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LIBRI: Ho sognato una banca, di Fabio Salviato

Ho sognato una banca - LIBROCarissimi,
questa settimana vi presentiamo un libro che non abbiamo in catalogo, ma che potete agevolmente trovare in tutte le librerie. Si tratta di “Ho sognato una banca” di Fabio Salviato ed e' la storia della nascita e dello sviluppo di Banca Etica, di cui Salviato e' il fondatore. Come al solito ve ne anticipiamo un capitolo e cosi' potrete accorgervi della scrittura agile e pulita che racconta una storia straordinaria, un sogno che sembrava impossibile e che e' diventato realta' grazie alla tenacia di chi ci ha creduto.

Ho sognato una banca, Fabio Salviato, in collaborazione con Mauro Meggiolaro, prefazione di Ilvo Diamanti. Feltrinelli Editore

Capitolo 8. Quel giorno in via Nazionale 

L’avevo visto spesso camminando per la capitale, ma mai avrei pensato che un giorno ci avrei messo piede come “aspirante banchiere”. Palazzo Koch, in via Nazionale, sede della Banca d’Italia. Ci si va a piedi da Termini. Da lontano lo vedi, sembra un castello bianco, con i cancelli alti e le palme, come se fosse un’oasi serena in mezzo al traffico. Il primo incontro con i dirigenti di Bankitalia e' fissato per gli inizi del 1994. e' una riunione informale, per sondare il terreno. Le riforme del sistema bancario stanno mettendo in ginocchio le cooperative e i consorzi finanziari. Ctm-Mag, il nostro consorzio, non e' da meno. Le nuove normative ci chiedono di raccogliere sempre piu' capitale e impongono limiti severi per tutti gli operatori non strettamente bancari. Dobbiamo trovare una via d’uscita e dopo due anni di tentativi decidiamo di andare direttamente alla fonte, nel cuore del sistema bancario. Da chi scrive le leggi e magari, pensiamo, puo' darci una mano.
Ci aiuta a fissare il primo incontro Luigi Bobba, allora vice-presidente delle Acli, una delle piu' grandi associazioni italiane di promozione sociale, di ispirazione cristiana. Luigi e' un mediatore nato. Un tipo pacato, che sa ascoltare e ha un talento naturale per le relazioni. “Incontriamo il numero tre”, mi spiega al telefono. “Sono convinto che in qualche modo ci potra' aiutare”.

Un po' ingenuamente pensiamo che a Palazzo Koch abbiano una soluzione apposta per noi, un vestito tagliato su misura per salvare il nostro consorzio, i nostri progetti di finanziamento per il terzo settore. Ma dopo i convenevoli di rito capiamo subito che la situazione e' ben diversa. Ci accoglie il direttore centrale per la Vigilanza Creditizia. Un uomo di esperienza, sui sessant’anni. Vestito blu d’ordinanza, passo sicuro, e sguardo di chi non ha voglia di perdere tempo. Appena ci sediamo alla sua scrivania ci rivolge due domande dirette: “chi siete? Cosa posso fare per voi?”. “Siamo rappresentanti del terzo settore”, spiego, “decine di botteghe del commercio equo, associazioni, cooperative. Centinaia di soci, una rete che si allarga giorno dopo giorno”. “Ho capito”, ci risponde. “Ma chi c’e' dietro? C’e' qualche nome conosciuto?”. “Ci siamo noi delle Acli, poi c’e' l’Arci, la Lega delle Cooperative, Confcooperative, la Caritas”, risponde Luigi.
L’uomo della Banca annuisce. Caritas, Arci, Acli, chi non li conosce in Italia? Tutto il resto a Palazzo Koch non esiste, e' invisibile. Eppure e' soprattutto sull’invisibile, sui volontari del commercio equo che abbiamo costruito il consorzio. Ma come fare a spiegarlo?
Il funzionario ci squadra e ci incalza di domande. e' un po' sospettoso e non da' niente per scontato. Sembra uno di quei professori che partono dal presupposto che tu non abbia studiato. “Vedete”, ci spiega, “con la nuova normativa vogliamo fare piazza pulita di una serie di casi anomali”.
In quel periodo molte cooperative si erano messe a raccogliere e prestare soldi ai soci e in alcuni casi le conseguenze erano state disastrose. “Pensate che in una cooperativa una signora prelevava soldi per pagarsi i viaggi con l’amante. In un consorzio si sono messi a stampare addirittura assegni, manco fossero banchieri. Non possiamo andare avanti cosi'”.
e' vero, non si puo'. Ma noi siamo diversi. Abbiamo milioni di soci e clienti potenziali, il nostro scopo e' il bene comune, la creazione di posti di lavoro per dare energia alla parte buona della societa'. Ma chi ce la fa a spiegarlo alla Banca d’Italia?

