Carissimi, questa settimana vi riparliamo de “Una vita all’improvvisa”, il libro biografia di Franca Rame.
Una lettura appassionante come la vita di questa donna straordinaria che il 18 luglio ha compiuto 80 anni, ma sembrano 260 anche se ne dimostra 50.
Spiritosa, intensa, tragica, comica ma mai vuota o inutile… la vita di Franca.
Vi proponiamo oggi un brano in cui Franca racconta dell’esperienza di Canzonissima del 1962 e si parla di censura mediatica, di morti sul lavoro, di mafia… ahhh come passa il tempo… oggi sono argomenti assolutamente superati...
Buona lettura.
Si fa presto a dire “Mafia”
Alla sesta puntata di Canzonissima era andato in onda un dialogo fra una “muliera” sicula e un giornalista inviato dal continente. In quella scena io recitavo il ruolo della femmina in questione. La donna e' intenta ad avvolgere un lungo filo. Si alludeva naturalmente a una delle tre Parche, allegoria della vita e della morte: sfizio culturale. Ogni tanto, durante il dialogo fra la donna e il giornalista si odono degli spari e qualche botto.
Il giornalista chiede di che si tratti e, io, sempre nelle vesti della donna, rispondo che forse lo sparo proviene dal fucile di qualche cacciatore solitario, ma poi mi correggo: puo' darsi che sia anche “chiddu ch’occide un infame che se pigghia la sentenza”.
Altro sparo… ed ecco che io alludo a un sindacalista che crea guai. Un botto, ed e' il salto in aria della casa di qualcuno che non ha pagato il pizzo, e cosi' via fra spari e mitragliate si arriva al punto in cui il giornalista mi chiede: “Come mai all’istante hanno cessato di far botti?” e io rispondo: “Sempre, prima dell’ultimo sparo, c’e' un attimo di silenzio”. “A chi andra' l’ultimo botto?” chiede il cronista, e io di rimando: “A chiddu cchi fa troppe domande, cioe' a tia”. Sparo, il cronista cade riverso. Velocissima io arrotolo il filo, e poi con la forbice lo taglio.
L’allusione alla mafia e ai suoi delitti era evidente: era la prima volta che in televisione si arrivava a trattare di “Cosa Nostra”. Il fatto, c’era da giurarci, causo' gran scalpore. E dire che i censori televisivi s’erano lasciati sfuggire il peso e la forza di quella satira: l’avevano ritenuta troppo enigmatica perche' andasse a segno, ma tutti gli spettatori, compresi quelli di governo, scattarono come molle di pupazzi animati. Si scandalizzarono i politici, a cominciare dai ministri del centro e della destra. Perfino i liberali con il loro segretario in capo, Malagodi, presero una posizione durissima, insultandoci e ricordandoci che gia' altri comici troppo caustici col potere avevano sbattuto, tempo addietro, la faccia sulle tavole del palcoscenico; la cosa incredibile e' che Malagodi faceva esplicita allusione a comici colpiti duramente dal regime fascista.
Si mosse perfino l’alta curia siciliana per voce del cardinal Ruffini, il quale intervenne dicendo: “La mafia non esiste, o in ogni modo non si tratta di un’organizzazione criminale che voglia sostituirsi allo Stato, ma di normale criminalita' estemporanea”. Ricevemmo lettere minatorie in gran numero, scritte addirittura col sangue, e biglietti sui quali era disegnata una lupara e una bara. Le minacce colpirono anche nostro figlio Jacopo, che aveva appena compiuto sette anni al punto che per tutto l’anno scolastico dovemmo vederlo andare a scuola protetto da due poliziotti. Pugliese, che a suo tempo ci aveva dato il benestare, si trovo' spiazzato e al suo posto entro' in scena Ettore Bernabei, l’uomo sicuro della DC, pressato da ogni lato perche' ci fosse impedito di continuare con quello spettacolo.
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Commenti
Palletta Complimenti
Palletta
Complimenti Franca!
Avete avuto un bel coraggio e continuate ad averlo.
grazie