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Tutto quello che le tv per bene non ti raccontano

Il Servizio d’Ordine e' criminale?

Cosa succede quando gli studenti si organizzano militarmente? E’ un bene?
Troppi dei commenti ai miei articoli dei giorni scorsi sono intrisi di parole gravi. E’ indiscutibile che una grande fetta di giovani non ne puo' piu' di questa Italia corrotta che ruba il loro futuro. Hanno ragione. Hanno tutte le ragioni. Ed e' ovvio che di fronte a una polizia che picchia ci sia qualcuno che si stanchi di porgere l’altra guancia.
Siamo di fronte a un bivio storico per il movimento studentesco: bisogna scegliere se e come intraprendere la via violenta.

Io credo che a volte non bisogna solo decidere se un’azione sia giusta; bisogna anche valutare se con quell’azione si possono ottenere i risultati desiderati.

L’Anc di Nelson Mandela ad un certo punto della sua lotta contro il fascismo razzista sudafricano intraprese azioni violente ma ad un certo punto decise di interromperle perche' sarebbero state controproducenti e grazie a questa elasticita' di pensiero ottenne la parita' dei diritti per i neri.

In questo momento molti sostengono la necessita' di costruire un servizio d’ordine efficiente, che impedisca ai provocatori e alle frange violente di usare i cortei come palcoscenico e come protezione per le loro scorrerie a sfasciar vetrine.
Vorrei qui raccontare cosa successe nel 1969 quando il Movimento Studentesco di Milano di trovo' di fronte allo stesso problema.
Credo che la nostra storia possa offrire informazioni interessanti, utili per i giovani che oggi devono decidere che fare e come farlo.
E questo anche perche' pochi hanno raccontato cosa successe veramente.
Leggo ad esempio, con raccapriccio, sul Corriere, l’intervista a Mario Martucci, che era tra i capi dei Katanga, il servizio d’ordine del movimento studentesco.
In questa intervista Martucci, oggi passato a posizioni politiche centriste dopo un transito alla corte di Craxi, magnifica le capacita' dei Katanga nell’evitare sfasci di vetrine. Vero.
Ma Martucci tace su tutto il resto.
Per una serie di casi, mi trovai alla Statale di Milano quando venne annunciata la fondazione dei Katanga, che ancora non si chiamavano così.
I fasci avevano compiuto una serie di assalti e imboscate mandando all’ospedale molti compagni. Tramite il passaparola un centinaio di “compagni fidati” erano stati convocati in un’aula dell’Universita' Statale (Lettere). Un ragazzone fece un discorso molto breve. Disse grossomodo: i nostri compagni sono all’ospedale, uno e' gravissimo, qui non parleremo di  questo, siamo qui perche' dobbiamo vendicare i nostri compagni. E’ ora che il movimento risponda alla violenza e per inciso abbiamo deciso di strutturare un servizio d’ordine permanente, dobbiamo sapere su chi possiamo contare. Ora discutiamo di come farla pagare ai fascisti. Usciamo di qui e andiamo a fargli visita. Chi non se la sente esca subito.
Io avevo 14 anni e non me la sentivo proprio. Così mentre un compagno distribuiva spranghe a tutti i presenti, una sessantina, io e qualche altro e quasi tutte le ragazze ce ne uscimmo. Mi vergognavo tremendamente… Ma non avevo mai dato neppure uno schiaffo a qualcuno e non me la sentivo proprio di partecipare a un raid a bastonate.
Nella mia testa non passo' neanche il minimo dubbio sul fatto che comunque quei compagni stessero agendo giustamente. Avevamo subito pestaggi e assassinii e ad eccezione di qualche reazione spontanea durante le cariche della polizia non avevamo mai dato una risposta organizzata alla violenza del potere.