Mi guardo intorno e vedo un grande vuoto, mi sento quasi in trappola. Capisco che questo incontro non ci portera' da nessuna parte. Nessun vestito su misura, nessuna scorciatoia per il nostro consorzio finanziario. La legge non fa sconti. 
Mentre Luigi spiega l’esperienza del consorzio, fisso le pareti, i quadri e mi passa davanti agli occhi tutta una storia di assemblee, manifestazioni, raccolte di capitale, intuizioni, rinunce, discussioni pesanti, successi insperati. Lo so cosa ci sta per dire il funzionario, me lo immagino adesso, ma non me l’aspettavo. Chi se lo sarebbe mai aspettato? E infatti, dopo che abbiamo finito di raccontare tutto nei minimi dettagli, la fatidica frase mi piomba addosso come una doccia gelata: “se volete continuare con la vostra attivita' dovete fondare una banca. Altrimenti vi conviene chiudere. Le cooperative finanziarie non hanno futuro”.
Luigi mi guarda negli occhi. Stiamo in silenzio. Fare una banca. Gia' mi immagino le reazioni dei soci del consorzio. “Un’altra banca? A che cosa serve? Ce ne sono gia' mille”. “La banca no, e' il simbolo del capitalismo. Piuttosto chiudiamo tutto. Vogliamo metterci anche noi dalla parte degli sfruttatori?”
Queste frasi mi rimbombano gia' in testa mentre cerco di pensare ad altro. Lo sguardo del funzionario non riesce a nascondere un pizzico di sadismo. “Questi non vanno da nessuna parte. Appena capiranno che cosa vuol dire veramente mettere in piedi una banca, molleranno l’osso e si rassegneranno”. Era facile riuscire a leggergli nel pensiero. Eravamo un’armata Brancaleone di sognatori, con migliaia di sedi scalcinate in tutti gli angoli del paese. Come avevamo potuto immaginare che Bankitalia ci desse credito?

A questo punto pero' bisognava prendere una decisione importante. E le alternative erano due: continuare ad essere testimonianza, coltivando una piccola riserva indiana di duri e puri? O provare a diventare soggetti del cambiamento, come banca in mezzo alle banche, cercando di mettere mano agli ingranaggi del sistema? Con queste domande in testa decido di convocare subito una riunione straordinaria dei soci.

L’appuntamento e' nel marzo del 1994 sulle colline della Valpolicella, poco fuori Verona, alla Ca' Verde, l'agriturismo biologico che e' stato forse il primo esempio di finanziamento etico in Italia.
Il luogo dell’incontro aveva quindi un forte significato simbolico e tra i partecipanti erano presenti anche gli iniziatori del progetto Mag. La memoria storica della finanza etica. Li' era nata la prima mutua auto gestione degli anni settanta. Poteva nascere una nuova banca? Solo i soci del consorzio potevano deciderlo. Davanti a loro un solo punto all’ordine del giorno per due giorni di discussioni. Piu' che una mozione, una domanda esistenziale, l’aut-aut stesso del nostro movimento: creiamo una banca e accettiamo nuove sfide o restiamo un consorzio e ci accontentiamo di quello che abbiamo fatto finora?

Ci troviamo un sabato mattina in stazione a Verona. Siamo una ventina. E ci siamo tutti: cooperative, Acli, Arci, botteghe del commercio equo, mutue auto gestione e, per la prima volta, il sindacato dei bancari Fiba-Cisl, rappresentato da Fabio Silva. Organizziamo quattro macchine e saliamo verso la montagna per una due giorni di discussioni. Dopo che ci siamo sistemati, decido che non e' il caso di fare tanti giri di parole e, come faccio spesso, lancio la bomba: “allora siete pronti a fondare una banca?”.
La discussione entra subito nel vivo. Gli esempi di banche alternative in Europa non mancano. In Germania ci sono gli steineriani della GLS-Bank, gli ecologisti di Oekobank, in Olanda c’e' la Triodos. Loro ce l’hanno fatta. Perche' noi non dovremmo riuscirci?

Decidiamo pero' di procedere per passi progressivi. L'idea e' di fondare prima di tutto un’Associazione Verso la Banca Etica con lo scopo di raccogliere il capitale necessario per costruire una banca nuova, interamente creata dal basso, senza grandi industriali, famiglie influenti o appoggi politici. La prima banca veramente “popolare”.

