Capitolo 11
In una stanza ben illuminata un uomo in camicia e maglione blu sta parlando, in piedi con una coscia che appoggia sul bordo del tavolo. Ha una sessantina d’anni, è brizzolato, i capelli nell’insieme risultano grigi.
Ci sono altre persone nella stanza. Sedute intorno al grande tavolo di legno grezzo e consumato, con gli spigoli arrotondati dall’usura, in parte sbeccati o demoliti dai gesti quotidiani. Un tavolo da lavoro. Seduti intorno al tavolo sono tutti uomini.
Altri, due per l’esattezza, sono in piedi.
Un uomo con spessi baffi neri sta versando del vino da una brocca in un bicchiere che tiene nella destra. Un tipo minuto, vestito color sabbia, sta leggermente in disparte, indeciso se guardare gli altri o fuori dalla finestra. Sembra che stia aspettando di veder arrivare qualcuno.
“Parlate come se fossimo la Polizia Alchemica!” Sbottò Scheletor, con i gomiti appoggiati sul tavolo, dal tono della voce sembrava muovere un’accusa.
Armin, in piedi di fronte a lui, lo guardò di traverso: “Non è un reato.” Poi aggiunse:
“In fondo siamo la Polizia Alchemica, se ne esiste una.”
Scheletor rincarò: “Ma cosa vuol dire se ne esiste una? Hai dei dubbi sul fatto che non esista nessuna Polizia Alchemica?”
Armin, l’uomo coi capelli grigi che stava in piedi, appoggiato al bordo del tavolo, dissentì: “Perché dici che non esiste? Noi cosa siamo allora?”
“Siamo la Polizia Alchemica?”
“Se vogliamo!” Concluse Satanus.
Ci fu silenzio.
Scheletor scosse la testa e mormorò: “Siete scemi dentro.” Ma lo disse rassegnato, quasi con affetto.
Armin decise di tirare le fila del discorso: “Allora cerchiamo di riassumere: ci sono i cattivi, ci sono quelli che pensano di essere buoni e invece sono delle teste di cazzo che combinano guai e poi ci siamo noi che, come abbiamo appena detto, siamo la Polizia Alchemica. Poi c’è uno che non c’entra niente e che praticamente ha la funzione del pallone nelle partite di calcio. Una specie di capro sacrificale. Per inciso, permettetemi di notare che all’origine il pallone era proprio un capretto morto. Ancora oggi in Afghanistan si gioca una specie di rugby a cavallo e si usa proprio un capretto morto come pallone. Un antico gioco patriarcale: rubare al vicino un capretto. Il furto e il patriarcato nacquero insieme. Anzi probabilmente fu il furto a generare il patriarcato. Gli uomini diventarono guerrieri per proteggere i loro capretti.”
Robian mosse i baffi neri e disse: “Hai proprio rotto il cazzo con le tue citazioni erudite. La vuoi piantare? E finisci il discorso!”
Armin non rispose. Continuò lanciando a Robian uno sguardo divertito: “Come in tutte le partite che si rispettino il pallone è la cosa importante. Noi dobbiamo salvare il pallone. La squadra dei Buoni Stupidi pensa che il pallone sia sacrificabile, sono gente che crede che il fine giustifica i mezzi. Noi invece sappiamo che la forma è essenziale, il pallone è importante, non deve morire. Ha un compito fondamentale nella battaglia tra il bene e il male.”
Robian mosse di nuovo i baffi: “E a noi che ce ne frega del pallone?”
“Non è un pallone, è un simbolo e come tutti i simboli ha un valore anche materiale, alla fin fine. Solo lui può fare una certa cosa. Ma per farla deve essere vivo.” Aveva pronunciato quest’ultima frase come se parlasse a un bambino deficiente. Guardava Robian e gli sorrideva paterno e pieno d’amore.
Robian sbuffò: “Ma vaffanculo, vai…”
Il giovane Morbius, che non aveva ancora peli sulle guance, chiese “Ma cosa deve fare questo pallone?”
Armin si grattò il mento con sopra la barba di quattro giorni: “Non si sa. Nessuno lo sa. Tradizionalmente i malvagi vogliono costringerlo a compiere qualche azione contronatura. Sono convinti che questo aumenterà il loro potere. Ma non è vero. È vero invece che ogni volta che le forze dell’Entropia riescono a impedire alla persona che incarna il simbolo di compiere il proprio destino, l’umanità resta ferma per un altro giro.”