In effetti poi qualche perplessita' la sentii, nella mia coscienza, quando una compagna, con qualche anno piu' di me, che aveva partecipato al raid mi racconto' cos’era successo.
Era restata un po’ sconvolta anche lei… Erano arrivati da varie direzioni in San Babila, erano entrati contemporaneamente in due bar ritrovo dei fascisti, massacrando tutti gli avventori giovani, in sei o sette erano finiti in ospedale con varie fratture e commozioni craniche. Era un’azione di giustizia sommaria e non c’era modo di sapere che livello di responsabilita' avessero quei ragazzi presi a bastonate. Essere in quel bar era una prova sufficiente della loro colpevolezza?
La mia amica era restata scioccata anche dalle istruzioni che un pazzo dava in macchina mentre andavano in San Babila (percorrendo un lungo giro per arrivare dal lato opposto). I consigli vertevano sui punti da colpire per provocare danni permanenti senza uccidere: gomiti e ginocchia.
Mi chiesi se non fosse una cosa orribile. E decisi che quel modo di ragionare era mostruoso ma in fondo non lo condannai completamente… Erano “compagni che sbagliano” ma comunque erano compagni.
Non partecipai alla prima assemblea del servizio d’ordine al completo. Ma ne ebbi un racconto dettagliato. Si trovarono circa trecento compagni scelti tra i piu' validi e fidati. Erano presenti anche una ventina di ragazze tra le quali una mia amica che era veramente imponente. Il primo intervento lo fece Luca Cafiero, che era professore, eletto anni dopo al parlamento come indipendente nelle liste del PCI e ora filosofo. Inizio' dicendo: “Fin dai tempi delle rivolte degli Iloti contro l’aristocrazia ateniese, il sasso e' stata l’arma principale dei ribelli”.
Le prime azioni dei Katanga furono in effetti improntate sulla tradizione della falange greca.
Storico fu il primo assalto frontale contro la polizia qualche settimana dopo.
I Katanga attaccarono frontalmente le forze dell’ordine in ranghi serrati. Le scariche di pietre venivano lanciate contemporaneamente da ogni fila che ubbidiva alle grida del capocordone.
La polizia non era preparata a reggere la carica e il corpo a corpo con un quadrato compatto di uomini che permetteva a quelli della seconda e terza fila di lanciare pietre a distanza ravvicinata mentre gia' la prima fila iniziava a colpire con le spranghe. E mentre le spranghe delle seconda fila venivano a dar man forte a quelle della prima fila, la terza fila e la quarta continuavano a scagliare pietre.
Notevole fu poi la capacita' dei Katanga di ritirarsi subito dopo l’assalto devastante e disporsi dietro ai “Giornalisti Democratici”. In questo modo i poliziotti inferociti massacrarono i giornalisti. Il giorno dopo il Corriere della Sera uscì con articoli di fuoco contro le Forze dell’Ordine che scavalcarono a sinistra i volantini del movimento.
I Katanga si allenavano in palestra, avevano una disciplina impressionante, marciavano in formazione e difendevano i cortei in modo estremamente efficiente.
Le cose iniziarono a migliorare.
Salvo per il fatto che avevamo alzato il livello dello scontro e qualche compagno ci rimise la pelle.
Fui sconvolto vedendo Santarelli rantolare dopo che un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo lo colpì in pieno petto. Morì di lì a poco. Ma l’orrore che provai non mi fece venir dubbi sul percorso che stavamo seguendo: la polizia e i fascisti ci attaccavano quotidianamente e noi dovevamo difenderci. I Katanga erano quello che ci serviva. Ogni compagno che moriva ci rendeva piu' determinati a combattere.

