Capitolo quinto
“E’ un cellulare criptato!” Disse Miriam abbastanza soddisfatta di sé.
Sì… figurati… Pensai io. Stavo diventando insofferente.
Forse invece di telefonare potresti spiegarmi. Mi sembra che tu mi abbia coinvolta abbastanza nei tuoi casini!”
Lei mi fece uno di quei sorrisi che si vedono esclusivamente nelle pubblicità delle auto da corsa… Sono sorrisi che le fotomodelle si fanno pagare tantissimo.
“Forse è meglio che ne parliamo in un posto un po’ più tranquillo di un tram… Che ne dici? O pensi sia meglio che facciamo un comizio… Anche una seduta collettiva potremmo fare… Psicoanalisi thriller da tram… Potrebbe venirne fuori una moda di massa…” Dopo queste spiritosaggini mi fece un altro sorriso da auto di lusso. A lei non costavano niente.
Restai senza parole. E’ un effetto che le donne mi fanno.
Ragionano troppo velocemente. A partire da mia madre. Quando le telefono mi fa delle domande difficilissime, tipo “Credi veramente che sia iniziata una fase recessiva?“ E dopo un secondo che mi ha sparato la domanda mi chiede: “E’ caduta la linea o stai facendo un videogames?” Come se passassi la giornata a fare i videogames. Non ti danno un secondo per pensarci su. Non so me facciano le donne. Hanno già tutte le risposte scritte dentro e basta loro pronunciarle a voce alta.
Ho letto che è una questione di sinapsi. Ne hanno molte di più dei maschi. Noi abbiamo immense nuvole di dati che veleggiano nella nostra mente completamente sconnesse dal resto della materia grigia.
Lei non mi rivolse ulteriormente la parola. Meglio così. Avevo bisogno di ritrovare il mio silenzio interiore. Tutte le mie identità interne mi tempestavano di affermazioni e domande tipo: “E’ la Cia! E’ un telefilm! Lei è una spia! Lei è pazza! Ti vogliono uccidere! Sei tu il capro espiatorio! Ti danno la caccia! E’ una trappola massonica! Hai pensato agli extraterrestri? Magia nera? Sei tu il predestinato e ti vogliono rinchiudere in prigione proprio per questo!…” La lista era interminabile. Le mie identità interiori avevano tirato fuori dai libri che avevo letto, i fumetti, i film, tutte le trame possibili e me le stagliavano davanti.
La mia identità normativa disse alle altre identità: “State facendo casino. Il casino crea disservizi logici. Tutti zitti per cinque minuti.”
A volte funziona. Quel giorno no.
Lei stava parlando con una sua sorella, suppongo. Con il cellulare che lei supponeva fosse criptato.
“Senti, è un’emergenza. Non discutiamone adesso. Ho bisogno che mi vieni al prendere. Ci vediamo al nostro bar. Mi hai capito? Dai smettila, ti ho detto non ne parliamo adesso. Veramente è un casino. Vieni subito. Ti prego!”
Evidentemente l’aveva convinta perché tirò un sospiro di sollievo mettendo via il cellulare.
Mi venne da ridere: “Deve essere dura dire a tutti questo non è il momento per discutere!”…
Volevo essere distaccato, elegante, non rissoso. Quello che io interpreto come essere affascinante. In certi momenti ti sembra che l’unica cosa utile sia entrare in empatia. Anche ai rapiti succede così… La chiamano sindrome di Stoccolma… Per via di una storica rapina in banca, con i dipendenti dell’istituto di credito tenuti in ostaggio per 6 giorni, che poi chiesero clemenza verso i rapitori.
Succedono cose strane nel cervello della gente…
Passammo dal tram a un autobus. Condivisi la scelta. Essere mischiati tra la folla mi dava maggior sicurezza. Arrivammo a un bar in viale Monza. Ci sedemmo a un tavolino che dava sulla vetrina per tener d’occhio la strada. Dopo una decina di minuti arrivò Noemi, la sorella maggiore, con una Polo grigia.
