Diario dal Burkina Faso di Simone Canova COMPLETO
Inviato da Cacao Quotidiano il Ven, 02/23/2007 - 16:09scorri il pezzo fino in fondo per leggere l'ultima puntata
Giovedi' 07 dicembre 2006
Arrivo a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso e sede dell'unico aeroporto internazionale del Paese.
Ore 23:25 - Siamo arrivati, e per fortuna: gli ultimi due atterraggi (scalo a Niamey, in Niger e arrivo a Ouagadougou) sono stati "particolari" per usare un eufemismo.
Il pilota deve aver pensato che sarebbe stato divertente per i passeggeri atterrare appoggiando a terra prima il carrello di destra e poi, con più calma, quello di sinistra.
Inizia così, col culo già stretto, questa nostra terza avventura in Burkina Faso. Recentemente riconfermatosi uno dei 4 paesi più poveri del mondo, per i prossimi 23 giorni sarà la nostra casa. Qui sorgerà il Centro Ghélawé, il nostro progetto di cooperazione per insegnare loro come vivere meglio con agricoltura e allevamento e imparare da loro come essere delle persone migliori.
Questo diario vorrebbe avere la pretesa di spiegare cosa vuol dire nascere, sopravvivere, crescere e lavorare in questo paese.
Dormiamo a casa di parenti di Jeanrenè, un agricoltore di Diébougou che ci sta aiutando nella realizzazione del progetto. L'abitazione è dotata di corrente elettrica, come molte case nella capitale, due bagni con water e addirittura lo scarico, funzionante!
Tiri la cordicella e scende l'acqua. Sembra la prima volta che ne vedo uno!
Siamo qui per spiegare ai burkinabè, tra le altre cose, anche come ricostruire un bagno, igienicamente sostenibile, che non abbia bisogno dello scarico d'acqua, ma che sia comunque pulito e confortevole. Adesso scusate, ho un rendez-vous...
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Venerdì 08 dicembre 2006
Sono stato svegliato da alcuni rumori, fuori c'era già un po' di luce, e tendendo le orecchie ho sentito che le ragazze di casa stavano iniziando a fare le pulizie. Mi sono alzato, sono ritornato in bagno (un'altra volta, è che c'è lo scarico, non resisto!) e ho acceso la prima delle 400 Camel che mi sono portato dall'Italia. Stranamente tutti i miei compagni di viaggio dormivano ancora, così ho guardato l'orologio: erano le 5:15.
Torna a letto Canova!
Qualche ora più tardi, partenza in macchina per la città di Bobodiulasso, 350 km più a est, dove dobbiamo fare acquisti che poi al villaggio non potremmo più fare.
Ci sono solo due rischi: rompere la macchina o bucare.
Ore 10:19 - Abbiamo bucato. Per arrivare mancano ancora più di 200 km, ma siccome non devo portare sfiga, non dico a nessuno che sarebbe meglio non bucare più.
Siamo a Bobo e la prima tappa è a casa di Bissiri (si legge Bissiri', alla francese). Per chi ancora non lo conoscesse, con Bissiri, da due anni, cioè da quando abbiamo iniziato a lavorare in Burkina Faso, collaboriamo per la realizzazione, più etica possibile, dei batik tradizionali.
Qui molti fanno batik, ma è difficile trovarne di belli e disegnati completamente a mano.
I batik burkinabè che appaiono perfetti, senza sbavature e con sopra poca cera, sono fatti con la tecnica del tampone e non disegnati e colorati a mano libera. Bissirì invece fa batik veri, che richiedono più giorni di lavoro, a volte pesante, e che a modo loro raccontano del suo paese e delle sue tradizioni.
Bissirì è un burkinabè come pochi, disponibile, conosciuto e rispettato. E' parte della nostra associazione e chiede a tutti che rispettino anche noi, senza fregarci sui soldi o sulla qualità del materiale che compriamo. Oggi dobbiamo acquistare un generatore di corrente a benzina, ci servono degli alberi e un posto dove dormire. Bissirì conosce qualcuno che conosce qualcuno che può aiutarci.
Finiremo per acquistare un generatore Yamaha Eco-Birla.
Sulla figura di Bissiri, 25 anni, devo spendere qualche parola in più. Da circa 8 anni tramite un'associazione di cui è fondatore, Bissiri crea batik e bogolan. Fino a l'anno scorso l'associazione si chiamava Sitala, che più o meno significa "siamo tutti uguali, abbiamo tutti lo stesso sangue".
Oggi si chiama invece Associasion Barathéry, che in lingua bobo significa "abbiamo bisogno di lavorare". Beata franchezza...
Bissiri e i suoi 15 collaboratori, tutte ragazze e ragazzi tra i 16 e i 24 anni di età, arrivano a produrre circa un migliaio di batik all'anno, che vengono venduti ai turisti (nei pochi mesi in cui ne girano per la città) ed esportati all'estero (cioè quelli che porteremo via noi!).
Lavorano a comanda, cioè solo nei periodi in cui c'è da fare.
Gli chiediamo se questo basta per vivere dignitosamente tutto l'anno e Bissiri abbassa la testa. "Ce n'est pas sufisant", non è sufficiente. Per vivere bene dovrebbero arrivare a produrre e venderne almeno il doppio.
Dico a Bissiri che noi facciamo il possibile e che speriamo un giorno di potergli garantire più ordini. Una frase tipica di chi arriva lì con tanti buoni propositi, e che non vorrei aver detto. Ma Bissiri questo lo sa già e ringrazia.
Quando siamo arrivati ci ha offerto un piatto di insalata. Era abbondante, condita, c'erano anche le cipolle e un pezzo di pane. Bissirì ha offerto ai suoi ospiti un piatto molto ricco per il Burkina Faso. Ogni pasto importante si apre con una bella insalata.
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Sabato 9 e domenica 10 dicembre 2006
Benvenuti al Centro Ghélawé. Era tanto che volevo dirlo. Supponiamo che domani decidiate di venire in Burkina Faso, provincia della Bougouriba, villaggio di Loto. Se chiedete del Centro Ghélawé, o di Dario, vi indicheranno una direzione e avvicinandovi potrete vedere il pozzo, una casa-capanna, un magazzino in via di completamento, tre alberi già degni di essere chiamati con questo nome, un enorme buco scavato a mano e l'inizio di una struttura che dicono essere una toilette.
E' il Centro Ghélawé, esiste veramente!
Vi abitano alcune persone, tra cui un italiano molto abbronzato che non vuole più tornare a casa.
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Lunedì 11 dicembre 2006
Festa dell'indipendenza burkinabè dalla Francia (11 dicembre 1958).
Dovevamo fotografare il gruppo di bambini a cui stiamo finanziando gli studi, ma oggi non si va a scuola.
La giornata è stata buona, abbiamo costruito, grazie alla collaborazione tecnica del nostro bio-architetto Giuseppe Palanga, una compostiera e abbiamo fatto un po' di pulizie in giro.
