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H2Oro - Perché l'acqua deve restare pubblica

H2Oro Perché l'acqua deve restare pubblicaCarissimi,
continua la nostra propaganda sul referendum per l'acqua pubblica. Anche questa settimana dedichiamo Cacao allo spettacolo/inchiesta “H2Oro - Perché l'acqua deve restare pubblica” di Ercole Ongaro e Fabrizio De Giovanni, portato in scena dalla compagnia Itineraria.
Dice Ongaro nella presentazione: “Quando H2Oro debuttò a Cologno Monzese, non avremmo mai immaginato che avrebbe superato le 300 repliche e che l'avremmo portato in quasi tutte le regioni d'Italia, nei più diversi spazi teatrali, suscitando spesso tra il pubblico animati dibattiti, contribuendo alla presa di coscienza dell'acqua come bene comune essenziale, stimolando l'interesse a l'assunzione di responsabilità rispetto alla sua gestione nei territori delle nostre province.”
Pubblichiamo per intero la prefazione di Dario Fo. Buona lettura!

 

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La visione che del cosmo ci diedero gli scienziati antichi, diremmo primordiali, sulla dimensione dell'universo è a dir poco minimale. Anche nelle prime pitture di duecento secoli avanti Cristo la Terra è collocata nel centro del disegno e un numero ristretto di astri gira intorno al nostro pianeta. Il Sole sta in disparte. Il suo compito è quello di illuminarci. Poi è successo che l'uomo al tempo di Galilei Galilei si inventò il primo cannocchiale e proprio Galileo fu un fanatico utilizzatore di questo strumento. E così, puntando gli occhi nell'universo all'istante gli apparvero centinaia, migliaia di nuove stelle che nessuno pensava esistessero. A questo punto qualcuno pensò: vuoi vedere che in quello sconfinato marasma ci si può trovare una gemella del nostro pianeta, con l'aria, gli animali e magari uomini simili a noi e gli alberi e il cielo e l'acqua?
Acqua! Per me questa parola ha un  grande significato. Poiché posso ben dire d'essere nato e cresciuto dentro e sull'acqua. Questo magico ambiente era determinato dal Lago Maggiore, che per i miei occhi a quel tempo era un universo intiero. Il lago non era solo una conca piena di liquido azzurro carico di riflessi argentei e proiezioni di montagne che si specchiavano sdraiandosi su quel piano liquido e pulito, ma era un ambiente vitalissimo, con pesci di centinaia di specie diverse, pesci che saltavano a banchi, e uccelli che davano loro la caccia gettandosi in evoluzioni stravolgenti, barche di pescatori e di contrabbandieri che scivolavano leggerissime tra le onde e noi ragazzini che ci si tuffava dalle rocce che sorgevano dai punti più fondi. L'acqua era proprio il nostro ambiente naturale. Ci si nuotava, si giocava inseguendo ragazzine che ridevano fingendo spavento e poi si immergevano fin sul fondo, sfidandoci a seguirle. Si beveva quell'acqua senza preoccuparci se fosse o meno pulita. Ma che dico pulita? Pura! Come appena sgorgata dalla fonte, che stava giusto lassù, in cima alle montagne. Allora non c'erano imbottigliatori d'acqua intorno al lago e nemmeno fra i bricchi delle valli. Le fonti cosiddette miracolose per la salute erano numerose e diverse da non crederci... C'erano acque leggermente amare e altre con un fondo quasi profumato, acque che guarivano malanni alla pelle e al ventre e poi “bagni” a mezza montagna, dove le donne che faticavano a restare gravide si immergevano e spesso riuscivano nel loro intento: di lì a poco il loro ventre si ingrossava.... Qualcuno andava dicendo che intorno a quelle valli c'erano giovani che aiutavano quel miracolo.
Nelle leggi dei Comuni lacustri c'erano regolamenti severi contro chi inquinava quell'acqua versando magari residui di tintoria o scarichi di fabbrica. Ho visto officine chiudere da un giorno all'altro su ordine del “mastro delle acque”, un evento che oggi sarebbe paradossale e assurdo soltanto a pensarlo. Mi fece grande impressione venire a sapere a scuola che noi esseri umani, così come gli animali, eravamo composti in gran parte d'acqua e altrettanto valeva per le piante e i fiori. Sulla Valtravaglia una doccia altissima d’acqua precipita da più di trecento metri a picco. Sotto, a poca distanza, c’è una chiesa romanica del 1000, si chiama Santa Maria dell’Acqua Chiara e sul transetto c’è scritto in un latino dialettale: “Sacra è l’acqua di questa fonte. Rispettala, tienila da conto, offrila a chi ha sete e benedici pure i nemici tuoi ma non trarre mai vantaggio da essa: è sacrilegio, poiché se ne trai profitto Dio si sente offeso”.