Mi sedetti dietro. Volevo stare il più lontano possibile da quelle due donne.
Quando arrivò a bordo della sua auto Noemi era già incazzata come la cavalleria romana. Per capire quanto fosse incazzata la cavalleria romana bisogna tener conto che non avevano ancora scoperto la comodità della sella e avevano emorroidi incendiarie.
“Checcazzo avete combinato adesso?” Urlò Noemi mentre salivamo a bordo. Io dietro.
Mi chiesi se il plurale di quel checcazzo avete combinato mi includesse.
Non sopporto di discutere con una donna che strepita.
Decisi di far finta di niente.
“Me lo vuoi dire cosa è successo?..... Miriam dico a te!”
“Senti, per favore non strillare! Hanno ammazzato Paolo. Il mio ex marito. E anche se era uno stronzo sono leggermente scossa!”
“Ma cosa ti inventi? Ma sei indemoniata?!?”
“L’hanno ammazzato, ti dico. Gli hanno sparato e gli hanno anche piantato una lama in corpo. Non sto facendo nessun giochetto psicologico. Sono nella merda totale. E tu non mi aiuti saltandomi addosso.”
Per un attimo Noemi fu sbaragliata. Stava zitta con gli occhi sulla strada. Poi senza neanche muovere le pupille di un millimetro disse: “Non puoi stupirti se dopo tutte le stronzate che hai fatto nessuno ti crede quando racconti una cosa vera. Se poi è vera. Ma comunque andiamo avanti. Chi ha ucciso Paolo? Perché? Tu cosa c’entri?”
A questo punto ero proprio curioso di sentire la risposta.
Ma Miriam mi prese in contropiede scoppiando a piangere.
Io le adoro le donne! Come fanno? E’ così impareggiabile, immediato, devastante. Scoppiano a piangere e tu ti dimentichi tutto e vuoi solo che smettano.
Ma Noemi era una donna. Tra donne non funziona… “Senti Miriam, qualunque cosa sia successa devi raccontarmela. Smettila di piangere che non serve a niente. Se vuoi il mio aiuto racconta. Sennò ti lascio a un taxi.”
Miriam smise magicamente di singhiozzare.
Mi piaceva sempre di più.
Forse ho una base di masochismo nascosta da qualche parte. Ma è così. Al cuore non si comanda. O meglio, puoi anche comandare. Ma lui se ne frega.
Cercai di fare un discorso ai miei sentimenti. Tipo: ma dai è evidente che è una stronza falsa… Ma contemporaneamente avevo una cosa alla bocca dello stomaco che non se ne andava. Una sensazione piacevole peraltro. Disgraziatamente.
La storia di Miriam
“Io ho smesso di frequentare quella gente. Ho chiuso. Mi facevo la mia vita. Poi mi arriva Paolo e mi dice: mi tieni questa borsa? Capisci? Dopo tutte quelle che mi ha combinato! Mi tieni la borsa? E io scema gli dico: sì va bene. Che stronza che sono. Mi dice che la viene a ritirare il giorno dopo e non si fa vedere per tre giorni. Allora guardo dentro e c’è della biancheria. Guardo bene e scopro che in un calzino arrotolato c’è una bustina di plastica rigida e dentro ci sono un centinaio di francobolli del Regno d’Italia. Sinceramente brutti, solo uno commemorativo del primo volo transatlantico, era un po’ colorato. Vado a vedere su internet e scopro che quello del volo aereo vale da solo 30 mila euro. Faccio due conti e scopro che nella bustina tra una cosa e l’altra ci sono francobolli per 2 milioni di euro abbondanti. Te lo immagini uno come Paolo con 2 milioni di euro?
E lui non si vede. Allora prendo un lucchetto di una mia valigia e chiudo la borsa. E butto le chiavi nel cesso, avvolte nella carta igienica.