Ma il fatto più importante è che da oggi il Centro Ghélawé ha dei dipendenti, addetti ai lavori.
Mi spiego: il nostro precedente tentativo di lavorare con i ragazzi del villaggio prestando tutti, noi compresi, opera volontaria, è stato un fallimento totale e nessuno si presentava a lavorare.
Per non dover bloccare i lavori, soprattutto nei periodi in cui nessun volontario del Centro è qui di persona, abbiamo deciso di "assumere", stipendiando regolarmente e per tutto l'anno, tre dei ragazzi, più una ragazza, che in questi mesi sono stati con Dario e hanno lavorato con lui.
Tutti percepiscono la medesima paga giornaliera, mentre abbiamo deciso speciali benefit per chi ha famiglia. Samì e Siè hanno 18 anni, Theremì 14, mentre Issà tiene famiglia e da poco è pure diventato papà di un bambino. Gli abbiamo già dato i soldi per ricostruire il tetto della sua abitazione, andato a fuoco per una non meglio identificata questione sociale interna, non alla sua famiglia, ma interna al Burkina Faso. Non abbiamo chiesto a nessuno dei ragazzi l'etnia di appartenenza, loro non ce l'hanno detta, non interessa a nessuno.
All'appello manca un altro ragazzo, Gabriel, che ci raggiungerà speriamo domani. Fra tutti è il più bravo, l'unico in grado di costruire una casa, seguire e curare i lavori. Nonostante abbia maggiori capacità degli altri, gli offriremo la stessa paga. Accetterà?
Domani inizia un giorno diverso, vediamo come andrà... Fumo l'ultima e notte...
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Mercoledì 13 dicembre 2006
Mercoledì, domani è una settimana che siamo qui.
Per la cronaca questa missione di dicembre del Centro Ghélawé è composta, oltre che dal sottoscritto, da Giuseppe, Carlo, agronomo forestale e Dario, che è in Burkina Faso, per conto del Centro, da ottobre.
Carlo si sta occupando di piantare gli alberi, finora abbiamo delimitato la zona dove sorgerà il mangheto (30 piante), abbiamo dato compito a un artigiano del villaggio di costruire una recinzione, col nostro aiuto ovviamente, e Sami e Issa si stanno occupando di fare le buche.
Questi due ragazzi, inizio a conoscerli in questi giorni, sono incredibili: fanno 4, 5 buche al giorno, io da solo ci metterei tutto il mese per farne un paio. Qui la terra, oltre a essere bassa è anche dura, anche se è in inverno siamo nel pieno della stagione secca.
Si vede la desertificazione avanzare. I piccoli fiumiciattoli che si riempiono nella stagione delle piogge sono già in via di secca e il verde delle piante sta già lasciando il posto al giallo.
E siamo solo a gennaio, il periodo più duro sarà ad aprile, quando qui si arriverà a 45-47 gradi tutti i giorni.
Dicevo che procedono i lavori per gli alberi (adoro questa iniziativa!), mentre Peppino continua la costruzione della toilette a secco. Abbiamo un punto cacca a circa 2 metri di altezza. Il box in mattoni che dovrà contenere il materiale organico di scarto, che diventerà poi compost, non ha nulla da invidiare a un monolocale.
Sulla terrazza, in legno e terra battuta, ci saranno il wc, un posto, non ancora ben definito, in cui lavarsi e una parte doccia, con acqua riscaldata da fonte energetica rinnovabile, un bidone di ferro riempito d'acqua e lasciato sotto il sole tutto il giorno. All'imbrunire l'acqua è a 40-50 gradi!
Farsi la doccia vuol dire riempirsi un secchio e tirarsi addosso dell'acqua. Riesco a lavarmi con tre quarti di un secchio, questo sì che è risparmio idrico!
Altra novità è la compostiera, ribatezzata "compostiere", parola francese che probabilmente non esiste, ma tutti hanno annuito quando l'ho usata.
I ragazzi, a cui abbiamo chiesto di differenziare i rifiuti tra carta, plastica e varie, cominciano a utilizzarla.
I barattoli di alluminio invece non costituiscono rifiuto.
Se non vengono utilizzati come contenitori per altre cose (Giuseppe sta setacciando della terra di colore diverso per fare le tinture), diventano giocattoli per i bambini.
Ho visto un ragazzino leccarsi una scatoletta di tonno per tutto il pomeriggio... e poi portarsela casa.
Per il resto, come direbbero qui, va un po', e per gli standard vuol dire che va tutto bene.
Abbiamo qualche problema con il cibo, cioè Dario ha organizzato tutto, ma ciò che offre il mercato locale è proprio poco: pomodori, cipolle e papaie insapore.
Oggi, giorno di mercato al villaggio, non abbiamo trovato né peperoni né melanzane, nonostante sia stagione per entrambi.
Molto probabilmente la stagione delle piogge non è stata abbondante come si spera ogni anno e di conseguenza i raccolti sono scarsi.
Pomodori, cipolle e papaie. Stasera ci siamo finiti anche quello che doveva essere il nostro pranzo di Natale.
Siamo rimasti anche senza gas nella bombola, e a Diebougou non c'è gas. Non c'è gas? Non c'è gas. Domani? Forse...
Dal punto di vista alimentare siamo un po' così, domani forse... Domani intanto ci affidiamo a Theremy, che prepara il riso con la salsa, cioè pomodori.
Almeno i ragazzi mangiano, loro mangiano tutto, e finché ce n'è...
Inizio a comprendere l'uso smodato del chapalò, la loro birra di miglio.
I muratori che stanno terminando la costruzione del primo magazzino, a pranzo pasteggiano a chapalò e basta.
La birra fermenta nello stomaco dando senso di sazietà.
Accidenti mi è venuta fame... è ora di calare i materassi è dormire.
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SECONDA PUNTATA
Giovedì 14 dicembre 2006
Ore 21:19, ma non chiedetemi secondo quale fuso orario.
Sottofondo musicale: Extraterrestre, Eugenio Finardi
Extraterrestre portami via, anche oggi è stata una durissima giornata di lavoro e comincio a sentirmi molto burkinabè, come si dice da queste parti "il lavoro mi appartiene".
Sami, Sie, Issa (35 anni ma non sa in che anno di preciso è nato), Gabriel (37) e Theremy (14 anni, ma neanche in questo caso ne siamo certi, di sicuro non è più una bambina) sono infaticabili, scavano, spostano mattoni, costruiscono, ramazzano, cacciano la cena (quasi letteralmente) e fanno sempre tutto sorridendo.
Se chiedi: "Ça va (come va)?", per loro Ça va sempre bene.
Io invece sono un po' STANCHINO!
Tutte le mattine alzataccia poco dopo l'alba, da un paio di giorni veniamo svegliati da un ragazzino che in bicicletta ci porta il pane. Viene prestissimo perché siamo i primi del giro e se gli va bene gli compriamo tutto il pane in un colpo solo. Se gli va bene ci scappa anche un bicchiere di tè e colazione è fatta.
