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Vendersi l’anima

Le durissime avventure di Toni Barra, investigatore privato al servizio del sindacato metalmeccanici

Avevo portato a scuola la mia piccola Engels. Sulla portone la signora professoressa mi aveva lanciato la solita frecciatina. Questa volta più crudele del solito: “Signor Barra, ha visto che adesso si possono fare acquisti fino a 3.000 euro in contanti? Questo Renzi è proprio il bambino che si mangia i comunisti!”
La piccola Engels mi strinse forte la mano chiedendomi con quel gesto di non rispondere. La piccola ci teneva a mantenere rapporti civili con il corpo insegnante… Così rinunciai a chiedere alla professoressa checcazzo si comprava lei con 3.000 euro in contanti.

Mentre stavo al bar a sorbirmi lentamente il mio cappuccino con brioche, ancora caldo, e leggevo Il Fatto Quotidiano, un’ombra si proiettò sul tavolino. Alzai gli occhi e vidi i due operai più operai che c’erano: Sacco e Vanzetti, come al solito enormi: “A voi due non vi hanno ancora esodati?”
Sacco mi rispose: “Non è carino rigirare il coltello nella piaga… Lo sai che siamo in cassa integrazione…”
Non lo sapevo. Sacco continuò: “Il Capo ti vuole. Finisci il cappuccino e andiamo”.
Il fatto che mi lasciassero terminare la colazione mi stupì. Forse si stavano rammollendo anche loro…

Venti minuti più tardi scendevo dalla loro Skoda pre caduta del Muro di Berlino che faceva ancora finta di funzionare.
I corridoi della sede del Sindacato erano semi deserti. Entrai nell’anticamera dell’ufficio del Capo e lo sentii che recitava una litania di bestemmie sottovoce. Non era da lui non urlare.
“Sono qui Capo. In cosa posso esserti utile?”
“Ciao Toni, siediti, la situazione sta sprofondando e io mi sento una merda, ho bisogno che mi aiuti…” Lo guardai. Andò avanti: “Vorrei proprio sapere dov’è finita tutta la coscienza di classe, tutta la voglia di lottare… Ti ricordi Bomba? Un vero compagno, uno d’acciaio, capace di affrontare da solo l’intero battaglione Padova. Adesso passa la giornata a fare il videopoker. E Lupo? Quel bastardo non c’era modo di fermarlo, picchetti, cortei, assemblee di fabbrica. Adesso è depresso, si imbottisce di pasticche e non esce più di casa. È un’epidemia, Toni, checcazzo sta succedendo al Movimento Operaio? Va beh che c’è la crisi ma li abbiamo già visti i tempi duri, abbiamo stretto i ranghi e siamo andati avanti. Ma adesso c’è qualche cos’altro! Dobbiamo sapere COSA sta abbattendo il morale del Movimento, Toni! Sospetto che ci sia dietro qualche cosa. Cerca di scoprirlo.”

Mi venne da dirgli che non gli serviva un investigatore privato ma uno psicanalista. Ma stetti zitto. Il Capo era talmente avvilito che rischiavo si mettesse a piangere. Non l’avevo mai visto così.
Sacco e Vanzetti mi riaccompagnarono sotto casa dove avevo parcheggiato la 2 Cavalli rossa. Anche io giravo con un relitto.

Mi fermai alla pizzeria di Lorenzo, detto Il Camorrista. In realtà era un bravissimo compagno ma visto che aveva passato anni a denunciare la camorra in Lombardia, quando lo prendevano per pazzo, alla fine si era guadagnato quel soprannome. Avevo intenzione di cominciare la mia indagine parlando con lui, i ristoratori sono sempre ben informati.
Avevo appena fatto colazione ma visto che il forno era già fiammeggiante decisi di farmi anche una margherita.
Lui mi disse: “Ho un peperoncino calabrese che ricorda la rivolta dei Boxer! Ce lo vuoi sopra?”
Ce lo volli. Mentre mi ustionavo la bocca ripensai alla rivolta dei Boxer. Certi fatti erano finiti nei cassetti dell’amnesia della storia… Ormai non c’era più nessun partito Comunista che facesse scuola quadri per i giovani…”
Come se Lorenzo Il Camorrista potesse leggermi nel pensiero mi disse: “Quanto ci vorrà perché nessuno si ricordi più di tutte le grandi battaglie? Vai in giro a chiedere chi erano i Fratelli Cervi! Ti rispondono che è un complesso di liscio!”
“Senti Camorrista, ma te l’hai capito perché c’è tutta questa aria di resa in giro?”
“È finita un’epoca. Oggi c’è Twitter, il Califfato Islamico è il nemico pubblico, i comunisti sono superati come le macchine da scrivere… Non fanno più paura a nessuno. Comunque se vuoi indagare la psiche depressiva del Movimento posso consigliarti una psicologa olistica.”
“Olistica?”
“Sì è tutta soja e gioia e ha in cura metà del consiglio di fabbrica dell’Alfa Romeo di Arese”.
“Ma la fabbrica non esiste più da anni!”
“Appunto!”

