Ho provato a dirmi che prima o poi rompero' veramente con 'sto Centro Ghélawé, ma non riesco a stare zitto.
Qualche giorno fa un amico tutto nero mi raccontava dei burkinabe' immigrati in Italia: circa 8000 persone, i piu', e sono tanti, non sanno leggere e scrivere, ne' in francese, ne' tanto meno in italiano, e tuttavia, malgrado non abbiano affatto lavori qualificati, guadagnano molto piu' di quanto potrebbero sperare vivendo nel loro paese di origine. Cio' che mi ha colpito e' il fatto che molti passano la totalita' del loro tempo tra luogo di lavoro e abitazione, chiusi insomma alla realta' esterna.
"Se giri la domenica per strada" mi racconta l'amico a proposito della citta' dove lui vive "non ci sono burkinabe' in circolazione. Escono - mi dice - solo quando c'e' qualche evento legato all'Africa, qualche festa, un concerto, una cena a tema".
Ovvio che su questi argomenti e' troppo facile generalizzare: esistono numerose realta' di promozione sociale, che affrontano il problema dell'integrazione, per esempio attraverso corsi di alfabetizzazione (mitico quello in "bergamasco" per badanti che hanno a che fare con anziani); ma si tratta quasi sempre di piccole realta', di progetti sporadici spesso lasciati alla buona volonta' di associazioni di volontariato, e quando organizzate da enti pubblici sempre con la spada di Damocle delle continue riduzioni dei contributi statali.
Noi siamo sempre piu' convinti che anche guardando a questo tipo di problemi il progetto del Centro Ghélawé dimostri la sua validita' come possibile soluzione alternativa.
Non diciamo certo nulla di nuovo quando affermiamo che per ridurre l'immigrazione, legale o illegale che sia, non servono i muri alla Bush o i costosi accordi bilaterali per il controllo del fenomeno, che tanto piacevano a Berlusconi quando incontrava Gheddafi in Libia.
Per ridurre l'immigrazione bisogna creare delle possibilita' nei paesi di origine.
E cosa c'e' di meglio di un progetto di sviluppo dell'agricoltura in un paese, il Burkina Faso, in cui il 90% della popolazione lavora la terra o alleva animali, ma nonostante questo soffre la miseria? E' anche con quest'idea che e' nato il Centro Ghélawé, il motivo per cui stiamo appoggiando il progetto dei ragazzi burkinabe' per fare in modo che cessino le emigrazioni di massa, dei giovani soprattutto, che abbandonano i villaggi per cercare fortuna in citta' o all'estero.
Orti, alberi, colture da pascolo, animali: tutto in Burkina Faso puo' diventare, se opportunamente strutturato, fonte di guadagno per le comunita' locali. Credete che se un africano potesse vivere con dignita' nel suo villaggio, a contatto con la sua famiglia e le sue tradizioni, emigrerebbe in Italia?
L'Italia e' il sogno americano di molti africani, ma difficilmente si potra' incontrare un burkinabe' che qui abbia fatto fortuna. Proprio qualche giorno fa il Tg1 intervistava un gastroenterologo africano, laureato, che in Italia tira a campare con lavoretti saltuari (e sottopagati?).
Ora, in molti ci stanno aiutando a realizzare il nostro progetto in Burkina Faso e a loro va tutto il nostro ringraziamento. Oggi pero' sto pensando a un pubblico diverso e mi rivolgo a tutti coloro che sono contrari agli stranieri in Italia: cari signori della Lega, ad esempio, non volete piu' vedere negri per le strade della Padania?
Che aspettate?!? Promuovete progetti di cooperazione nei paesi poveri, progetti seri, fatti per durare (non il semplice pozzo scavato, inaugurato e abbandonato quando si rompe), fatti con gli africani e per gli africani (niente coltivazioni intensive di cotone chimico o rose rosse per te).
Calderoli, fa' una donazione al Centro Ghélawé!!!
www.centroghelawe.org
Simone Canova