Ho la testa piena di pensieri difficili.
Inviato da Jacopo Fo il Dom, 02/08/2009 - 14:01Torno a pensare a com’ero io a 18 anni.
E la cosa che mi pare piu' strana e' che ero perfettamente convinto che il mio destino sarebbe stato quello di morire di li' a poco, dando la vita nel tentativo di fermare le ingiustizie.
L’alternativa fortunata sarebbe stata quella di farmi una quindicina di anni in prigione, oppure il resto della vita in clandestinita'.
Per fortuna poi ebbi uno sprazzo di buon senso e abbandonai l’idea di rovesciare lo stato borghese con le armi. Capii improvvisamente che gridare in corteo: “fascisti, borghesi, ancora pochi mesi” era una stronzata pazzesca. Cosi' disertai dall’armata rossa appena prima che si iniziasse a sparare, senza aver mai pestato nessuno. E ringrazio per questo. Vivere con il rimorso sarebbe stato terribile.
Ma ripensando a come ragionavo 32 anni fa mi stupisco ricordando che eravamo convinti. Assolutamente convinti di dover dare la vita per la rivoluzione. Non tutti probabilmente. C’era sicuramente chi era malato di incoscienza ebefrenica e non si rendeva conto di niente. Credeva di essere dentro un gioco. Ma come me molti altri avevano chiaro in testa cosa li aspettava.
Non ce ne fregava un cazzo. Non c’era una seconda possibilita'. Una scelta. Avevamo visto le ingiustizie del mondo e non eravamo disposti a tollerare.
Era un sentimento GRANDIOSO. Mentre pensavi che cosa sarebbe successo di te e contemplavi la possibilita' di morire o subire le torture in prigione, ti sentivi onnipotente proprio perche' eri disposto a bruciare la tua vita per una questione di principio.
Magnificenza giovanile.
Potremmo discutere a lungo di estremismo, di idee sbagliate, di incapacita' di essere realistici, concreti, fattivi, della difficolta' di capire che se vuoi cambiare il mondo devi procedere per piccoli passi, con umilta' e pazienza, non fare lo spavaldo sulle barricate…
Ma quel che mi interessa in questo momento e' capire come mi sentivo, dal punto di vista esistenziale. Come era possibile che io non vedessi tutti i chiari segnali che mi dicevano che ero dentro un sogno allucinatorio, che non c’era nessuna classe operaia pronta a insorgere in armi, che tutti i discorsi dei leader che volevano mandarci al massacro (e in parte ci sono riusciti) erano fatti di retorica e aria fritta? E soprattutto perche' non me ne fregava niente di morire?
Non che non avessi paura. Ero un fifone. Prima degli scontri con la polizia avevo delle coliche renali causate dal panico. Ma quando iniziavano a sparare i lacrimogeni mi passava tutto. Miracoli della mente. Mi rendevo perfettamente conto dei rischi che correvamo. E ne discutevamo anche, nella cellula combattente che stavamo creando. Discutevamo sul fatto che si doveva resistere per 12 ore alle botte, dopo l’arresto, per dar tempo ai compagni di scappare.
Si puo' parlare di lavaggio del cervello, di potere del gruppo, di perversione dell’ideologia dogmatica, di delirio collettivo.
Ma onestamente mi pare che ci fosse qualche cosa di piu'. Oserei parlare di intollerabilita' della vita.
A un certo punto capisci come funziona il gioco. Che devi morire prima o poi e se ti va male prima di morire soffri in modo assurdo.
Che si invecchia, che si rischia di finire a fare un lavoro di merda che ti avvelena la vita.
I giovani guardano il mondo con occhi nuovi.
Ci sembrava impossibile non trovare l’amore perfetto. Ci sembravano assurdi certi matrimoni che si vedevano in giro.
Da giovani coltiviamo forse un punto di vista estremamente critico verso il mondo degli adulti.
Ci sembra incomprensibile, mostruoso.
