Dobbiamo decidere se fare da palo ai criminali di guerra oppure aiutare l e popolazioni.
La missione in Afghanistan è ormai diventata a tutti gli effetti una missione di guerra. Il destino chiaramente è quello iracheno: un nuovo pantano stile Vietnam che nessuno potrà gestire.
L’Italia NON può pensare di restare in Afghanistan senza pagare un tributo di sangue spaventoso.
In questo momento buona parte dell’Afghanistan è in mano ai signori della guerra o ai talebani. E in alcuni casi i signori della guerra sono ex talebani. Una situazione che sta scivolando rapidamente verso un terribile connubio tra una guerra civile e una guerra tra bande criminali alimentata dai miliardi provenienti da ogni sorta di traffici e in particolare dalla produzione di oppio.
Quindi Prodi deve solo ringraziarci se poniamo subito e con decisione il problema del che fare in Afghanistan.
E questo è il momento opportuno per farlo visto che si tratta di una missione di pace che ha cambiato la sua natura per chiara e palese dichiarazione del presidente degli Stati Uniti d’America che ha chiesto ai partecipanti alla missione più truppe per affrontare la disastrosa situazione.
Ma la questione centrale, sulla quale potremmo trovare un’intesa nella coalizione di governo è il fatto che la missione stessa è uscita dai binari della legalità sanciti dai trattati e dalle leggi dei paesi stessi che partecipano alla missione.
Sotto le bandiere di una missione di pace sono state commesse ogni sorta di atrocità.
Abbiamo perfino ispettori delle commissioni di inchiesta dell’Unione Europea che definiscono le carceri in Afghanistan simili a lager nazisti.
Ci sono decine di massacri di civili, apertamente ammessi dal comando della missione “di pace” e giustificati come errori.
Noi italiani sappiamo che tipo di errori compiono i marines dopo un paio di birre. Ci ricordiamo del disastro della funivia del Cernis e dell’assassinio di Callipari…
Come si può pensare di condurre un’opera di pacificazione in Afghanistan usando questi metodi?
Inoltre le truppe Usa hanno utilizzato armi vietate dalle convenzioni internazionali riconosciute dall’Italia: bombe a grappolo e armi nucleari a bassa intensità, come hanno dimostrato le rilevazioni ambientali di radioattività presentate da molte organizzazioni umanitarie.
Restare in Afghanistan senza muovere un dito di fronte a questi crimini contro l’umanità sarebbe soltanto essere complici di un esercito spietato e distruttore. E certamente anche Massimo D’Alema che manifestò per anni contro la guerra del Vietnam non vorrebbe trovarsi, lui, a mandare i soldati italiani a partecipare a questa nuova guerra che come quella del Vietnam ha come primo bersaglio le donne e i bambini.
Ma anche dal punto di vista della capacità di questa missione di risollevare le sorti economiche, morali e culturali, di questo paese, stiamo assistendo al disastro più vergognoso. Kabul conta ormai migliaia di prostitute: le donne afgane, stremate dalla povertà e con aiuti risibili possono solo vendersi agli stranieri per riuscire a mangiare.
E come si può valutare positivamente una missione di pace che ha permesso che la produzione afgana di oppio passasse dal 25% del consumo mondiale a più dell’80%? Ma chi sta comandando le truppe Nato? Totò Riina?
Lasciamo per un attimo da parte quindi la questione del sì o del no alla missione in Afghanistan e incominciamo a chiedere conto ai nostri alleati sui criteri di gestione della missione stessa, sul rispetto dei diritti umani, sulla lotta alla criminalità e alla prostituzione. E iniziamo a parlare di cosa sia una missione di pace. Dobbiamo continuare a vessare le popolazioni senza cambiare realmente le loro condizioni di vita o dobbiamo cominciare a esportare benessere?
Cosa è stato fatto sul piano economico per aiutare le popolazioni?
Pochissimo. Si è invece alimentato il malcontento di fronte a truppe che sparano dagli elicotteri a casaccio, scambiando feste di matrimonio per assembramente ribelli, cercano prostitute vergini per divertirsi e fanno comunella con i trafficanti.
Non potremmo ad esempio invertire i termini economici della nostra partecipazione? Oggi spendiamo 300 milioni di euro per le armi e i soldati e 30 milioni di euro per gli aiuti.
Rovesciamo il rapporto. E instauriamo anche criteri certi di verifica sui risultati ottenuti con i soldi spesi! (Come sono stati spesi fin’ora i soldi in Afghanistan?)
Credo che questo potrebbe essere un terreno favorevole sul quale spostare la discussione tra le varie anime del governo trovando la possibilità di una mediazione.
Le altre strade sono la caduta del governo Prodi, le dimissioni in massa degli onorevoli pacifisti oppure la scelta forsennata di buttarsi in un’impresa militare che passerà alla storia come un grande crimine contro l’umanità.
Commenti
clima: allarme rosso
- clima: allarme rosso –
a cura di Paolo De Gregorio – 19 febbraio 2007
Vorrei uscire per una volta dal commento dei fatti quotidiani, perché ho la sensazione che non diamo abbastanza peso ai terribili allarmi che ci vengono dai climatologi riuniti a Parigi che quantificano nel 95% la responsabilità umana per i cambiamenti climatici.