Dalla sveglia in poi è tutto un lavoro, preparare la colazione (tè e pane con miele o marmellata), addirittura lavarsi i denti necessita di preparazione e a volte di riflessione. Durante il giorno lavoriamo al Centro ed è tutto un spostare terra, impastarla, impilare mattoni... non è vita, lasciatemelo dire, lavoriamo come neri!
Da due giorni mi occupo di "crepissage", intonaco esterno, del primo magazzino.
In pratica si impasta terra argillosa e acqua e il tutto si spalma, con le mani, sui muri. Per fare un lavoro accurato bisogna avere forza e grazia contemporaneamente e sacrificare le mani. In mezzo alla terra ci sono infatti sassi, che devi togliere dal crepissage, che senti solo quando ti si conficcano nei palmi. Con Carlo abbiamo fondato il Sindacato delle mani lazzariate e non è detto che nei prossimi giorni non organizziamo uno sciopero.
La sera, prima di chiudere il cantiere, ci dedichiamo anche alla costruzione di una terrazza con muretto a secco. Ordine, pulizia e rifiuti differenziati (in francese la spazzatura si chiama "pubel") sono diventate le parole d'ordine. Ogni sera rimettiamo tutti gli attrezzi a posto e presto potremo mangiare sulla terrazza.
Ore 22:00: visita di "stranieri".
Emiliano, un amico di Dario, è in giro con altri amici italiani per un "tour du Faso" in macchina. La macchina si è rotta proprio al nostro villaggio e quindi alla fine ragazze e ragazzi dormiranno al Centro. Dato che non c'è posto e nella seconda casa abbiamo appena fatto fare il battuto di acqua e merda per il pavimento, ragazze e ragazzi dormiranno all'aperto, sdraiati sopra uno dei pezzi del tetto della casa di Issà.
Fa strano avere ospiti, per di più "stranieri", e infatti i ragazzi burkinabè sono spariti.
Tante chiacchiere e 20 euro di donazione per il Centro estorte a una ragazza; si è fatto tardissimo e il generatore Birla inizia a perdere qualche giro. E' finalmente ora di andare a letto.
Anìsogoma, a domani (è djoula!)
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Venerdì 15 dicembre 2006
Finalmente questa mattina Abdoul, dell'Associazione ACEJSO di Diébougou, ci ha accompagnati alla scuola per conoscere i bambini a cui abbiamo finanziato l'istruzione. Qualche numero: il villaggio di Loto, 4.000 abitanti, circa 2.000 bambini, ha una sola scuola, con 136 alunni, suddivisi in 3 classi. Tre maestri, due uomini e una ragazza, uno degli insegnanti è anche preside, vicepreside, magazziniere.
C'è una classe con 63 alunni, dove ci sono anche 23 dei 26 bambini del Centro Ghélawé, un'altra classe da 46 e una terza da 28.
La prima cosa che ci hanno spiegato è che ci sono problemi di spazio (ma va?!?), tanto che tre dei bambini del Centro sono in un'altra scuola, a qualche km dal villaggio.
Detto questo, il preside ci ha presentati a tutti gli studenti, invitandoli a salutarci.
I bambini non solo hanno salutato, ma hanno anche ringraziato e... alzato in aria le cartelle. Concedetemi un pizzico di poesia... è stata un po' alla "Oh Capitano, mio Capitano..."
Abbiamo chiesto quanti sono, in tutto il villaggio, i bambini che non vanno a scuola. "Troppi", ci ha risposto il delegato comunale che ci accompagnava.
Troppi, troppi.
Per mandarli a scuola tutti ci vorrebbero 10/15mila euro, più la costruzione di almeno un'altra scuola, diciamo altri 5 mila euro. 20 mila euro in tutto.
Un gruppo come quello degli iscritti a Cacao, ad esempio, potrebbe cambiare le sorti di questo villaggio versando un solo euro a testa! Sì, lo so, non devo fare questo tipo di conti ma è più forte di me...
Durante la ricreazione i due maestri sono venuti a trovarci al cantiere, indovinate un po' dove si sono fermati di più? Ma sul bagno a secco ovviamente, che a questo punto, posso asserire, diventerà il nostro cavallo di battaglia.
Quello che stiamo edificando ora è la versione bagno-doccia condominiale in mattoni, ma se ne può realizzare, e lo stiamo già facendo, una versione più semplice fatta in legno e terra.
Il funzionamento di una toilette a secco è semplicissimo e geniale. Invece di fare un buco a terra come usano qui, che un giorno o l'altro si riempirà, si fa una struttura rialzata, con un buco. Dalla seduta, la cacca cade in una compostiera, a cui ogni tanto va aggiunta un po' di terra e fogliame. Ciclicamente, quando il compost è pronto, si svuota. E' proprio quello che si dice uno sporco lavoro, ma qualcuno lo dovrà fare. Qui il compostaggio non esiste, mentre la sua resa in agricoltura è straordinaria.
Nella zona bagno, vicino alla seduta, ci sarà un bidet tradizionale burkinabè, per lavarsi. Nel bagno a secco non si usa carta igienica. Quando si ha finito, basta spostarsi di lato e lavarsi con dell'acqua. In questo caso l'acqua viene dispersa, mentre l'acqua della parte doccia verrà recuperata, purificata dal sapone con una micro fitodepurazione, e riutilizzata nei campi.
Tutta la costruzione, che non ha un chiodo né una briciola di cemento, sta in piedi, ed è ovviamente opera di Giuseppe, che ogni giorno dimostra sempre più la sua straordinaria competenza. Al bagno ha lavorato anche e soprattutto Gabriel, che però mantiene ancora un'aria perplessa.
Chicca di cultura locale: per andare alla scuola si passa davanti alla moschea del villaggio. Non si può, e dico "non si può", passare di lì senza fermarsi a salutare l'Imam. Andata e ritorno.
Inizio ad apprezzare tutti questi rituali, come il fatto di salutarsi tutte le mattine stringendosi le mani, chiedendo notizie sulla salute e su come si ha dormito.
Camminando verso la scuola Abdoul mi ha preso per mano. Ho sentito un piacevole brivido sulla schiena perché è segno di amicizia e ne sono onorato.
Nel pomeriggio, indovinate un po', abbiamo lavorato, prendi la terra, impasta con acqua, metti il mattone, riempi di terra, prendi la terra... e costruisci.
Di giorno in giorno si vedono piccoli cambiamenti, il bagno cresce (letteralmente!), il primo magazzino va terminando e la terrazza a secco che stiamo creando con i rimasugli di uno scavo, dentro cui prossimamente sorgerà un magazzino a due piani, diventa sempre più grande.