I francobolli li nascondo sotto una piastrella del bagno che si era staccata e la riattacco con la colla, la stucco con acqua e farina, ci passo sopra un po’ di colore… Insomma i francobolli sono al sicuro. E Paolo non si fa vedere. Arrivano invece due energumeni e mi chiedono se ho visto Paolo e se mi ha lasciato qualche cosa. Mi ha lasciato la borsa, gli dico.
Sai cosa c’è dentro?
E’ chiusa, dico, se l’aprivo quello stronzo mi gonfiava di botte.”
Noemi la interrompe: “Paolo ti picchiava?”
“No, facevo per sembrare sincera. Loro un po’ non ci credono. Mi danno due schiaffi e io scoppio a piangere e a urlare. Allora se ne vanno con la borsa. Dopodichè stanotte alle tre mi telefona Paolo, che devo raggiungerlo. Sono arrivata che l’avevano già ammazzato.
Era steso per terra in un lago di sangue raggrumato.”
Che schifo, pensai ricordandomi la scena.
Mi hanno legata a una sedia e mi hanno detto che se non gli davo i francobolli mi ammazzavano. Mi hanno chiusa in una stanza a chiave. Poi c’è stato un gran casino. Sono arrivati degli altri che si sono portati via quelli che hanno ammazzato Paolo. Credo li abbiano riempiti di botte… Sentivo le urla...
Praticamente sono restata da sola in quella stanza, legata alla sedia con delle corde.” E mostra i polsi con due grossi lividi circolari… Sento una stretta allo stomaco. E il forte desiderio di uccidere chi l’ha legata… “Nella stanza si moriva di caldo. Ho iniziato a sudare e le corde si sono allentate. Per fortuna erano di canapa. Sono riuscita a far scivolare fuori un polso. Non riuscivo ad aprire la porta. Nella stanza c’era un telefono e ho chiamato Giovanni. Poi sono riuscita a smontare la serratura, mi era restata in tasca una limetta per unghie… e sono scappata. Speravo di incontrare Giovanni uscendo ma avevo troppa paura per aspettare.”
Noemi girò la testa per guardarla.
Io pensai che era deliziosa una ragazza che smonta una serratura usando solamente una piccola tenera limetta per le sue meravigliose unghie.
Rischiavo un collasso per eccesso di glucosio nel sangue.
“Si doce comm’ o’ zucchero…”
Io mi permisi di intervenire: “Scusa, già che ci sei potresti chiarire come c’entro io in questa storia? Mi sono perso la mia entrata in scena…”
Noemi si girò a darmi un’occhiata, come se si stupisse che fossi ancora seduto sul sedile posteriore dell’auto. Per di più vivo.
Miriam mi rispose: “Tu con questa storia non c’entri. E’ un lavoro che mi hanno chiesto i vecchietti.”
“Ma non avevi detto che non c’entravi più niente con le sette?”
“Senti, io non me ne occupo più, non li sento più, non vado a nessuna riunione e non partecipo a nessun progetto. Però con alcuni sono restata amica: mi hanno chiesto un favore. Mi hanno detto che lui - mi indica con un cenno della testa - era in pericolo e mi hanno chiesto di andare a ripescarlo in motorino. Poi mi dovevano telefonare per dirmi dove portarlo. Punto e chiuso.”
“Scusa, ma secondo te tutti i pensionati si occupano di trovare giovani avvenenti fanciulle per mandarle a soccorrere gente in pericolo?”
“Senti, mi hanno offerto mille euro per una giornata di lavoro…”
“Ma se vai dalla Camorra ti pagano pure di più!” Taglia giù Noemi.
“Ma non sono la Camorra… Mi hanno detto che lui era coinvolto in un errore giudiziario.”
“E questo sarebbe stare fuori da complotti e sette? Ma ti ascolti quando parli? Non ti rendi conto che un’altra volta sei restata coinvolta in una storia più grande di te della quale non sai un cazzo?”
