In queste ultime settimane il tema del commercio equo e solidale e' tornato ad essere al centro di articoli e dibattiti, e questa volta anche con qualche spunto critico: ha aperto le danze un attacco di "Liberazione" contro l'importazione da parte di Coop dei fagiolini del Burkina Faso. Il quotidiano di Rifondazione Comunista attaccava Coop asserendo che le coltivazioni dei fagiolini da inviare in Italia prenderebbero il posto di coltivazioni autoctone e, in piu', il viaggio in aereo per portare i vegetali dal Burkina Faso in Europa sarebbe di alto impatto ambientale. Il dibattito e' stato ampio e la settimana scorsa il Venerdi' di Repubblica ha pubblicato un interessante articolo molto articolato sulla situazione del mercato equo e solidale.
Qualche numero: nato fra i protestanti mennoniti americani nel 1945, il commercio equo e solidale e' stato lanciato in Europa negli anni '60, con l'apertura del primo workshop in Olanda nel 1969.
Oggi costituisce un vero e proprio fenomeno di mercato, che sembra preoccupare l'economia capitalistica e le multinazionali. Non per niente aziende come Nestle' (che ha recentemente lanciato un caffe' equo) e come McDonald's stanno prendendo in considerazione questo settore e si stanno muovendo in questa direzione.
E che le cifre siano interessanti lo dimostra, ad esempio, il fatto che dal 2000 al 2005 in 25 paesi europei si e' registrato un aumento del volume di affari del commercio equo del 154%, con una presenza di quasi 80mila punti vendita, per un fatturato di circa 600 milioni di euro.
I prodotti costano ormai quanto quelli tradizionali e un coltivatore di caffe' che lavora per il commercio equo e solidale percepisce al kg circa 6 volte piu' di quello che prende un coltivatore che opera con le multinazionali.
All'interno della filiera produttiva e commerciale sono di fondamentale importanza gli organismi di certificazione che visitano periodicamente le cooperative nel Terzo mondo controllando che vengano sempre rispettate le principali regole del commercio equo: niente manodopera minorile, materiali ricavati il piu' possibile da fonti ecosostenibili, investimenti nell'istruzione e nell'assistenza sanitaria della comunita', stipendi minimi garantiti e pagamenti immediati degli ordini e non a 60-90 giorni come avviene solitamente.
Le vendite sono assicurate da vari circuiti di botteghe: dei quasi 80mila punti vendita ben 57mila sono supermercati della grande distribuzione, e tutti hanno il "valore aggiunto" dell'informazione che va a braccetto con la vendita.
In base ai sondaggi quel 30% di italiani che compra equo e solidale e' anche molto informato su questo mondo, conosce la storia del prodotto e la filosofia che anima il progetto.
Un po' di esperienza in questo settore, sia come CommercioEtico sia come diretti collaboratori con un'associazione in Burkina Faso, ce la siamo fatta anche noi; e siamo assolutamente convinti che, grandi parole e grandi numeri a parte, il commercio equo e solidale funziona perche' produce benessere sia a breve che a lungo termine.
L'esempio che portiamo e' quello dei batik di Bissiri' Sanou e dell'associazione Barathéry ("Abbiamo bisogno di lavorare") di Bobodiulasso.
Grazie alla collaborazione col Centro Ghélawé, Bissiri' ha potuto regolarizzare la sua associazione, e oggi emette regolari fatture; ha potuto acquistare nuovi pennelli, un tavolo e un motorino che gli permettono di produrre di piu' e di vendere in piu' zone della citta'. E con parte dei suoi ricavi nel 2005 ha potuto curare la malattia di cui soffriva la fidanzata.
Poiche' e' aumentata la richiesta, e' di conseguenza aumentata la produzione e Bissiri' ha potuto dare lavoro a piu' ragazzi: oggi l'associazione conta 15 membri, ha migliorato il processo produttivo (meno fatica e piu' precisione nei disegni) e ha stabilito un sistema equo di ripartizione dei profitti. I venditori, che sono gli stessi disegnatori, acquistano i batik dall'associazione e li rivendono ai turisti, creandosi un proprio margine di guadagno. Nel nostro caso i ricavi della vendita dei batik vanno a finanziare il Centro Ghélawé e li paghiamo quanto tutti gli altri.
Bissiri' offre ai ragazzi della sua associazione un tetto e un luogo sicuro dove stare e imparare qualcosa, da' loro consigli, evita che facciano cazzate o che diventino ladri, tossici, alcolizzati.
E' solo l'inizio, ma senza l'idea del commercio equo e solidale tutti questi cambiamenti non sarebbero stati possibili.
Forse il commercio equo non sara' la soluzione a tutti i problemi del mondo, ma e' almeno un sistema che non impoverisce. In alcuni paesi, come l'India, gli agricoltori si suicidano perche' non riescono a vendere i loro prodotti al giusto prezzo o perche' proprio non riescono a venderli, un caso su tutti e' quello dei coltivatori di cotone.
Per questo la polemica suscitata dall'articolo di Liberazione sui fagiolini del Burkina Faso ci appare ingiustificata, anzi incomprensibile: e allora preferiamo non esprimere giudizi, citiamo solo un antico detto africano, malgascio, che recita: "Hai un dente solo? Sorridi almeno con quello!"
Simone Canova
Commenti
Non è per far polemiche, ma i fagiolini...
...non sono sufficientemente buoni quelli di casa nostra?
Insomma, io capisco e sostengo dove posso con la mia spesa il progetto di sviluppo di una filiera commerciale dai paesi del cosiddetto terzo mondo che segua regole umane e favorisca lo sviluppo locale, ma ritengo che dovremmo sostenere i prodotti locali di entrambi i paesi, sia di partenza che di arrivo. A parte che dubito dell'autoctonicità del fagiolino in burkina faso, ma non essendo botanico non posso dirlo con certezza, perchè la COOP va a fare la figa in Burkina Faso e poi magari acquista a prezzi da grande distribuzione in Italia? Non so se ci avete fatto caso, ma i prodotti COOP sono abbastanza in linea con i prezzi che si possono trovare a un GS, per cui credo che la politica degli acquisti sia la medesima e non filantropica. Capisco quindi acquistare i Batik, capisco acquistare il caffè e il cotone, prodotti non proprio facili da ottenere da queste parti, ma alimentare con il commercio equo una stortura del nostro modo di commerciare e consumare per cui ci si sente autorizzati ad avere frutta e verdura fuori stagione sempre e comunque anche se arriva dall'altra parte dell'oceano mi sembra una cosa comunque discutibile senza mettere in discussione la positività del Commercio E&S.
Ciao, Alberto
"Adesso facciamo il gioco del contrario"
"Non mi tocchi!"
"Ecco, hai capito subito!"