Capisco perché mio padre e mio nonno prima di lui, amino e abbiano amato lavorare a contatto con culture diverse. Che siano indiani, arabi o africani, costruire qualcosa con loro, vederli creare, è straordinario. Lavoriamo a stretto contatto usando solo i loro materiali (qui, al Centro, non si usa cemento!). Questo facilita di molto le cose, li mette a loro agio rendendoli partecipi della costruzione.
Ieri Issa, di sua iniziativa, ha intonacato gli scalini per accedere al magazzino.
Questa mattina ho visto Theremy svuotare la spazzatura dell'organico nella compostiera. Piccoli miracoli.
Al centro viviamo in 7, oltre a noi 4 vivono con noi Issa, Sami e Sie mentre la piccola Theremy arriva la mattina e va via la sera dopo cena.
In 12 metri quadri di capanna dormiamo tutti insieme, ovviamente c'è anche la cucina e negli ultimi giorni, sempre per via del battuto di merda, anche tutti i bagagli.
Altra chicca culturale: anche i burkinabè russano, ma in djoula.
Sabato 16 dicembre 2006
Primo giorno di paga per Samì, Siè, Gabriel, Issa e Theremy.
Abbiamo consegnato lo stipendio settimanale, a tutti la stessa cifra. Mi rendo conto solo ora che per alcuni di loro, come Theremi ad esempio, è il primo giorno di paga della propria vita.
Questa ragazza ha la straordinaria capacità di guardare e imparare molto in fretta. Oltre a occuparsi delle pulizie, aiuta Carlo con l'impianto degli alberi, gira la ruota del pozzo per riempire i bidoni dell'acqua, organizza gruppi di aiuto quando deve lavare i vestiti e conosce tutte le donne del villaggio. Per essere una quattordicenne... ma stasera ci hanno detto che non ha 14 anni ma 18, si era sbagliata!
Nel consegnare le paghe, dopo aver specificato che nonostante vi siano competenze e capacità diverse per una scelta ideologica abbiamo deciso di dare la stessa cifra per tutti, ho voluto aggiungere qualcosa sul risparmio del denaro, un concetto che qui non esiste, almeno non per la gente dei villaggi.
Issa, ad esempio, non conosce il valore dei soldi anche perché nelle sue mani ne sono girati pochissimi. Siamo inoltre terrorizzati dall'usanza, soprattutto con le paghe settimanali, di bersene una buona parte la sera stessa. Così ho provato a spiegare che è importante mettere via del denaro per potersi costruire un futuro, una casa, una famiglia, acquistare un telefono o una macchina (che possono diventare fonti di guadagno). Ho detto che, ovviamente, ognuno con i propri soldi può fare quello che vuole, ma sarebbe importante anche non ubriacarsi. Ho portato l'esempio del microcredito, che concede e fa gestire i prestiti alle donne e ho detto a Issa che potrebbe consegnare i soldi alla moglie, affidandosi così alle sue capacità di amministrare la casa e i figli.
In Italia stiamo scoprendo ora che le donne sono le migliori amministratrici che si possano trovare, figuriamoci se non ce n'è bisogno in Africa.
(Se qualcuno vuole contestare questa mia teoria, mi trovate in Burkina Faso).
Detto questo, e finiti tutti i convenevoli di ringraziamento e auguri per il futuro (sarà così tutte le settimane?), Gabriel ci ha chiesto il permesso di costruire un piccolo pollaio e di seguito Issa ha chiesto di poter coltivare un piccolo orto.
Iniziative personali, vuoi vedere che forse abbiamo ragione noi?
Chicca culturale: Gabriel ci ha detto, davanti a tutti, di far notare senza timori o problemi, errori o cose che non vanno nel loro lavoro. Giuseppe ha risposto che la stessa cosa vale per loro, in quanto nessuno è perfetto.
Questo è il concetto di cooperazione.
Questo è il concetto di famiglia, ha risposto Gabriel.
La recinzione in canne di miglio per proteggere gli alberi è finita. Conterrà 35 alberi e Carlo ha iniziato a mettere giù i primi cinque alberelli di anacardio. Pianteremo manghi, anacardi e alberi di karitè. Quando abbiamo parlato di questa idea i ragazzi si sono messi a ridere, qui nessuno ha mai piantato un albero di Karitè! E' spontaneo, perché coltivarlo? Ok, ma intanto piantiamo anche quello...
E' terminata la costruzione della toilette in mattoni, ora ribattezzata "Empire Cess Building".
Mai bagno è stato tanto fotografato!
A dire il vero mancano ancora alcune finiture, porte e tetto per il bagno e la doccia, la scala per salire e la seduta. Ma il grosso, la struttura e tutti i buchi, ci sono.
Abbiamo installato anche l'impianto di aerazione, che garantirà il circolo dell'aria nella compostiera per scongiurare i cattivi odori.
In attesa che termini l'Empire, in questi giorni si fa la cacca nella "brusse", in pratica nascosti nella collina dietro il Centro.
Nessuno si accorge che stai andando a cagare quando prendi in mano la caraffa dell'acqua, quella blu, e ti avvii con sospetta aria disinvolta verso la collina...
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Domenica 17 dicembre 2006
Oggi sveglia tardissimo, saranno state le 6:30. In compenso non si lavora e abbiamo tutta l'intenzione di scroccare un pasto da Massa (leggi Massà), guaritore del villaggio di Dolo (leggi Dolò), zio di Sami e amico. Dario è ormai parte della sua famiglia e è considerato un figlio.
La prima volta che sono venuto in Africa sono stato ospite nella corte di Massa, che funziona da casa, fattoria e ospedale. Massa e Larva (leggi Larvà) hanno 14 figli.
In questi giorni stiamo discutendo di alcune "nuove idee", che passo a schematizzare punto per punto.
- Finanziamento per l'acquisto di un camion.
L'idea è la seguente: acquistare un ex camion militare 4x4, niente di elettronico, tutto meccanico e rinforzato. Indistruttibile, dovrebbe essere in grado di andare dappertutto. Il nostro attuale mezzo di trasporto è una monovolume Mitsubishi 4x4 di Dario (la comprò perché Jacopo aveva una Mitsubishi!), che chiamiamo Carolina Bentivoglio. A volte si rompe, altre si sgonfia, in curva a destra balla un po', ma ci ha sempre fatto fare "una buona strada" (traduzione di un modo di dire locale). Ha però troppo pochi freni e molti altri problemi. Abbiamo anche bisogno di trasportare materiale, ma soprattutto di avere un mezzo di trasporto affidabile e sicuro, che resista alle strade burkinabè, dette le "grattugie africane", e che ci permetta di trasportare semi, alberi e altro. Da qui l'idea di un camion.
L'operazione dovrebbe costare intorno ai 10mila euro, a meno che qualcuno non abbia un bel camion 4x4 da regalarci.
Secondo quanto si racconta da queste parti un camion può farti diventare ricco.
Il trasporto merci e materiali sarebbe un lavoro molto redditizio, tanto che il camion del Centro potrebbe mantenersi da solo, lavorando qualche volta all'esterno del progetto.