Proprio in quel momento guardai fuori dal finestrino dell’auto. Una monovolume bianca ci stava superando. Dal finestrino vidi la mia faccia che mi guardava. Per un attimo ebbi la sensazione di vedere la mia faccia riflessa nel vetro dell’auto. Ma poi mi resi conto che la faccia era dietro il vetro. Un mio sosia mi stava guardando. Mi sorrise e mi salutò con la mano. Quasi urlai: “Guardate!” Intanto indicavo con il dito il mio sosia davanti a me. Anche le due ragazze lo videro.
Noemi sibilò: “Ma checcazzo di storia è questa?”
“Ma chi sono?” Chiese Miriam.
L’auto ci superò accelerando.
“Seguili!” Gridai io. “Cerca di superarli e bloccali! Tagliagli la strada.”
“Ma che dici! Magari sono armati.”
“Non me ne frega un cazzo. Devo sapere chi è che va in giro con la mia faccia! Ti prego.”
“Ok.” Disse Noemi e schiacciò l’acceleratore; l’auto si catapultò in avanti.
Ma anche la monovolume bianca accelerò.
Non avevano intenzione di farsi raggiungere.
L’inseguimento proseguì per qualche minuto zigzagando tra le auto.
Eravamo arrivati in un quartiere periferico, una distesa di casette con giardino. Vedemmo della gente in mezzo alla strada e fummo costretti a rallentare. Eravamo quasi fermi quando ci rendemmo conto che erano armati di fucili e pistole.
C’era un’auto che stava bloccando la strada. E mentre lasciavano passare la monovolume bianca noi fummo costretti a fermarci.
Un uomo guardò dentro la nostra auto.
Sorrise. Urlò: ”Sono qui!”
Poi rivolto a noi disse: “Scendete, presto!”
Non sembrava aggressivo.
Un altro uomo, sui cinquant’anni, con un ampio impermeabile grigio e una coppola in testa, si fece avanti mentre ubbidivamo all’ordine. Erano tutti armati ma non ci tenevano sotto tiro.
Il cinquantenne con l’impermeabile, evidentemente il capo, si rivolse a me senza preamboli: “Sei andato dal dentista recentemente?”
“Ma checcazzo volete?”
“Rispondimi!” Tagliò corto lui.
Io feci due conti mentali. Dirgli la verità non mi costava niente: “Sono andato dal dentista quattro giorni fa.”
“E’ quel che pensavo. Ti hanno installato un microchip nel dente… E’ così che sono riusciti a intercettarti un’altra volta. Ce ne sono una cinquantina a 200 metri da qui… Vieni, dobbiamo toglierlo subito.”
“Ma ti vuoi spiegare, Dio santo?!?” Risposi io esasperato.
“Prima ti salvo la vita poi ti spiego.” Fece un cenno a una ragazza che se ne stava lì vicino con una carabina di precisione a tracolla.
Feci in tempo a osservare che era giovanissima che lei, con un gesto fluido mi diede una pacca sulla spalla. Sentii il dolore acuto di una puntura. Cercai di reagire tirandole una manata ma la mancai. Allora mi avventai sull’uomo con l’impermeabile con l’intenzione di strozzarlo. Gli misi le mani alla gola, poi le forze mi mancarono e mi afflosciai in preda al panico.
INDICE CAPITOLI
Capitolo 1 Ottima marmellata d’arance
Capitolo 2 Ragazze educate
Capitolo 3 Una situazione complessa
Capitolo 4 Agguati mentali
Capitolo 5 Eventi indecifrabili
Capitolo 6 La Fratellanza
Capitolo 7 Nera. Ma quanto nera?
Capitolo 8 Il tripudio della confusione
Capitolo 9 La Fortezza
Capitolo 10 Scatole dentro scatole dentro scatole
Capitolo 11 La Polizia Alchemica
Capitolo 12 Fisso il pensiero fisso
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Capitolo 14 clicca qui
Capitolo 15 clicca qui
Capitolo 16 Pinin
Capitolo 17 Fine