quotidiano distratto, fascinato, svuotato, abbrutito,  dal canto delle sirene mediatiche della corruzione, del malaffare e dell’impunità, del consumismo ottuso e autoreferenziale, della visione piccola ed egoistica, della mercificazione disumanizzante.

Credo che ccorra farsi alcune domande:

Dove  l’uomo più ricco del Paese compra il consenso e i favori politici, monopolizza gli spazi televisivi commerciali e controlla il servizio pubblico (e grazie a questo potere distorce, propaganda, censura e indirizza l’informazione), quale democrazia è mai possibile?

Accettando tutto questo, di quale dignità democratica ci possiamo ritenere portatori?

E come possiamo non ritenere primario, per le sorti della vita civile e istituzionale della nostra democrazia, la risoluzione decisa e definitiva del problema del conflitto di interessi?

Come possiamo ancora procrastinare la necessità di uscire da questo inaccettabile condizionamento?

Come possiamo non vedere che il precariato, la guerra, l’emigrazione clandestina, i traffici illeciti, l’evasione fiscale, sono tutti fenomeni che favoriscono e accrescono sempre il potere di chi controlla l’economia e della criminalità? I soliti noti.

Possiamo ben vedere chi, in questi anni, ne ha raccolto i frutti e chi ne ha subito le conseguenze. Dove si è accresciuta la ricchezza e dove si è diffusa la povertà. Lì sta il nocciolo del problema, il bandolo della matassa. Lì il senso di questi accadimenti è scritto in lettere cubitali.

Sono le grandi ingiustizie che, ripercuotendosi in tutta la società, creano il circolo vizioso in cui ci troviamo impantanati e diffondono il senso di sfiducia e di rassegnazione che frena ogni impulso risanatore, chiude ogni spazio al bene pubblico.

Credo che al governo Prodi occorra subito uno slancio di orgoglio e di coraggio:  l’attuazione del programma sul tema del conflitto di interessi è diventato inderogabile. Per onestà verso gli elettori, per la propria dignità, per la democrazia, per l’informazione, per la giustizia, per un elementare senso etico. Per poter governare in modo rispondente alla volontà e al bisogno dei cittadini onesti.

 Se dovesse cadere su questo impegno sarebbe stato ONOREVOLE.

Se dovesse cadere su uno sgambetto di Dini, di Bordon, o di Andreotti,  sarebbe stato un governo miserevole, che ha tenuto in caldo il Paese al grande venditore, per riconsegnarglielo senza combattere. Una Caporetto, appunto.

Un epilogo che non vorremmo mai vedere.

 

Italia, paese a sovranità limitata, dal vaticano, sevizi ammericani, economie mafiose italia senza patria, senza italiani.

giornalisti del rigor mortis celebrano il macabro pasto del potere

la speranza di un sussulto civile mi trasmette la stessa sensazione di un film dell'orrore quando la vittima legata e narcotizzata soccombe e con essa la speranza di un lieto fine.

Shakespeare mi suggerisce un futuro più credibile "la fame, la furia, il ferro, il fuoco e lo stupro" un lavacro inevitabile per chi non prova più alcun sentimento.

venerdì 4 gennaio 2008

La strage della ThyssenKrupp e la condizione operaia. Intervista a Dario Fo di Loris Campetti




Non coltivo mitologie né, viceversa, animosità alcuna e, nonostante i miei desideri vadano ostinatamente in direzione opposta e contraria, cerco di tenere bene aperti gli occhi su quella che è la realtà. Anche se ciò mi provoca malessere.
Non ho mai digerito il fatto che Dario Fo abbia accettato il premio Nobel. A differenza di Jean-Paul Sartre... Sartre, chi era costui? Io, al suo posto, lo avrei respinto al mittente, come si fa con una missiva non gradita. Per protestare contro l'ingiustizia. La stessa ingiustizia che pretende questo ennesimo, inutile, assurdo sacrificio di vite umane.

Inoltre, ho guardato con meraviglia e, confesso, con un certo sospetto l'ingresso di Franca Rame, senatrice della Repubblica, tra coloro che fan "politica". E poi nella schiera dei fedelissimi dell'Italia dei (dis)Valori. Ma siamo seri!... Ora decide di abbandonare il Palazzo, disgustata e scandalizzata. Quasi fosse una donna alle prime esperienze pubbliche.
Mah! Questi artisti...

Ma l'intervista che segue non fa una grinza.