I soci di Ctm-Mag sono d’accordo: torniamo alla base, con una campagna di raccolta di capitale straordinaria, per un progetto unico in Italia. Lasciamo le colline della Valpolicella con un’energia che non avevo mai visto prima. Sembra che da qualche parte si sia rotta una maglia nella rete del sistema, un varco nel quale dobbiamo entrare al piu' presto. e' un’occasione che non possiamo permetterci di perdere. Le inchieste del pool di mani pulite hanno fatto piazza pulita di una classe politica corrotta e inefficiente. L’Italia sembra quella «nave senza nocchiero in gran tempesta» di cui scriveva Dante nella Divina Commedia. C’e' un vuoto di potere che sta per essere colmato da Silvio Berlusconi e dalle forze piu' conservatrici e retrograde della societa' italiana. Ma intanto c’e' la possibilita' di sperare. Ci sono degli spazi per l’agire sociale, per le idee innovative che oggi sarebbero inimmaginabili.

Alla fine degli anni novanta e nei primi anni del duemila, con il secondo governo Berlusconi, i varchi si sarebbero chiusi per molti anni, le maglie del sistema sarebbero tornate ad essere fitte ed impenetrabili, i movimenti sociali si sarebbero rintanati nelle loro nicchie, impotenti di fronte a un potere televisivo ed economico difficilissimo da scalfire. Oggi una banca etica come quella che abbiamo cominciato a costruire quindici anni fa sarebbe impossibile da concepire. Nel 1994 molti di noi l’avevano intuito. Dopo le elezioni di marzo, che avevano visto vincere a sorpresa Forza Italia, un partito costruito in meno di tre mesi, avevamo l'impressione che qualcosa stesse per cambiare in modo irrimediabile e non certo in meglio per il nostro paese. Se volevamo agire bisognava mettere da parte le invidie e gli egoismi e farlo subito. O mai piu'. C’era la sensazione che quel treno non lo dovevamo assolutamente perdere. 

Con la nuova Associazione Verso la Banca Etica, fondata nel dicembre del 1994, torniamo in Banca d’Italia. e' il primo incontro ufficiale dopo la riunione informale di febbraio. Passata la soglia di Palazzo Koch ci aspetta una triade di funzionari, incaricati di seguire il progetto “per la costruzione di una banca etica”. Uno staff che mese dopo mese ci mandera' osservazioni e richieste e ci fara' le pulci su ogni singolo documento contabile.
Nonostante l’ufficialita' della visita, l’accoglienza e' sempre la stessa. “Noi incontriamo tutti anche i delinquenti”, ci spiegano subito come premessa, abbozzando un sorriso. “Non sappiamo chi siete voi, potreste anche essere delle brave persone. Ma chi lo sa. E' sempre meglio non fidarsi all’inizio piuttosto che riparare i danni piu' tardi”.
Ci tengono mezza giornata. Guardano e riguardano i conti del consorzio. Ci fanno continuamente domande. E' un incontro tutto in salita: richiesta di informazioni, documenti, domande a raffica. A Palazzo Koch vogliono sapere tutto, ma soprattutto cercano di metterci in difficolta'. Come possiamo immaginare di creare una banca con centomila problemi se non riusciamo a rispondere a dieci domande prima ancora di creare il primo sportello? Il ragionamento di Bankitalia e' corretto, ma per noi tutte quelle domande hanno un che di indagatorio. Sembra che si stiano accanendo sulla nostra associazione, che stiano facendo le pulci solo ed esclusivamente a noi. In realta' si trattava di un metodo consolidato per testare la nostra preparazione.

Nei cinque anni successivi ho incontrato Banca d’Italia una decina di volte. Le sessioni di lavoro sono sempre state molto lunghe: dalle quattro alle sei ore, come un continuo esame di maturita', con domande sempre piu' difficili su temi che non avevamo pensato di portare come materia per l’interrogazione. Alla fine di ogni incontro seguivano nuove richieste, molto puntuali e l’arrivederci all’appuntamento successivo. Abbiamo risposto a decine di domande. Per noi, banchieri alle prime armi, e' stata come una scuola, una formazione permanente. E come in ogni scuola non mancano gli aneddoti o le interrogazioni che passano alla storia. Come in quell’incontro, all’inizio del 1995, in cui uno degli ispettori di Bankitalia mi guardo' fisso negli occhi e mi disse: “avanti, ora dovete uscire allo scoperto. Sapete che in Italia vale la legge delle tre “p”: padrino, padrone e partito. Chi sono le vostre tre “p”? A che partito fate riferimento? A quale gruppo industriale o politico? C’e' un personaggio a cui vi appoggiate? Dobbiamo dirvelo molto chiaramente: senza queste premesse e' molto dura entrare nel sistema bancario italiano. Noi vi possiamo aiutare, ma poi sara' difficile andare da qualsiasi parte senza le tre p”.