Gretto, meschino, irrazionale, ingiusto. Regole finte che si cerca di far rispettare ai figli mentre i genitori fanno ben altro.
Credo che da giovani ci si senta impenetrabili dalle piccinerie e incoerenze che ci accalappiano nella vita. L’anima pura, l’assenza di peccato, il non aver sperimentato il fallimento…
E forse in noi tutto questo era moltiplicato dall’illusione di essere giunti al momento cruciale della storia del mondo: quando le masse si sollevano e ripuliscono la terra dai malvagi.
Quando sei giovane sei perfetto. E’ il mondo che e' sbagliato.
E come darti torto? E’ proprio cosi'. Sei senza peccato. Il mondo lo hai trovato cosi' com’e', mica lo hai fatto tu. Tu sei arrivato quando il guaio era gia' fatto, tu sei stato colpito, ferito, da un’eredita' di merda.
Ma per fortuna sono arrivati quelli come te che metteranno a posto le cose una volta per tutte.
Il complesso del Messia-Redentore e' una tipica forma mentale giovanile?
Poi passa il tempo. Ti accorgi che i membri dell’Armata Rossa sanno essere anche loro stronzi.
Pensi che la storia e' con te e gli stronzi sono una tassa. Una difficolta' in piu' che rendera' ancora piu' saporita la vittoria.
Poi sperimenti il fallimento. Il tuo fallimento. Quando succede la prima volta e' molto dura. Il primo tragico momento in cui non puoi piu' dare la colpa a nessuno per quello che e' successo: sei tu lo stronzo. Sei ANCHE tu uno stronzo.
Molti impazziscono, molti rifiutano la realta'. Altri si rassegnano, cambiano ideologia come si cambia un maglione e diventano direttori di banca o di un quotidiano. Altri cercano di farsene una ragione di convivere con la coscienza della propria imperfezione. Forse e' questo che ti rende adulto.
Guardo le vite di chi era con me a complottare per la rivoluzione comunista. La rivoluzione perfetta che avrebbe dovuto vincere e cancellare i mali del mondo.
E’ stato un massacro. Delle nostre vite. Impazziti, suicidati, carcerati, fuggiti all’estero, piombati nel vortice della violenza, uccisi dalle raffiche di mitra del potere, stroncati dalla droga, e poi molti che si sono suicidati dentro per un po’ di soldi; o forse solo per un po’ di pace interiore.
Forse c’e' un grande disagio a una certa eta'. Un rifiuto caparbio, estremo, cieco, verso i limiti del mondo, della propria vita, delle proprie capacita'.
Ho sempre pensato che il mio personale arroventarsi dell’anima fosse dovuto alle mie personali storie. Ho sempre creduto di essere impazzito perche' avevano rapito, massacrato e stuprato mia madre. Solo dopo sono diventato violento. Ma forse quel che mi e' successo mi ha dato magari una spinta in piu'... Ma l’avrei fatto lo stesso. O forse proprio la mia disgrazia mi ha salvato. Perche' avevo un’idea chiara di cosa fosse la violenza, sapevo della devastazione che porta. Forse per questo mi sono fermato quando mi hanno messo una pistola in mano e mi hanno detto che avrei dovuto usarla. Ho restituito la pistola e ho detto no. Soprattutto perche' sentivo qualche cosa che suonava male nei miei compagni. Ho capito che per troppi di loro la rivoluzione era un gesto estetico, un sedativo mentale, una pulsione generica anche se potente. Io cercavo la vendetta. Cercavo dei morti con dei nomi e dei cognomi. Non mi potevo accontentare di gesti di violenza insulsi, che colpivano a caso chiunque stesse dall’altra parte della barricata. Il mio caposquadra mi disse che voleva formare un gruppo che per entrare dovevi aver sgozzato un poliziotto col coltello. Io lo guardai e mi dissi: “Questo e' pazzo”. Perche' cazzo dovevo aggredire per strada un poliziotto qualsiasi? Magari era una brava persona. La mia domanda di vendetta era troppo precisa, troppo perfetta per potersi accontentare di generico sangue nemico.