Ve la porgo, così come l'ho letta.

sergio falcone

Ai funerali di Giuseppe. L’operaio ha meno valore, meno tutela, meno diritti che nella schiavitù, o nei Comuni. Perché al centro non c’è più l’uomo ma il profitto

Dario Fo: “Beati gli schiavi”

di Loris Campetti

“Diceva Bertolt Brecht che quando uno schiavo si libera dalla schiavitù e diventa un operaio perde i diritti che aveva. Come schiavo era tutelato, gli veniva garantito un abito, persino una moglie gli veniva trovata. Da operaio perde di valore, di peso, perde diritti. Catullo diceva che allo schiavo bisognava dare allegrezza, ilarità, sennò avrebbe intristito le stanze del potere”. Il premio Nobel Dario Fo ha partecipato ieri ai funerali di Giuseppe Demasi, la settima vittima della strage targata ThyssenKrupp, insieme alla sua compagna Franca Rame. Parlare con lui di morti sul lavoro costringe a modificare gli attrezzi del lavoro giornalistico, ripescando categorie troppo velocemente abbandonate nell’interpretazione della realtà. Sembra un paradosso quello messo in scena da Dario Fo: lo schiavo antico era più rispettato e tutelato dell’operaio moderno. Eppure ha un fondo di verità, perché “la nostra società ha messo al centro il profitto. L’interesse per il profitto viene prima di tutto, prima della vita dei lavoratori”.

Perché hai deciso di partecipare ai funerali di Giuseppe, la settima vittima della strage consumata alla ThyssenKrupp?

Sono andato perché ho avuto una lunga frequentazione con le lotte operaie a Torino e Milano, alla Fiat e nelle piccole aziende. Sette operai uccisi, ci pensi? Ricordo una canzone, “Morire per campare” dentro lo spettacolo “Ci ragiono e canto” che raccontava dei poveri del sud costretti a salire a Milano e a Torino e per tirare avanti mettevano a rischio la propria vita.

Cosa hai provato al funerale?

Sconvolgente. Una chiesa fredda, completamente impregnata di corpi, gente semplice, operai, volti e mani di chi sa cos’è il lavoro. Con Franca abbiamo abbracciato tante persone, compagni di lavoro, parenti, amici. Un operaio mi ha detto che i padroni pagano le multe per il mancato rispetto delle leggi sulla sicurezza, ma se ne fregano, perché le multe costano molto meno che tenere a regola gli impianti. E un altro mi ha detto: “Almeno ci pagassero il prezzo pagato per un bue”. Mi è tornato alla mente quell’industriale del milanese che ha cosparso di benzina e poi bruciato un operaio rumeno che rivendicava i suoi diritti, il prezzo pattuito. E’ stato in galera solo qualche anno, quel padrone. Il cardinale Poletto ha fatto un discorso corretto in cui si ribadiva il rispetto per la persona umana che viene prima della produzione e del profitto.

Siamo nel terzo millennio e si muore sul lavoro come ai tempi dei padroni del vapore.

Noi abbiamo rimesso in piedi lo spettacolo “Non si paga, non si paga” e un importante critico di Repubblica ci ha criticato, accusandoci di non esserci accorti che il mondo è cambiato. Ma i tempi sono cambiati davvero? E come sono cambiati? Dire che oggi siamo più avanti sulla sicurezza è una grande balla. Ci sono degli Statuti tra la fine del 1100 e il 1200, per esempio in Toscana, da cui emerge una grande attenzione alla tutela dei lavoratori che oggi diremmo dell’impiantistica, impegnati nella costruzione di torri, palazzi, chiese. L’inizio dei lavori veniva dato dal maestro della pietra del comune che dava il via solo dopo accurati controlli. Era sua la responsabilità prima di eventuali disastri, poi veniva quella della persona per cui l’opera veniva edificata e l’imprenditore edile era l’ultimo responsabile. Per il semplice fatto che dare la responsabilità della sicurezza al padrone vuol dire lasciare mano libera alla corruzione, perché il padrone ha interesse solo al profitto. Come mi diceva quell’operaio, preferisce pagare le multe che garantire la sicurezza. Con la nascita dell’Umanesimo l’individuo, e non il profitto, era messo al primo posto. Persino la massoneria alle sue origini, metteva al centro il lavoratore, la vita dell’operaio: masson è il muratore.

L’Italia ha il triste primato degli infortuni sul lavoro.

Ti faccio un esempio. Ho lavorato due mesi in Finlandia per mettere in scena uno spettacolo; sai che durante le prove erano sempre presenti i vigili del fuoco? Da noi il servizio antincendio c’è solo durante gli spettacoli.

Pensi davvero che le condizioni dello schiavo fossero migliori di quelle dell’operaio?

Ti ricordi la canzone “Ho visto un re”?

Come no: il re, il vescovo, il ricco, tutti che avevano perso qualche privilegio e piangevano, chi sul cavallo e chi nel vino, chi mordeva la mano del sacrestano. Solo il “vilan”, un contadino, ridacchiava… un altro paradosso?

“Che sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam”. Dove credi che abbia pescato queste parole, se non dallo studio di Bertolt Brecht e dagli scritti di Catullo? Allo schiavo bisogna dare allegrezza, ilarità, per evitare che le sue lacrime possano intristire le stanze del potere. Oggi gli operai non valgono neppure il prezzo di un bue, perché al centro della storia non c’è l’uomo, c’è il profitto.