Satanus, il biondo enorme con l’impermeabile giallo e il naso a becco chiese: “E allora noi che siamo più intelligenti e che siamo la Polizia Alchemica cosa dobbiamo fare?”
“Uno, dobbiamo individuare chi partecipa alla partita nel ruolo del pallone. Due, dobbiamo proteggerlo.
Tre, dobbiamo neutralizzare i buoni stupidi, se ci riusciremo i cattivi stupidi si faranno male da soli e noi avremo vinto. Cioè, avremo ottenuto che l’Umanità entri in una nuova, luminosa, fase evolutiva.”
“Tutto qui?” Chiese Robian.
Satanus iniziava a spazientirsi: “E qual è la prima mossa?”
Armin si leccò il labbro superiore e per un attimo assunse la faccia di una vecchia zia che ha preparato la torta per i nipotini e pregusta la sorpresa.
Robian capì che c’era sotto una trappola: Armin era convinto di avere già vinto. Lo conosceva e sapeva benissimo che era geneticamente stronzo. Era dal liceo che andava avanti quella storia. E adesso, compiuti i 60 anni, non aveva ancora smesso.
Robian decise di stare zitto per non rendere più piacevole l’eventuale vittoria dell’amico.
Dagli una corda lunga e spera che si impicchi da solo.
Armin prese a parlare con un tono neutro. Recitava. Male. “Dunque, ho fatto due conti, dobbiamo preventivare almeno un mese di emergenza per affrontare questa crisi. Ci serviranno 40 uomini, divisi in 3 turni di otto ore, 12 auto per i pedinamenti, una squadra di supporto logistico con meccanici e specialisti delle rilevazioni ambientali, telecamere eccetera. Almeno altri 15 uomini di supporto quindi. Una centrale di intelligence ne richiede altri 21, divisi in 3 turni e devono avere radio a onde corte e satellitari. E poi abbiamo bisogno di un operativo di 8 uomini se c’è da menar le mani. Aggiungiamoci una ventina di uomini in panchina come riserve, non si sa mai. Attrezzature di sorveglianza, armi e direi anche un paio di elicotteri.
Il tutto non dovrebbe costare più di venti milioni di euro. Supergiù.” Aveva sganciato la bomba e ora Armin sorrideva felice come un bambino.
Robian non riuscì a trattenersi nonostante i buoni propositi: “E dove li trovi 20 milioni di euro. Li tieni nascosti nel salvadanaio?”
Il commento di Robian fu seguito da rumoreggiamenti vari degli altri. Morbius scoreggiò. Taurus gli disse: “Ma che schifo!”
Lui rispose: “Se Armin può dire queste stronzate io posso scoreggiare.”
Armin li lasciò sfogare. Aprì il suo portatile e lo accese. Poi disse con voce enfatica. “Ok ragazzi. Qui ci sono i 20 milioni di dollari. Ho aspettato a incassarli che ci foste anche voi solo per mero sentimento umanitario. Voi potrete vedere con i vostri occhi e gioire nel profondo delle vostre anime.”
Morbius uggiolò roteando gli occhi: “Wow! Un misto tra Gesù di Nazareth e Mandrake! Ecco a cosa ero destinato fin da bambino! Ecco cosa mi ripagherà di tutti i mal di pancia sopportati nella vita!”
Armin sorrise: “Morbius, ora tu diventerai ricco. Abbi solo un poco di pazienza ancora.”
Armin schiacciò il tasto ENTER e sullo schermo apparvero 6 pannelli rettangolari. Tre erano sormontati dalle scritte PASSE MANQUE, PAIRE DISPAIRE, ROUGE NOIR. Gli altri tre erano sotto un unico titolo: TABLE CODE.
Tutti si avvicinarono per vedere meglio.
Scheletor esclamò: “Ma checcazzo è?”
Gli rispose Sangre: “Gli ha fuso il cervello, vuole vincere 20 milioni di euro alla roulette!”
Subissarono Armin di improperi. Ma lui smise di rispondere e si mise a battere sui tasti.
Tutta una serie di dati scorrevano velocissimi nei riquadri. Delle lucine lampeggiavano.
La schermata era piena di segnali intermittenti. Borchie luminose tridimensionali piene di riflessi come se fossero di ottone. Levette. Armin si era divertito con un interfaccia di sapore nautico. Non c’era audio.
Il gruppo iniziò a disinteressarsi di Armin e del suo computer.