- Grazie alle ultime donazioni raccolte da Doriana e ai soldi raccolti con Cacao per mandare a scuola i 25 bambini del villaggio di Loto, dovremmo aver già raccolto più di quanto ci serve per pagare tutti e sei gli anni di elementari.
Potremmo aggiungerne altri 50 bambini, 25 del villaggio e 25 della città di Diébougou, arrivando così a finanziare l'istruzione per 75 bambini.
Investimento necessario: 1.000 euro all'anno.
700 euro per finanziare la scuola, 300 per finanziare l'associazione ACEJSO di Diébougou che si occupa di gestire con noi questa iniziativa e il Centro Ghélawé stesso.
Stiamo portando avanti una raccolta di materiale scolastico, abiti, scarpe e altro, che ad ogni viaggio portiamo qui. Inoltre stiamo costruendo un Centro di formazione a cui questi bambini potranno un giorno accedere per completare un percorso formativo più completo. Il Centro Ghélawé diventerà per questi ragazzi una seconda scuola.
Non dobbiamo mai dimenticare che in Burkina Faso agricoltura e allevamento danno lavoro al 90% della popolazione. Tutti possono aver un pezzo di terra, su cui fanno due cose: coltivare o costruire una stalla.
Oltre a tutte queste nuove "brillanti" idee, dovremmo continuare a finanziare il Centro stesso. Da ora, ogni mese, dovremmo pagare gli stipendi, acquistare i materiali per far andare avanti i lavori e fornire vitto e alloggio ai ragazzi e a Dario.
Noto solo ora cosa vuol dire iniziare da zero. Stiamo acquistando legno, mattoni, attrezzi per lavorare, carriole, mobili su cui appoggiare le cose, annaffiatoi per gli alberi e la doccia (!), stiamo organizzando una cucina, insomma fervono i lavori.
Ad aprile arriverà Paolo Ferraris, altro agronomo del Centro, e dovremmo noleggiare un trattore e seminare. Anche per questa operazione saranno necessari dei soldi.
Possiamo fare veramente qualcosa di buono per queste persone, io lo sto vedendo con i miei occhi.
Tra qualche anno il Centro Ghélawé riuscirà, forse, a mantenersi da solo, grazie ai raccolti dei 6 ettari che andremo a coltivare, i frutti degli alberi e, speriamo, la lavorazione del burro del karitè.
A regime, il Centro di Formazione fornirà vitto e alloggio per gli "studenti" che vengono da lontano e gli "insegnanti". Fornirà laboratori dove, con nuovi processi produttivi, si lavoreranno frutta, karitè, peperoncino (altro mercato florido), ma anche laboratori artigianali.
Potremmo organizzare corsi di falegnameria sostenibile ma anche corsi per costruire e riparare aratri a trazione animale.
Al lavoro!
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Lunedì 18 dicembre 2006
Comincio ad avere un chiodo fisso col concetto di "lavoro". Qui la richiesta di lavoro è continua, ti serve qualcosa? Basta spargere la voce e prima o poi, più prima che poi, qualcuno che può aiutarti arriva.
Ti serve qualsiasi cosa? Loro te la possono fare, la inventano, la costruiscono, la trovano, la vanno a comprare da qualcun altro che loro conoscono.
Stamattina abbiamo chiesto una scala tradizionale burkinabè, cioè composta da un unico legno in cui vengono scavati gli scalini. Dopo due ore la scala è arrivata, bella e fatta, anche se purtroppo non andava bene.
Era troppo corta e il motivo è semplice: siamo in Burkina Faso!
Tu dici 3 metri e 20, loro guardano e vanno a occhio. Inoltre il tronco va cercato e trovato, se non c'è come vuoi tu, vedrai che ti va bene quello che si recupera.
E infatti, alla fine, dopo discussioni del tipo "ma voi avete detto", "ma ho trovato questo", "di più non posso fare", abbiamo comprato la scala corta, commissionando ai due giovani artigiani un'altra scala più lunga. Quanto? Di più!
Prima o poi la corta la utilizzeremo da qualche altra parte.
La battaglia per cacciare un lavoro e guadagnare un po' di soldi è continua. Sempre oggi, altri due ragazzi, non sapendo i nostri piani, ci hanno chiesto se potevano farci un'altra recinzione per gli alberi. Volevano lavorare e basta, e infatti, da oggi, stanno costruendo una seconda recinzione, che conterrà altri 30/35 alberi. Così, in tutto, nei prossimi mesi, potremmo piantare fino a 70 alberi.
L'idea che la povertà sia solo morire di fame, sete e malattie è molto riduttiva. In un certo senso nel villaggio di Loto, come in altre zone del paese, non si muore di fame; baratto e famiglia assicurano, più o meno, qualcosa da mangiare quasi tutti i giorni, a lungo andare si può morire di malnutrizione, ma difficilmente si crepa di stenti.
Si muore invece di malattie, e tanto. Farmaci e ospedali costano e di soldi ne girano pochi. Sempre troppo pochi. Si può acquistare qualche pomodoro al mercato, magari un pollo, magari del riso, ma di sicuro la maggior parte della popolazione non può accedere neanche a uno sciroppo per la tosse, figuriamoci a una terapia antimalarica.
Moltissimi bambini, per fare un altro esempio, hanno ernie ombelicali, probabilmente causate dal maldestro strappo del cordone ombelicale alla nascita. Sarebbe sufficiente un semplice intervento chirurgico per risparmiare loro dolori intestinali, ulcere e peritoniti mortali. Ma non ci sono soldi. E non c'è lavoro per guadagnarli.
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Giovedì 21 dicembre 2006
Ore 21:04 locali.
Sottofondo musicale: "Africa Unite", Bob Marley
Lo ammetto, ho bigiato il diario per qualche giorno. Siamo riusciti a creare, in quel del Centro Ghélawé finora costruito, un'atmosfera tanto bella che la sera mi dispiace dovermi appartare per scrivere, e di giorno si lavora.
Issa, Gabriel, Sami e Sie siedono con noi attorno a un grosso tavolo in legno (un prototipo, un tavolo con cavalletti, presumiamo mai realizzato prima in Burkina) e parlano in djoula fra loro, mentre noi si chiacchiera in italiano.
Ogni tanto ci si scambia qualche frase in francese, noi proviamo a parlare in djoula, loro in italiano e si ride. Issa fa lo scemo... e si ride.
Qui si ride tanto, anche grazie alla costante presenza di almeno una decina di bambini che per tutto il giorno stazionano con noi, alcuni ci danno addirittura una mano.
La sera ci scappa una paccata di riso bollito o di pasta con la salsa per tutti. Se va bene, come oggi, all'imbrunire si mangia anche ananas e papaia.
Cantano, giocano, chiacchierano tra di loro. Abbiamo fatto costruire otto sedie più due sedie a sdraio. Non ce n'è mai una libera.