[il manifesto, venerdì 4 gennaio 2008, pagina 5]

[All'ingresso di Auschwitz: "Arbeit macht frei"... "Il lavoro rende liberi" (!!!)]

 

 

sergio falcone

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... per doverosa conoscenza.

Un abbraccio affettuoso,

sergio

 

 

sabato 5 gennaio 2008

Miseria della filosofia, filosofia della miseria: Agnes Heller

 

"Cerco un centro di gravità permenente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente", Franco Battiato.

 

Miseria della filosofia, filosofia della miseria. Agnes Heller: "Una società totalmente giusta non è affatto auspicabile". Secondo la discepola di Lukàcs, essa non sarebbe "dialettica, dinamica, pluralista". Bah!... Si vede che la Heller mangia tutti i giorni, e bene.

sergio falcone

 

 

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giovedì 3 gennaio 2008

sergio falcone, Cronaca

CRONACA
Zaino in spalla,
l'ho incontrato che piangeva.
Notte infame.
Sotto le stelle di Piazza Mastai.
Senza un riparo dal freddo.
Senza un riparo
dall'indifferenza.
Piangeva
e correva via.
Bianco il telo,
sul viso dell'amico
morto.

sergio falcone

CRONACA

Un uomo assiderato nel suo sacco a pelo in piazza Mastai a Trastevere
Un altro trovato senza vita davanti ad un centro commerciale all'Olgiata

Il freddo fa tre vittime in pochi giorni.
A Roma due barboni morti nella notte

A Capodanno il corpo di un 31 enne rinvenuto alla periferia di Modugno nel Barese

Un'associazione francese: "Si muore per violenza, logoramento, umiliazione"

 

ROMA - Due senza tetto sono stati trovati morti questa mattina a Roma a causa del freddo. Il primo, dell'apparente età di 45-50 anni, forse di origine polacca, è stato trovato senza vita all'alba di stamani, a piazza Mastai, nel cuore dello storico rione Trastevere. In tasca aveva un foglio di ricovero del vicino ospedale Fatebenefratelli, grazie al quale è stato possibile identificarlo e ricostruire che era stato dimesso dall'ospedale il 12 dicembre scorso.

Il secondo 'clochard' è stato trovato stamane in un giaciglio di fortuna che aveva realizzato davanti all'ingresso di un centro commerciale all'Olgiata, una zona residenziale alla periferia nord della capitale. I carabinieri hanno accertato che si tratta di un italiano di 70 anni, senza fissa dimora, abbastanza conosciuto nella zona. Proprio in seguito ad una segnalazione dei carabinieri, l'uomo era stato recentemente ricoverato in un centro di assistenza, ma, dopo qualche giorno, volontariamente, come spesso capita in questi casi, se ne era allontanato e aveva fatto perdere le sue tracce.

Dall'inizio dell'anno, dunque, il freddo ha già fatto tre vittime. La mattina di Capodanno, infatti, il cadavere di un uomo di 31 anni, originario di Messina, era stato scoperto alla periferia di Modugno, in provincia di Bari, in un cunicolo di un sottovia che l'uomo utilizzava da tempo come rifugio per la notte.

"Non è il freddo che uccide le persone della strada. E' lo sbocco complesso delle difficoltà della vita sulla strada: violenza, logoramento, umiliazione, disumanizzazione", ha detto alcuni giorni fa il presidente dell'associazione francese Collettivo dei morti sulla strada, Christophe Louis.

Per i senzatetto, sottolinea l'associazione, la speranza di vita è appunto fissata sui 50 anni, in un paese, la Francia, in cui è più di 80: 77,2 per gli uomini, 84,1 per le donne. E i Sdf, come li chiamano in Francia, ovvero 'Senza domicilio fisso', muoiono in estate e in inverno: il freddo non è che uno pericoli che i barboni si trovano ad affrontare quotidianamente. Ci sono la cattiva alimentazione, l'assenza di cure, il logoramento del corpo a causa del vagabondaggio, un sonno discontinuo per timori di aggressioni, la violenza. "Per strada - ha sottolineato Louis - la gente si consuma, si logora, giorno dopo giorno".

(

la Repubblica, 2 gennaio 2008

)

 

 

sergio falcone

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sabato 5 gennaio 2008

sergio falcone, Nel nome di dio

L'arte è un'astrazione,
cavatela dalla natura sognandovi davanti
e pensate alla creazione,
è il solo mezzo di salire verso Dio,
facendo come il Divin Maestro,
creando.

Tutto quello che ho imparato dagli altri
mi ha dato noia.
Posso dunque dire
nessuno mi ha insegnato niente.
E' vero che so così poco.
Ma io preferisco questo poco che è mio.

Paul Gauguin

Nel nome di dio. Non vedrò mai il mio nome da nessuna parte. Così l'anima pura rimarrà. Ed il culo intatto.

sergio falcone

 

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