Commentavano la situazione parlando di lui come se non ci fosse. O fosse morto.
Morbius disse: “Poverino sembrava normale. Anzi fino a un certo punto forse era normale. Beh, non quando si buttò dalla finestra per sfuggire all’arresto. Lì non fu intelligente. Ma comunque…”
Armin li interruppe trionfante: “Allora, diciamo che abbiamo incassato i primi 11 mila euro. Schiaccio qui. Esco. Chiedo l’incasso. Ecco fra pochi minuti vedrete l’accredito sul nostro conto. Adesso chiedete scusa e dite ad alta voce: siamo fessi perché non credevamo a Armin che è un grande. Su ragazzi voglio sentire le vostre voci.”
Non ebbe quel che chiedeva. Almeno non subito.
Prima vollero verificare l’accredito. Scheletor disse: “Tu non hai mai avuto 11 mila euro in banca. Non ci credo. E’ tutto finto.”
Allora toccò a lui andare in banca e ritirare gli 11 mila euro. Che nel frattempo erano diventati 67 mila. Erano le dieci di mattina e le banche erano aperte. Armin aveva previsto che non gli avrebbero creduto in nessun caso a meno che non avessero visto il frusciante uscire dagli sportelli virginali di una banca, sotto forma di banconote che puzzavano di sangue e violenza.
Scesero tutti insieme le scale, con Scheletor che apriva la processione con l’assegno tenuto bene in mostra, in punta di dita.
Entrarono tutti in banca sorridenti e si misero di fronte alla cassa. Avrebbero scommesso anche mille euro che la cassiera si sarebbe rifiutata di pagare.
I miscredenti smisero di sorridere quando la signora con i capelli cotonati e gli occhiali da gatta che stava dietro lo sportello iniziò ad ammassare banconote di grosso taglio e a contarle.
Festeggiamenti
Quando tutti ebbero visto, toccato e detto “Armin è Grande” con totale convinzione, e saputo che avrebbero ricevuto uno stipendio annuo di un milione di euro per la loro eroica militanza (decennale) nella Polizia Alchemica, e bevuto e fumato abbastanza, Armin valutò che fossero pronti per la grande rivelazione.
Armin li guidò fino all’ascensore, scesero al piano terra, attraversarono la strada come un’orda di cosacchi ubriachi, sghignazzando e rischiando di essere tutti travolti da un triciclo a motore furgonato, entrarono nel portone del palazzo di fronte, salirono al quinto piano, Armin aprì una porta digitando un codice sopra una tastierina azzurra ed entrarono in un grandissimo salone pieno di computer ordinatamente allineati lungo file di tavoli. “Ho affittato tutto il piano. C’era un’agenzia di viaggi che è fallita. Ho tenuto le poltroncine, sono allegre, rosse e bianche. Qui ci sono 50 pc, con 1500 gigabyte di memoria ciascuno. Questo è il cuore del sistema. Ho altri 10 uffici come questo nel quartiere.”
Robian chiese: “Vuoi dire che questi computer ti fanno vincere alla roulette?”
Armin annuì solennemente.
Satanus domandò?: “Ma ci spieghi come cavolo funziona?”
Armin disse: “Molto in breve, negli ultimi 30 anni non mi sono dedicato solo ai bagordi e a leggere fantascienza. Non ve l’ho mai detto per evitare che mi pigliaste per il culo ma io ho sempre studiato matematica. Una branchia particolare della matematica: la statistica.
Oggi nel mondo ci sono più di diecimila roulette nei casinò online. È quindi possibile compiere un’impresa inimmaginabile solo 2 anni fa. Collegarsi con diecimila diversi IP, le identità dei computer, a diecimila casinò. E realizzare in tempo reale una statistica globale delle uscite: pari e dispari, rosso e nero.
Il problema di tutti i sistemi per vincere alla roulette è che si basano sui risultati di una sola roulette.
Un campione statisticamente insignificante. Ma se io osservo diecimila roulette contemporaneamente e nell’insieme si verifica un’uscita maggiore di rossi o di neri posso stare certo che seguirà una fase in cui usciranno più neri che rossi. E se gioco su diecimila tavoli contemporaneamente non posso fare altro che vincere.