Ho coniato una nuova minaccia. Quando questi bambini gridano o rompono le scatole, li minaccio di mandarli tutti a scuola nell'arco di un paio di anni.
Non ci crederete ma non si zittiscono.
Ho sempre dimenticato di segnalare ai diario-spettatori che sono arrivati in Burkina Faso (villaggio di Loto a sinistra, Centro Ghélawé) anche Doriana e Vincenzo, dalla Sicilia.
"Vinci" ha portato una valigia piena di roba da mangiare, dalle lenticchie ai dolcetti di pasta di mandorla. Adesso è Natale.
Lavori in corso
L'Empire Cess Building è a un punto focale della sua realizzazione. Terminati i lavori di muratura (il bagno è alto circa 4 metri) abbiamo installato oggi i tubi di aerazione e stiamo preparando la seduta, che ovviamente sarà realizzata in terra.
Acqua, terra argillosa, legno, sole e una dabà, una specie di zappa, è tutto ciò che serve qui per costruire qualsiasi cosa. Una casa ha fondamenta in mattoni di pietra, estratti a mano, muri in terra, la malta che tiene unito tutto è terra impastata con acqua, il tetto è fatto di legno e terra, poi battuto con acqua residua della lavorazione del burro di karitè e merda secca di vacca.
Quello del tetto, essendo un lavoro certosino, è fatto solo ed esclusivamente dalle donne, che lo battono con dei particolari "pestini" di legno.
E' terminata la costruzione e tutte le rifiniture interne della seconda casa, che momentaneamente diventerà da una parte la stanza di Dario e dall'altra magazzino.
Facendo sciogliere la terra di colori diversi, più o meno rossa, cioè ricca di argilla, Peppino è riuscito a ottenere due tonalità di pittura, con cui abbiamo dipinto tutti gli interni.
Non abbiamo scoperto nulla di nuovo, questa pratica, questa cura per ogni dettaglio, anche per l'estetica, nella case, è cultura africana persa.
Anticamente i burkinabè coloravano le case esattamente come abbiamo fatto noi, facevano muri più spessi per isolare l'abitazione dal caldo infernale delle stagioni estive, circa 8 mesi all'anno, come abbiamo fatto noi.
Questa particolare attenzione e cura di tutti i particolari della casa ha, oltre alla valenza estetica, anche vantaggi igienici. Essendo tutto fatto di terra, per terra si riempie di terra.
Intonacando e pitturando interni ed esterni la polvere diminuisce e le case sono più pulite.
Stiamo anche facendo vedere loro l'importanza dell'ordine in cucina e dell'attenzione a non spandere, sgocciolare e così via. E' un po' dura, anche perché ci rendiamo conto che per i ragazzi sono tutte cose nuove, che non esistono fuori dal Centro.
Prosegue inoltre la raccolta differenziata dei rifiuti. Dato che non c'è altra soluzione, dobbiamo bruciare tutto, ma in modo separato. La plastica, ad esempio, che produce diossina quando brucia, viene arsa in un pozzetto, fatto di mattoni in terra, costruito lontano dalla zona abitativa. Fra le prossime opere da realizzare ci sarà sicuramente un bruciatore, con una canna fumaria molto lunga, che possa disperdere la diossina senza inquinare l'aria che respiriamo.
Normalmente qui invece si usa bruciare tutto assieme, appena fuori casa.
Domani mattina partiamo per Bobodiulasso, dove abbiamo appuntamento con Bissirì per i batik e con un altro tizio per gli alberi. In più possiamo fare spesa di frutta e verdura, in città si trova quasi tutto.
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Sabato 23 dicembre 2006
Siamo a Bobo, o meglio in un villaggio a circa 15 km dalla città di Bobo, è il villaggio dove è nato Bissiri.
Siamo qui, invitati da Bissiri, per compiere un rito propiziatorio che porti alle due associazioni salute, benessere, fortuna e buone vendite (molto commerciale ma è anche così che si sopravvive in questo bizzarro paese)
Ognuno dei "desideri" che esprimiamo costa all'incirca un pollo, che viene sacrificato agli spiriti.
Ero indeciso se raccontare i particolari, così lo faccio.
Sediamo tutti dentro una piccola capanna, ci siamo tutti noi, Bissiri, la sua mamma, altri del villaggio e soprattutto il capo del villaggio.
Inizialmente il pollo passa di mano in mano tra Bissiri, un altro ragazzo, Dario, e il capo villaggio. Ognuno, nella sua lingua (gli spiriti sono poliglotti), esprime le sue richieste, poi il pollo passa al capo villaggio che gli taglia la giugulare facendo cadere il sangue su dei feticci, pietre (ma non ne sono sicuro) sacre.
Fatto ciò l'animale viene lanciato e da come cade a terra si capisce se gli spiriti sono con noi e se il rito è stato propiziatorio. Se il pollo cade con le zampe in su e dorso verso l'alto, è andata bene, se cade di lato non va bene.
Il rito è a sua volta propiziato dalla madre di Bissiri che batte le mani.
C'è poca luce nella capanna e il pollo lanciato a terra alza polvere. Doriana è impietrita.
Ripetiamo più o meno la stessa procedura anche in un'altra corte del villaggio, questa volta in più ci sono le noci di cola, e infine mangiamo i polli.
Rientrando in città riflettevo su questi rituali, a cui, vi posso assicurare, gli africani sono molto attaccati portando avanti le antiche tradizioni dei villaggi con rispetto e dedizione. In fin dei conti anche per Bissiri acquistare polli, noci di cola e birra di miglio, altra componente fissa di tutti i riti animisti della zona, è un investimento notevole. Pur non apprezzando i sacrifici animali, non posso non notare come tutti i burkinabè guardassero e seguissero il capo villaggio in tutte le fasi della cerimonia, ognuno aveva il suo compito e tutti si sono prodigati per svolgerlo al meglio.
Anche se alla fine, come sempre, ci hanno chiesto soldi per aver fatto delle fotografie, mi rendo conto che siamo stati accolti come in una famiglia.
La mia mamma non me ne vorrà, ma qui si è sempre in famiglia, ci si sente sempre in famiglia. E' molto più di semplice ospitalità, è offrire agli ospiti la propria casa, dividere quel poco che c'è dentro. Immancabili i bambini.
Lunedi' 25 dicembre 2006
Giorno di Natale, questa mattina speravamo in due fiocchi di neve, ci sono invece 37 gradi centigradi. Babbo Natale sara' sudato!
Ieri sera abbiamo dato una festa. Ci saranno state una cinquantina di persone, di cui almeno una ventina di bambini. Ma c'erano anche donne, uomini e anziani del villaggio e questa e' gia' di per se' una buona notizia, poteva non venire nessuno. Il resto e' andato anche meglio.
Dopo aver spiegato il progetto (noi suggerivamo a Dario in italiano, il quale poi parlava in francese, che veniva poi tradotto in djuola) ed esserci presentati, uno a uno, abbiamo passato la parola al delegato comunale, anziano e autorita' di Loto, il quale ha "spronato" il villaggio ad aiutarci. Molti ci hanno augurato di non scoraggiarci, altri che Dio ci assista, altri hanno solo applaudito.
