Milioni di uomini uccisi dai cavalli. Si poteva evitare. Bastava capirli. Gli indiani americani ci sono riusciti.
Inviato da Cacao Quotidiano il Sab, 11/01/2014 - 16:40L'ARTICOLO INIZIA SUL BLOG DEL FATTO QUOTIDIANO CLICCA QUI
Da millenni si usa un ferro che si fa passare nella bocca del cavallo. Il ferro (morso) è collegato alle briglie che il cavaliere tiene in mano. Vi sono poi morsi complessi. Nel morso a leva, al centro, c’è una placca che si solleva andando a premere contro il palato del cavallo quando tiri le redini. È un sistema che permette di fare molta forza contro il palato della bestia (provocando dolore).
E se si usa il morso quando si tirano le redini il cavallo potrebbe dare una testata con la nuca in faccia al cavaliere (esperienza spesso mortale), per evitare ciò si mette una cinghia robusta che va da sotto il muso, agganciata all’imbragatura che imprigiona muso e testa (testiera) a un’altra cinghia, a mo' di collare, assicurata alla sella. In questo modo il cavallo non può alzare la testa.
E siccome il cavallo così trattato è molto irrequieto (e vorrei ben vedere) lo si tiene chiuso per quasi tutto il giorno in una specie di cella cosparsa della sua merda, il che non è proprio la sua massima aspirazione equina.
Ma tutto questo comportamento poco empatico parte dall’inizio, dall’idea stessa della doma.
La tecnica utilizzata per millenni è abbastanza semplice quanto brutale. Si mette un cappio al collo del cavallo, lo si chiude in un recinto rotondo piuttosto piccolo, e lo si fa girare in tondo per ore incitandolo con un lungo frustino. Il cavallo inizialmente non ne vuol sapere, si impenna, strappa, si butta contro la staccionata. Il cavallo è disperato perché il suo istinto di preda lo induce a scappare per non essere mangiato. Si va avanti così per settimane, per almeno una mezz’ora al giorno.
In questo modo si raggiunge un punto in cui il cavallo è esausto, la paura e lo stress lo esauriscono e si arrende; si accorge che non lo mangi e piano piano si tranquillizza. La doma dura almeno 30 giorni. La ripetizione del trauma di essere legato e costretto a muoversi in cerchio, il girare ipnotico, la continua alternaza di gesti che lo spaventano e di ricompense (avena) piano piano diminuisce la sua paura.
Ma il cavallo resta comunque instabile. Si dice che i cavalli sono pazzi. Infatti, anche ad anni di distanza dalla doma possono, per qualche accidente, abbandonare ogni disciplina e diventare pericolosi. Un serpente, un rumore improvviso, una serie di segnali sbagliati da parte del cavaliere, possono fargli andare il sangue alla testa e non li controlli più.
Grazie a questa serie di trovate geniali si ottiene il fatto che andare a cavallo è pericoloso.
L’esperienza con David Bassi e Monica Citti è stata per me particolarmente interessante.
Loro sono due maestri di doma etologica o doma naturale, tecnica scoperta dai nativi americani che ebbero a che fare con i grandi branchi di cavalli selvatici che discendevano da quadrupedi importati dall’Europa e poi fuggiti. Alcuni indiani passarono evidentemente molto tempo a guardare questi animali bradi e a un certo punto si resero conto che la capo branco (o il capo branco) comunica con i puledri in modo particolare.
La disposizione dei cavalli bradi è essenziale per la loro sopravvivenza. Al centro del branco, disposto su un’area abbastanza grande, stanno le madri con i puledri, protette dalle cavalle senza figli e dallo stallone, che stanno intorno a cerchio; e ancora più in là sono schierati i puledri. La capo branco mantiene la formazione del branco comunicando ai puledri quando devono spostarsi e lo fa attraverso piccoli cambiamenti della propria posizione rispetto a quella del puledro e guardando un punto o un altro del quadrupede. Il puledro ubbidisce istantaneamente grazie alla memoria genetica che gli permette di comprendere gli ordini.
Inoltre vi sono una serie di segnali che la capo branco dà quando è vicina al puledro, premendo sul suo petto con il muso o mordicchiando punti prestabiliti della criniera.
La doma etologia consiste sostanzialmente nell’imitare i segnali della capo branco convincendo così l’animale che TU sei la capo branco. Con la tecnica tradizionale si impiegano 30 giorni, almeno un’ora al giorno. Con la doma naturale si impiegano due giorni, due ore al giorno con un notevole risparmio di tempo, fatica e rischio di prender calci e morsi. E quando sali in sella il cavallo è felicissimo di portarti in giro perché tu sei la capo branco ed è sicuro che non lo vuoi mangiare.
Esitono ormai diverse scuole che propongono varie sfumature di questo sistema. David Bassi e Monica Citti praticano un stile molto particolare che prevede una buona quantità di lavoro a terra (senza montare il cavallo).
Siamo andati in 8 nel recinto dove vivono i nostri 9 cavalli. David si è avvicinato agli animali e ha cominciato a toccarli sul petto e sulla criniera ottenendo la loro immediata attenzione e un atteggiamento curioso e tranquillo. E già questa rapidità nell’entrare in rapporto con i cavalli che non lo avevano mai visto, mi ha stupito non poco.
Poi ha chiesto a ognuno di noi di massaggiare un quadrupede con movimenti circolari lenti. A questo punto ogni bestiola, come David ci aveva annunciato, ha appoggiato la testa sulla spalla della persona che la stava massaggiandolo: un segnale di grande rilassamento.
Dopo mezz’ora di questo massaggio, che ha creato un’atmosfera molto piacevole, empatica e rilassata, dovevamo andar via. Quindi, come faccio regolarmente, ho preso un catino con dentro l’avena e ho chiamato i cavalli. Quel che accade sempre è che si precipitano perché l’avena li galvanizza (una droga!) e devo stare attento che non mi travolgano esaltati come sono e cercare di tranquillizzarli con la voce perché non si diano troppi calci…
Invece è successa una cosa che non potevo immaginare: nessuna delle bestie si è mossa per venire a mangiare!!!
Questa esperienza, al di là del suo utilizzo equestre, ha una notevole implicazione filosofica.
Forse dovremmo chiederci più spesso se affrontando un problema stiamo utilizzando un percorso che passa per la comprensione profonda della natura delle componenti del problema stesso oppure ci stiamo semplicemente scagliando in modo aggressivo contro il problema, con grande dispendio di energia e risultati incerti.
Ad esempio, da questa esperienza e dalla sensazione di benessere che tutti hanno provato in questo incontro quadrupede è nata l’idea di strutturare un corso dedicato a chi deve parlare in pubblico usando l'eseprienza dell’empatia con i cavalli per far comprendere il giusto atteggiamento che possiamo utilizzare quando parliamo di fronte a una platea. Se uno riuscisse a trasportare quella sensazione empatia sul podio sicuramente riuscirebbe a ottenere il massimo della comunicazione con il pubblico… Per ora è solo un’idea ma ci lavoreremo.
(Se vuoi imparare questo tipo di doma devi però andare da David Bassi e Monica Citti perché sono necessari recinti particolari che in questo momento non possiamo costruire ad Alcatraz. Speriamo in futuro…).
Se vuoi sapere di più sulla mia esperienza con i cavalli (e la loro incredibile, particolare intelligenza) leggi qui: “Tutta la verità sulla mia vita da cavallo”.