Due ore dopo entravo nello studio di Nadia Perrotti, le pareti erano ricoperte di poster yin e yang e foto delle piramidi di Keope.
Lei mi accolse con addosso un kimono azzurro.
“Mi hanno detto che tra i suoi pazienti ci sono alcuni comunisti depressi… Volevo sapere se lei ha idea di quel che sta succedendo… Tutta questa tristezza… Sa dirmi perché il Movimento Operaio è alla frutta?”
Lei mi guardò intensamente: “È la fine di un sogno… Questo è il problema. Per troppi anni avete continuato a lottare convinti che prima o poi il mondo sarebbe cambiato. Adesso vi trovate da una parte Renzi e dall’altra Grillo. E nessuno dei due sventola la bandiera rossa. Qualunque cosa succeda è chiaro che non ci sarà il socialismo, non arriverà mai il potere dei soviet…
Il comunismo è stata un’ideologia totalizzante, avevate il vostro linguaggio, i vostri eroi, i vostri riti, i vostri racconti per le notti di tempesta… Ora la storia vi ha traditi, non avete più nulla a cui aggrapparvi, siete politicamente irrilevanti, siete come spettri di un lontano passato, reduci di una guerra della quale si è persa la memoria…”
Mi parlò a lungo. Ma non sentivo le sue parole. Solo mi chiedevo se era vero che tutto era finito, che non saremmo più stati noi a cambiare il mondo.

Me ne andai di lì e inizia a girare per la città. Avevamo perso la nostra rivoluzione? Passai per Corso Garibaldi, dove avevamo sporcato col nostro sangue l’asfalto l’11 marzo del ’71, via Festa del Perdono, Corso Magenta 7 dicembre 77, via Tibaldi, la Bicocca… Andai a vedere cosa era restato dell’Om, della Face, della Siemens, guardai i palazzi che avevamo occupato con i senza casa e mi chiesi chi ci abitasse adesso.
In questi giorni il sole tramonta presto e alle 6 c’era una nebbia che si tagliava col coltello. Ero in zona Calvairate, passai di fronte a quella che era stata la sede dell’eroico comitato di quartiere Bandiera Rossa, non c’era più niente.
Sullo stradone della circonvallazione esterna dovetti inchiodare, per un pelo non tirai sotto una ragazza. Abbassai il finestrino: “Tutto bene?” Le chiesi.
“Sì, colpa mia, ti stavo quasi finendo sotto… Ma me lo daresti un passaggio, compagno?”
Mi stupì che mi chiamasse compagno… Non ce l’avevo mica scritto in fronte. Le feci cenno di salire e quando aprì la portiera ed entrò vidi che aveva i capelli rossi e indossava uno di quegli eskimi che andavano di moda tanti anni fa… Aveva un fascio di volantini. Era agitata: “Sono in ritardo, devo assolutamente portare questi volantini, sono per la mobilitazione di domani! Dobbiamo fermare questo piano dei padroni per far pagare la loro crisi agli operai… Tu verrai, compagno?”
“Sì, certo.” Risposi io… Non sapevo neanche che ci fosse una mobilitazione.
“Io sono del Bandiera Rossa del Calvairate, mi chiamo Luisa”.
“Ma il Bandiera Rossa non esiste più da anni…”
“Che sciocchezza!” Rispose lei. Come fa a non esistere il Bandiera Rossa del Calvairate?!? Se ti dico che ne faccio parte è perché esiste!”
Il discorso non faceva una piega.
Lei continuò: “Tanti compagni non ci sono più, alcuni sono morti, altri hanno rinunciato, ma ora ci sono parecchi giovani che vengono alle riunioni, si stanno facendo progetti, abbiamo anche aperto una biblioteca autogestita…”
Aveva gli occhi che le brillavano e qualche cosa di affascinante nella voce.
Poi lei disse di scatto: “Ecco, ferma qui sono arrivata! Grazie compagno, ciao!” Saltò giù dalla macchina. Io la guardai. Poi mi resi conto che aveva dimenticato i volantini sul sedile. Li afferrai e scesi dalla macchina per darglieli. Ma era sparita nella nebbia. Gridai: “Compagna! I volantini!” Niente. Si era vaporizzata.
E allora mi ricordai di lei. Ne avevo sentito parlare almeno 10 anni fa. La ragazza coi volantini che fermava le macchine dei compagni nelle notti di nebbia, parlava della rivoluzione e poi scompariva in un istante. Qualcuno credeva che fosse uno spettro comunista… E mi ricordai che anch’io una volta l’avevo incontrata… E anche quella volta mi aveva lasciato i suoi volantini… Chissà come mai mentre era sulla mia auto non ero riuscito a riconoscerla... Ero stao così tanto affascinato da lei che la mia memoria si era disconnessa.
Risalii in auto, alla luce della lampadina interna guardai i volantini che avevo in mano.
C’era scritto: “Ci sono momenti nei quali ti sembra che non ci sia più nessuna possibilità di far vivere i tuoi sogni. Sono i momenti nei quali ti è più indispensabile sognare. La grande sfida che devi affrontare nella tua vita è tra i tuoi sogni e la loro realtà. Se smetti di sognare diventi come loro.
Perché c’è una sola cosa che ci differenzia da loro: noi abbiamo i sogni.”

Nota
La ragazza dei volantini incontra Toni Barra in un racconto di 11 anni fa: Gli spettri non bevono caffè