Mia mamma continuera' a non volermene, ma io mi sento in famiglia.
C'erano anche quattro musicisti che per noi hanno, come si dice da queste parti, giocato col balafon (antenato del nostro xilofono). Questi quattro ragazzi hanno suonato per ore senza neanche una pausa. Attorno a loro si svolgevano, polverose, le danze. Abbiamo piu' volte definito l'atmosfera "psichedelica", in fin dei conti, per essere la prima volta, e' andata bene. Bene un po'.
Dato tecnico: oggi pomeriggio abbiamo piantato alcuni alberi che abbiamo acquistato in un vivaio a Bobo. Abbiamo preso 20 manghi, tra grandi e piccoli (si distinguono per la grandezza dei frutti che daranno), 10 alberi di anacardio, 1 albero di tamarindo (!), un "pomme de cannell africane" (non lo conosciamo, ma, ci hanno spiegato, da frutti molto buoni) e per finire udite, udite, tre alberi di baobab.
I baobab, simbolo dell'Africa, sono alberi sacri e sono di buon auspicio. I baobab non si possono tagliare, mai, per nessun motivo.
Ogni volta che si pianta un certo quantitativo di alberi, c'e' una percentuale di perdite. Carlo, agronomo, spiegava che in Italia e' circa del 10%, qui supponiamo arrivi al 25%, forse di piu'. Ogni 10 alberi piantati ne muoiono almeno 2 o 3.
Noi abbiamo gia' perso un mango e forse un paio di anacardi e c'e' da non crederci, ma a vederli li', riversi, sfogliati, dispiace.
Dietro, o meglio sotto, l'impianto di un albero, c'e' molto lavoro e molta cura. Si scavano, a mano ovviamente, le buche, si prepara un po' di terra e la si annega d'acqua, poi si aspetta un giorno e si ripete il procedimento, inserendo l'albero. Sempre con la terra si modella una vasca per l'acqua di innaffio e si aspetta tutte le sere l'imbrunire e tutte le mattine l'alba per dar da bere.
Ogni mattina facciamo un giro di controllo.
Entro la fine della settimana contiamo di piantare 35 dei 50 alberi che avevamo preventivato. Ovviamente, il lavoro continuera' anche nei prossimi mesi. Se riusciamo a far sopravvivere le piante fino alla stagione delle piogge, da maggio fino a settembre, svilupperanno un apparato radicale tale da far sopportare loro le prossime stagioni secche.
E' per questo che qui pochissimi piantano nuovi alberi: e' difficile, si rischia di buttare via soldi quando gli alberi muoiono, bisogna avere alcune conoscenze tecniche e richiedono lavoro per seguirne per sviluppo.
Infine, particolare non irrilevante in Burkina Faso, ci vogliono anni prima di vederne i frutti.
In Africa pero' tempo e pazienza non mancano. Vedere un mangheto di soli 5/6 alberi crescere di anno in anno e' gia' uno spettacolo, figuriamoci quando i manghi sono 20, 30. E quando saranno 50, 100...
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Martedi' 26 dicembre 2006
Sottofondo musicale: The Koln Concert
In pratica siamo io e Keith Jarret, gli altri sono stranamente rilassati e dormicchianti. Immancabile, come ho scritto quasi ogni giorno, la presenza di un gruzzolo di bambini che giocano e parlano tra di loro.
Oggi abbiamo lavorato (ieri si e' giocato?) ed e' iniziata la costruzione di un forno a legna, che come tutto il resto qui, sara' fatto in terra e mattoni di pietra.
Ci ho messo un po', lo ammetto, a capire come funzionera', ma e' semplicissimo.
Il forno e' composto da una grande camera unica, in cui viene acceso il fuoco. Una volta che l'ambiente e' in temperatura si spostano da una parte le braci e si cucina. Si puo' fare il pane, focacce, dolci, cucinare un pollo o della carne.
E' vero che si consuma legna e infatti si tratta di una soluzione provvisoria. Quella definitiva e' il forno solare, che cosi' per come avviene per le cucine solari, e' in grado di cuocere, perfettamente, il cibo utilizzando solo l'irraggiamento solare.
Perche' non lo abbiamo fatto fin da subito?
Perche' e' un lavoro lungo se fatto in Italia, qui, dove ogni cosa viene spiegata, in francese, poi tradotto in djoula, recepita e capita da tutti, ci sarebbe voluto tutto il mese solo per quello.
Rimane il fatto che un forno a legna, cosi' progettato, e' comunque una novita'. I forni burkinabe' attualmente utilizzati disperdono calore sprecando inutilmente legna e hanno parti in lamiera o altro materiale improprio riciclato, ne ho visti fatti con reti metalliche da letto, anche se di solito quelle diventano barbecue nei ristoranti lungo le strade.
Continua poi l'impianto degli alberi e i lavori di costruzione della struttura a due piani, altra pazzia per gli standard locali. Abbiamo sentito di strutture a due piani, non realizzate in cemento ovviamente, in un solo villaggio del Burkina Faso.
Questa mattina tra Giuseppe e Jean Martin, un muratore che ci ha aiutato nella costruzione del primo magazzino, c'e' stato un altro entusiasmante esempio di cooperazione e scambio interculturale.
Stavano discutendo su alcune questioni tecniche del tetto quando Jean Martin ha esclamato che lui conosce il suo lavoro e un tetto come quello che ha voluto Peppino non esiste in tutto il Burkina Faso.
Giuseppe, bio-architetto ma anche costruttore e quindi grande conoscitore dei materiali (sempre terra, paglia, legno e argilla), non ha esitato. Si e' guardato intorno, indicando con lo sguardo che tutto cio' finora costruito era in piedi, e ha risposto che anche lui conosce il suo lavoro.
Credo che questo sara' uno dei passi piu' difficili che dovremmo affrontare, anzi che stiamo gia' affrontando. Attualmente siamo dei bianchi con un progetto, che stanno costruendo cose da pazzi. Un bagno-doccia alto 4 metri con porte, finestre, compostiera e recupero dell'acqua, una casa enorme fatta come le loro capanne, pianteremo alberi di karite', altra cosa che ha stupito, differenziamo i rifiuti e siamo simpatici.
Il Centro di formazione per l'agricoltura e l'allevamento, nelle loro teste, probabilmente non esiste, almeno non ancora. Giusto oggi abbiamo appeso un cartellone di due metri dove spieghiamo, in francese ovviamente, cosa stiamo combinando.
Da stamattina sono andato a rileggermi il testo quattro o cinque volte, e pensare che l'ho scritto io due anni fa.
Non abbiamo esposto il cartellone prima perche' se lo avrebbero rubato ancora prima di finire di legarlo. Ora se lo vogliono devono portarsi via tutta una casa!