Mi sembra drammatico che, già OGGI, il genere umano consumi più acqua di quanto il ciclo della evaporazione e delle piogge possa riprodurre, e si stanno intaccando le falde che scendono di anno in anno, e presto, con il riscaldamento globale, si andrà verso una crisi idrica ed alimentare di grandi proporzioni.
Se a questo aggiungiamo che tra cinquanta anni il numero di abitanti salirà di un miliardo e mezzo, e che l’esplosione industriale di Cina ed India aumenterà enormemente la Co2 in atmosfera, il quadro che vediamo assomiglia all’”Urlo di Munch”.
Nonostante si parli molto dei drammatici effetti dei cambiamenti climatici e si siano scientificamente dimostrate le cause, i nostri industriali e i nostri politici continuano a parlare di sviluppo, di aumento di produzione, di mercati che si aprono, e nella sostanza, non hanno la minima intenzione di fermare il meccanismo di produzione e consumo che controllano e che hanno messo in moto. Anche con la prova provata che l’economia liberista e la globalizzazione dei consumi sono la causa del disastro prossimo venturo, e che questo è semplicemente un modello di sviluppo NON SOSTENIBILE, nessun provvedimento risolutivo viene preso e si prosegue a testa bassa verso il baratro.
La causa fondamentale per cui non si interviene è semplice, in questi ultimi decenni la politica è stata letteralmente comprata dal potere industriale e finanziario, messa al suo servizio, e ciò ha consentito che non si mettesse alcun limite o ostacolo alle strategie industriali, consentendo produzioni inquinanti, assenza di controlli sui rifiuti tossici, cementificazione selvaggia, mancata chiusura dei centri storici alle auto, fiumi e mari usati come discariche, nessun obbligo ad installare energie alternative nelle nuove case. Per farla breve non è stato posto alcun limite che potesse ridurre i profitti.
Perché è impossibile uscire da questa situazione? Perché il liberismo per essere fermato dovrebbe trovare una classe politica, che non esiste, capace di dirigere l’economia e trasformarla da economia distruttiva al servizio di profitti privati, in economia sostenibile al servizio dell’uomo, della sua salute, della sua felicità.
Se a questo aggiungiamo che le due religioni principali, cristiana e musulmana, sono un ostacolo insormontabile a qualsiasi politica di contenimento delle nascite, e che destra e sinistra hanno accettato la dittatura dell’economia liberista, eccoci di fronte ad un vuoto che non può essere colmato facilmente.
Anche perché chiunque voglia parlare di decrescita o contenimento dei consumi, è obbligato anche a parlare di uno scenario di crisi, di disoccupazione che potrebbe essere difficilmente fronteggiato da classi politiche ed economiche screditate e inattendibili.
Ci troviamo di fronte ad uno scenario globale in cui essere ottimisti è consentito solo ai deficienti e lo slogan degli ecologisti che dice “its not too later” appare solo speranzoso.
L’unica massa di denaro capace di trasformare l’economia distruttiva in economia sostenibile, sarebbe quella di un disarmo globale concordato tra tutti i paesi, che consenta ai singoli stati di possedere solo armi difensive e affidate ad una guardia nazionale e non a militari professionisti.
La massa di denaro è veramente enorme e se usata nella direzione giusta avrebbe il potere di invertire la corsa verso il disastro.
C’è solo un problema, che l’uomo non si è ancora evoluto abbastanza per usare la ragione e la lungimiranza. Siamo prigionieri dei nostri squallidi egoismi e ancora ci combattiamo per avere più degli altri, e non comprendiamo che la sicurezza e la PACE si hanno solo senza ingiustizie e prepotenze, diamo ancora retta alle religioni anche se sono dietro ad ogni conflitto, etica e morale sono state messe da parte e le persone perbene allontanate dalla politica e dal potere.
I primi ad essere colpiti dalla siccità e dall’aumento della temperatura saranno proprio i meno responsabili, cioè quelle popolazioni che vivono solo di agricoltura di sopravvivenza e saranno sterminate dall’avanzare della desertificazione.
Nessun intervento sarà possibile, e forse nemmeno voluto, perché i paesi ricchi e con clima ancora temperato penseranno subito a lasciare per sé le scorte alimentari e a chiudere i propri confini da eventuali invasioni.
Forse si capisce un mio lieve pessimismo, ma se di fronte alla certezza scientifica di un disastro prossimo venturo le classi dirigenti pensano a un aumento di produzione e pianificano nuove guerre e nuove armi, forse non ho tutti i torti, e fa sorridere amaramente che sia proprio l’Occidente, con la sua sbandierata cultura, religione, democrazia, civiltà, ad essere il principale responsabile di un modello industriale distruttivo e stupido.
Buona parte del mio pessimismo è dovuto al fatto che coloro che apparentemente dovrebbero essere l’alternativa capace di traghettarci verso una economia sostenibile, e parlo dei no-global, dei volontari, dei pacifisti, dei cattolici del dissenso, di Emergency, di Green Peace, della Croce Rossa, della sinistra radicale, non abbiano accolto e dato priorità assoluta al “manifesto”, etico e razionale, di Umberto Veronesi che invita al disarmo mondiale con l’obiettivo di destinare questo denaro alla salute, alla istruzione, all’ambiente.
Un grande scienziato, visibile a livello internazionale, campione di etica e di sapere scientifico, vede cadere nel silenzio il suo appello, pubblicato da l’Espresso, contenente l’unica cosa seria che c’è da fare.
E’ la certificazione di morte della ragione e della speranza.
Paolo De Gregorio