Perché sui grandi numeri sono certo che le uscite del rosso e del nero saranno estremamente vicine al pareggio. Il mio sistema di computer inizia a puntare sul rosso solo quando la percentuale delle uscite globali rosse è sotto dell’1%. A quel punto posso essere certo che incasserò in ogni ciclo di puntate di tutti i miei computer, sul rosso, almeno lo 0,1% in più di quanto ho scommesso. Piccole vincite. Ma le hai ogni minuto. La cosa veramente difficile è stata mettere insieme i primi due milioni di euro per costruire tutto questo. Ho iniziato con un programmino che elaborava i dati di 250 roulette. Non riuscivo a vincere più di 5 mila euro alla settimana.”
Armin li guardò ben conscio che non avevano capito niente. Ma non aveva importanza. Conosceva quegli uomini e sapeva che erano in grado di fare cose che per lui erano impossibili. In una squadra che funziona ognuno eccelle nelle sue competenze.
Poi Armin decise che era il momento di raccontare la seconda parte della storia.
Scesero di nuovo in strada. Percorsero 600 metri, entrarono in un palazzo degli inizi del 1900, di quelli che riempiono le aree della città che non sono state distrutte dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Un palazzo austero con un grande portone di legno nero e vetrate liberty, floreali, sulla parete che divideva l’androne dal giardino interno. Salirono al quinto piano con l’ascensore in ferro battuto e cabina in legno di rovere.
Armin disse: “Adoro gli appartamenti al quinto piano, non so perché.” Digitò un altro codice sopra un altro tastierino azzurro al lato di un’altra porta. Entrarono in uno spazio luminosissimo, con i soffitti alti quattro metri e la moquette color senape. Ampie vetrate di cristallo antiproiettile a triplo strato riempito di gas isolante e tende di canapa color canapa.
Due impeccabili segretarie, uscite da una rivista per sole donne ricche, con addosso due tailleur di Armani, blu, li accolsero sorridenti: “Buon giorno dottor Pauletti!” Dissero in coro. Armin era il suo nome di battaglia. Se l’era guadagnato da ragazzo. Tutti strinsero le mani alle due donne dopodichè Armin e i suoi ospiti si accomodarono in una sala riunioni con ampie poltrone di pelle imbottita, di fronte a uno schermo al plasma composto da 20 televisori da 400 pollici. Le segretarie portarono da bere, da mangiare (formaggio parmigiano, mozzarelline di bufala, focaccia calda, olive e un buon Pelaverga. Morbius chiese: “Ma siamo sicuri che è tutto biologico?”).
Quando le segretarie se ne furono andate Armin schiacciò un telecomando. Era chiaro che si era preparato lo show nei minimi particolari. Scheletor pensò: “E’ un maniaco!”
Una lunga linea apparve nello schermo gigantesco. Un diagramma. La linea seghettata aumentava progressivamente la misura degli sbalzi.
Armin iniziò a spiegare il grafico: “Questa è la linea riassuntiva degli squilibri tra il numero totale di uscite nere e rosse delle ultime 8 settimane.
Come vedete sta aumentando la percentuale di uscite squilibrate.” Indicò con il raggio di una penna laser un picco della linea seghettata. “Qui le uscite rosse erano addirittura il 55,9% del totale. E questo squilibrio è durato per 3 cicli di uscite. Il massimo mai registrato in 80 settimane. In poche parole è come se il flusso dei numeri risentisse di una qualche perturbazione. Ed è indagando su questa questione che ho scoperto che ci avviciniamo a un punto critico della storia dell’Umanità. Se lo superiamo otterremo un grande salto di qualità. Se non ci riusciamo ripiomberemo in un’altra fase di guerre e fame. Dovremo ripercorrere ancora una volta tutto un ciclo di dolore. 64 anni di Miseria, Morte, Mistificazione.”
INDICE CAPITOLI
Capitolo 1 Ottima marmellata d’arance
Capitolo 2 Ragazze educate
Capitolo 3 Una situazione complessa
Capitolo 4 Agguati mentali
Capitolo 5 Eventi indecifrabili
Capitolo 6 La Fratellanza
Capitolo 7 Nera. Ma quanto nera?
Capitolo 8 Il tripudio della confusione
Capitolo 9 La Fortezza
Capitolo 10 Scatole dentro scatole dentro scatole
Capitolo 11 La Polizia Alchemica
Capitolo 12 Fisso il pensiero fisso
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Capitolo 14 clicca qui
Capitolo 15 clicca qui
Capitolo 16 Pinin
Capitolo 17 Fine
Commenti
a questo giro sono in ritardo
a questo giro sono in ritardo io :D
comunque diventa sempre più appassionante e intrigante :D