Sono le 22:00 ed e' tardissimo, soprattutto se si calcola che la giornata e' iniziata 16 ore fa. I ragazzi burkinabe' dormono tutti gia' da un paio d'ore, anche se uno di loro, quando saremo tutti a letto, si alzera' per chiudere tutto e mettere a nanna anche il generatore di corrente.
Abbiamo anche un gallo, di Gabriel, che vive nel Centro da una settimana. Lui non si mangia!
Abbiamo avuto anche un montone, Serafino, per un paio di giorni. Lui lo abbiamo mangiato il giorno di Natale.
Anche questo e' Burkina Faso, ci vuole tanta pazienza e a me piace.
Mercoledi' 27 dicembre 2006
Siamo agli sgoccioli, mancano due giorni alla partenza e tiriamo le somme.
Ecco cosa siamo riusciti a fare, "settore per settore".
Alberi: 35 sono stati piantati, altre 35 buche saranno pronte nei prossimi giorni. Tutte e due le recinzioni, necessarie per proteggere gli alberi finche' sono giovani, sono terminate e il lavoro e' stato ben fatto.
Nei prossimi mesi verranno piantati altri alberi, ma l'obiettivo che ci siamo prefissi e' arrivare a metterne a terra 100, vivi, quindi ne pianteremo 120.
Il posto c'e' e ce n'e' sempre di piu'...
In questi giorni abbiamo anche economicamente quantificato, sul campo, il lavoro che serve per un albero. Il contributo per finanziarne uno aumentera'.
5 euro per acquistarlo e piantarlo sono sufficienti, ma ce ne vogliono almeno altrettanti per "prendersene cura". 10 euro per ogni albero.
Toilette: non abbiamo fatto in tempo a provarla perche' mancano ancora le porte (con finestrella), ma la seduta e tutto il resto sono pronti.
Costruzioni: le prime due case sono finite, rifinite e pronte all'uso. Sara' necessaria una manutenzione annuale, soprattutto prima e dopo la stagione delle piogge e di questo possono occuparsene i ragazzi senza problemi.
Gabriel prosegue invece la costruzione del magazzino/laboratorio a due piani.
Abbiamo la compostiera per il cibo e un forno a legna.
Gran parte della vita del Centro si svolge nella terrazza, portata in piano e ora abitabile e abitata dai soliti innumerevoli bambini.
Stamattina ho rispiegato la divisione della "pubel", dicendo che avremmo dovuto ripulire la compostiera dalla plastica. Piu' tardi sono andato a vedere la compostiera ed era gia' stata pulita.
Nel pomeriggio Issa si e' preso un sacchetto d'acqua (l'acqua da bere si compra in sacchettini di plastica), ha bevuto, e invece di gettare il sacchetto a terra, come ha fatto per anni, se l'e' messo in tasca. Bravo Issa!
Speriamo in futuro di poter bere l'acqua del nostro pozzo, Carlo portera' a casa dei campioni per fare le analisi.
Il "cantiere" non chiude, almeno fino a quando non restiamo senza soldi.
Rispetto ai programmi preventivati non siamo riusciti a consegnare i kit agricoli in regalo. Gli attrezzi sono gia' al Centro, ma non abbiamo trovato le sementi (non e' periodo). Inoltre per decidere i destinatari dei regali e' necessario fare riunioni tra le varie autorita' del villaggio. Se ne occupera' Dario prossimamente.
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Venerdi' 29 dicembre 2006
Oggi si parte, fervono i preparativi e domani saremo di nuovo in Italia. Spero di non svegliarmi dal sogno, grazie.
Scrivo al volo solo per raccontare della partita di pallone. Se volete fare un po' di pubblicita' per un progetto in Africa, organizzate una partita di calcio.
Il campo non si vede, ma c'e'. Basta dare fuoco alle sterpaglie creando un rettangolo, ecco fatto il campo. Noi, il Centro, siamo quelli vestiti e con le scarpe, loro sono quelli senza maglietta. Vi ricordate i sandali di gomma e plastica tinta unita che si usavano al mare anni fa? Oggi sono scarpe da calcio qui, ma c'e' anche uno che gioca a piedi scalzi.
Un ragazzo senza i denti davanti ci ha fatto 2 dei 4 gol che abbiamo preso.
Abbiamo fatto un gol anche noi, solo uno, all'inizio, la partita sembrava quasi mettersi bene, poi il campo pesante, il fumo e il caldo hanno complicato le cose.
Tecnicamente eravamo superiori, ci hanno battuto sulla prestanza fisica. Come ho spesso detto, in Burkina Faso se superi i 5 anni di eta' diventi indistruttibile.
Devo preparare la valigia, regalero' asciugamani, mutande, magliette e pantaloni, ai ragazzi. A Issa, gli voglio troppo bene, le ciabatte infradito.
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Ultimo giorno
Fin dall'inizio ho immaginato che questa specie di diario di viaggio dovesse terminare qui, con un ultimo giorno imprecisato. Lo sto scrivendo da casa, e' passato qualche tempo da quando l'aereo e' atterrato sul suolo patrio, ma il Burkina Faso e' ancora li', a pochi attimi di pensiero da me.
Mi rendo conto solo ora che mi sono preso, volontariamente, una bella gatta da pelare, con contorno di patate bollenti.
Garantire continuamente, almeno per i primi anni, soldi, apporto tecnico e umano, e quant'altro di cui ci possa essere bisogno per il progetto, non sara' facile, ma per tirarsi indietro e' troppo tardi. Ormai la mia coscienza e' irrimediabilmente compromessa.
Oggi ho acqua corrente in casa, energia per la luce e il tostapane, supermercati che offrono ogni ben di Dio, comodamente confezionato. In Burkina Faso, nel villaggio di Loto, non c'e' nulla di tutto questo, alcuni non sanno nemmeno cosa sia un tostapane.
In questi anni, attraverso Cacao, ho cercato di spronare me stesso e i lettori, all'azione per riportare giustizia.
Oggi io mi sono convinto e sto muovendo il culo. Non partecipo alle manifestazioni a piedi, non accendo candele in segno di solidarieta'. Io investo tempo, energie e denaro aiutando il villaggio di Loto e nei miei sogni piu' arditi tutto il Burkina Faso, con un centro di formazione per avere piselli piu' grossi.
LINK
- Il sito dell'Associazione Centro Ghélawé
www.centroghelawe.org
- Campagna per l'istruzione scolastica di 75 bambini del villaggio di Loto e della città di Diébougou, Burkina Faso
www.centroghelawe.org/associati/finanziamenti/bambini-a-scuola.htm
- Le foto dei lavori svolti finora, toilette, strutture, forno. Le foto degli alberi piantati
www.centroghelawe.org/lavori-centro
oppure un bonifico bancario a Banca Popolare Etica c/c 000000114044 intestato a Associazione Centro Ghelawe CIN:J ABI:05018 CAB:12100