Pochi giorni dopo nella mia scuola prendemmo un fascista e lo chiudemmo in un’aula. L’intenzione era interrogarlo. Eravamo in quattro. E ci metto poco a capire che gli altri tre volevano picchiarlo per farlo parlare. Io pensai che non avrei mai tollerato nell’Armata Rossa, nella mia Armata Rossa, quella che vendica le madri violentate, gente capace di torturare un essere umano. Dov’era la differenza senno'?
Dissi al ragazzo: “Vattene.” E guardai i tre miei compagni con odio. Non ebbero il coraggio di dire niente.
Iniziai a capire perche' la rivoluzione armata fa schifo.
E dovetti iniziare a rassegnarmi al fatto che non ci sarebbe stata la rivoluzione coi colpi di fucile sparati dai tetti e l’esercito comunista che entra a Milano cantando “Armata Rossa torrente d’acciaio”. Avevamo perso.
Ma per sedare la mia rabbia interiore ho impiegato ancora anni. Anni ad accettare che non ci sarebbero state neanche rapide rivoluzioni culturali. Anni per capire che dovevamo spostare le montagne con i cucchiaini. Che a cambiare il mondo ci vuole tempo. Molto tempo.
E per farlo ho dovuto prendere a schiaffi il mio eroe interiore. Quello che voleva assaporare il vento della rivolta, in piedi sulla barricata, cantando.
Dopo tanti anni vorrei recuperare qualche cosa di quel ragazzo che era disposto a morire con impeccabile limpidezza e che aveva una voglia sfrenata di una vita meravigliosa, piena, entusiasmante.
C’era molto di buono in lui. Non la predisposizione alla violenza ma il sogno, il rigore, la forza.
E forse dovremmo scoprire come fare a tenerla ben presente quella sensazione di giovinezza. Sono passati pochi decenni, un istante rispetto alle ere geologiche.
Non siamo vecchi, siamo solo un po’ impolverati.
Ho iniziato questo articolo pensando di scrivere a proposito del fatto che Morucci ha fatto una conferenza in una sede di fascisti estremi. E’ storico che dopo anni di guerra ci si incontri.
Noi avevamo ragione, loro torto, perche' noi andavamo nella direzione della storia, loro remavano contro. Noi credevamo alla positivita' del mondo, loro erano asserviti all’entropia. Ma anche noi avevamo dei torti. Molti. E tolleravamo una quantita' enorme di pezzi di merda nelle nostre fila… L’importante era essere piu' numerosi…
Ma in una cosa noi e i fascisti eravamo uguali, eravamo estremamente giovani, idealisti e disgustati dal mondo.
Ho iniziato pensando di scrivere su questo. Poi sono caduto nei vortici dell’argomento. Questioni delle quali non si parla quasi mai all’interno del movimento: la filosofia della non violenza, l’irruenza giovanile, la cecita' giovanile, l’onesta' giovanile. Sembra piu' importante parlar male tutti i giorni di Berlusconi. Questo modo di intendere la politica m’ha rotto definitivamente i coglioni.
Sono queste le cose delle quali dobbiamo parlare adesso. La vita. Perche' siamo diventati padri a nostra volta. Perche' una nuova onda ribelle sta ragionando sulla possibilita' di prendere in mano le armi per farla finita con le ingiustizie del mondo.
E anche perche', adesso per davvero, in modo inaspettato, siamo in mezzo alla rivoluzione dei computer e delle ecotecnologie, delle comunita' virtuali e dell’accesso alla comunicazione, tutto e' cambiato in 10 anni e tutto cambiera' ancora nei prossimi 10.
Il futuro e' qui. Ora.
Prendiamola con calma e cerchiamo di divertirci. E di avere pieta' di noi stessi e dei nostri nemici.
Anche essere dei cinquantenni ha i suoi vantaggi, se non ti dimentichi di quando ne avevi 18.