Noi non abbiamo mai avuto nessun padrone, a parte i nostri oltre 35.000 soci, non ci siamo appoggiati ai partiti, anche se spesso i partiti hanno cercato di usarci come bandiera, e non ci siamo serviti di padrini, ne' di illustri padri fondatori. Spesso ci hanno associati alla Chiesa, a qualche fronda della CEI o del Vaticano. Niente di piu' falso. Anzi, alla fine, nonostante il nome “etica”, abbiamo molti meno clienti religiosi di quanto ci si potrebbe immaginare. Certo, padri fondatori, dal punto di vista ideale ne abbiamo moltissimi. La lista e' lunga e abbraccia molti secoli: San Francesco, Raiffeisen, Don Guetti, Don Milani, Padre Alex Zanotelli, Alexander Langer, Rudolf Steiner, Tom Benettollo. Tutta gente che, nei salotti buoni, non ha mai contato niente.

Ci abbiamo messo almeno due anni per far capire a Bankitalia che le nostre tre “p” erano altre: pacifismo, perseveranza, partecipazione. Davanti agli occhi increduli degli ispettori stava nascendo un mondo, quello del terzo settore, che si preparava a diventare un soggetto autonomo, creatore di occupazione e di valore aggiunto. E noi eravamo pronti a creare una banca per questo nuovo soggetto economico, "terzo" rispetto allo stato e al mercato e riconducibile ne' all’uno ne all’altro. Un universo costituito da una serie di organizzazioni di natura privata volte pero' alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica, come le cooperative sociali, le associazioni di promozione sociale, le associazioni di volontariato, le Organizzazioni Non Governative, ecc..

All’inizio avevamo pensato di chiedere un'autorizzazione come Banca di Credito Cooperativo (BCC) perche', oltre ad avere una forma cooperativa, come molte delle realta' che avremmo dovuto finanziare, una BCC richiedeva un capitale sociale di 2,5 miliardi di lire (1,3 milioni di euro), contro i 12,5 miliardi (6,45 milioni di euro) richiesti per creare una Banca Popolare.
La differenza tra questi due tipi di banche e' semplice: una BCC, infatti, puo' operare solo a livello locale, in una citta', in un comune o in un gruppo di comuni vicini, mentre una Banca Popolare puo' aprire sportelli in tutto il territorio nazionale. Con Banca Etica volevamo essere attivi in tutte le regioni italiane, ma il traguardo dei 12,5 miliardi di euro ci sembrava impossibile. Avevamo quindi deciso di ripiegare sulla Banca di Credito Cooperativo, cercando pero' delle scorciatoie che ci permettessero di superare i limiti della presenza locale. Bankitalia ci aveva dato una mano a concepire una nuova forma di BCC, nazionale ma allo stesso tempo locale, presente in tutto il paese, pero' “a macchia di leopardo”, a livello territoriale, nelle zone in cui avremmo raccolto almeno 200 soci. Potevamo essere locali, pero' a livello nazionale, con un capitale ridotto. L’obiettivo dei 2,5 miliardi, pur se impegnativo, ci sembrava a portata di mano.

Ma nel 1997, proprio quando ci sembra di aver trovato la soluzione vincente, arriva una nuova doccia fredda: Banca d’Italia, dopo una serie di valutazioni, ci comunica che la strada della BCC non e' percorribile. Se vogliamo essere attivi a livello nazionale abbiamo solo due alternative: la Banca Popolare o la Societa' per Azioni. Entrambe richiedono un capitale sociale di 12,5 miliardi di lire. Per noi sembra essere la fine di tutte le speranze.

Tornato da Roma convoco immediatamente una riunione straordinaria della Cooperativa Verso la Banca Etica - che avevamo fondato nel giugno del 1995.
Alle Acli, all’Arci, a Fiba-Cisl e tutte le altre associazioni che si erano dimostrate pronte a costruire una Banca Etica cooperativa bisogna ora chiedere uno sforzo in piu'. Dobbiamo osare l'impossibile. E senza tornare alla base, ai milioni di associati del non profit italiano, 12,5 miliardi di lire rischiano di rimanere un traguardo impossibile.