Ma ben presto iniziarono le scissioni. E ogni gruppo che nasceva si costruiva il suo servizio d’ordine. Io entrai nel Gruppo Gramsci che aveva il servizio d’ordine piu' minuscolo e sfigato della citta'. Eravamo una ventina.
Poi successe che il Movimento Studentesco che era diventato anch’esso un “partito”, diretto da Capanna, perse alcune assemblee di facolta', cosa gravissima perche' permetteva ai vincitori di chiamarsi Movimento Studentesco di quella facolta'. Mentre quelli restati con Capanna rivendicavano l’esclusiva della sigla MS.
Dalla sconfitta in assemblea scaturirono accuse di brogli e cammellaggi e iniziarono le botte. Decine di feriti in tutta la citta'. Poi iniziarono i pestaggi nei licei. Al Berchet, dove studiavo, arrivarono in 4, all’ora di uscita, uno aveva una lista di nomi in mano. Chiesero: “Chi e' Minervini?” Minervini li guardo' perplesso: “Sono io.” Gli saltarono addosso con le chiavi inglesi e lo lasciarono per terra sanguinante. Non facemmo in tempo a reagire che erano gia' scappati a bordo di un maggiolino. 
Indiscutibilmente i Katanga erano molto abili.
Ma scatenarono una guerra che duro' mesi e che arrivo' a parossismi come l’assalto a Scienze presidiata da un migliaio di militanti armati di bastoni e pietre. I Katanga arrivarono in formazione da combattimento, disposti in quadrati composti da un centinaio di uomini ciascuno.
Solo l’intervento della polizia evito' una battaglia campale tra gli eserciti dell’estrema sinistra.
Poi ci fu il massacro dei militanti di Lotta Comunista, che diedero l’assalto alla Statale e furono picchiati selvaggiamente con scene di bassa macelleria.
Per un paio di anni i feriti a causa degli scontri tra compagni furono piu' del doppio di quelli causati da fascisti e polizia.
E molti episodi che vennero denunciati come aggressioni fasciste erano in realta' scontri tra compagni. E ci furono casi gravissimi che vennero nascosti. Ad esempio quando un dirigente trotschista si trovo' sotto casa una squadra di Katanga e reagì sparando.
Ovviamente questa lotta fratricida disgusto' molti e fu la causa principale di un allontanamento di massa dalla politica.
E fa un po’ senso che a distanza di 40 anni il Corriere della Sera pubblichi un’intervista nella quale l’ex comunista Marcucci si vanta sostanzialmente delle proprie gesta. E anzi racconta, con una punta di vanagloria, di quando fece mangiare a Gad Lerner una mozione che Gad aveva appena scritto. Martucci ricorda male, non eravamo al Berchet ma a Scienze, in aula magna, mi pare il giorno precedente alla marcia dei Katanga sulla facolta'.
E Gad non si rimangio' molto. Visto che c’eravamo anche noi a presidiare Scienze. E anzi le minacce di morte di Martucci furono tra le gocce che fecero traboccare il vaso e che portarono alla decisione di tutti i gruppi milanesi di coalizzarsi per fermare i Katanga. C’erano quelli di Architettura che avevano sbaragliato la polizia per un’intera notte, c’era Lotta Continua, che si portava dietro la Banda Bellini, duecento ragazzi delle periferie che si ritrovavano in una palestra di boxe, e c’erano Lotta Comunista e Avanguardia Operaia, piu' una decina di gruppi minori.
Io mi chiesi se sarei riuscito a picchiare un compagno.
Io facevo politica per cambiare il mondo ma mi rendevo conto che stavamo facendo ben altro.
Quel giorno ebbi la sensazione che fossimo arrivati alla fine del movimento.
Mi dissi che non avevo voglia di dare una sprangata a un compagno e mi ritirai nelle retrovie. Non sapevo che cosa avrei fatto se i Katanga avessero sfondato la prima linea e mi fossi trovato di fronte la carica delle falangi di Capanna.
Avevo una spranga in mano, nessuna voglia di usarla e una grande amarezza dentro. E benedissi la polizia quando arrivo' e si mise tra noi e i Katanga. E lo fece anche in modo incredibilmente pacifico. Peraltro nessuno aveva intenzione di attaccare la polizia: eravamo lì per picchiarci tra di noi.
Pochi dei giovani di allora hanno raccontato questa parte meschina della rivolta degli anni settanta. Ed e' un peccato. Se non si digerisce la propria storia si espongono i nostri figli al rischio di compiere gli stessi errori. Se i partigiani ci avessero raccontato anche la parte sporca della guerra di liberazione (ci fu anche questo) forse noi avremmo riflettuto un po’ di piu' prima di decidere che il migliore strumento a nostra disposizione per cambiare il mondo era un tondino di ferro lungo 50 centimetri.
Non dico che la rivolta studentesca fu solo una storia di servizi d’ordine. Dico che a un certo punto la logica della violenza riuscì a mettere in secondo piano, nei fatti, la nostra lotta per il cambiamento. Eravamo troppo impegnati a difenderci e contrattaccare militarmente per occuparci con energie sufficienti di costruire il nuovo.
La violenza non e' solo orribile. Possiede anche una straordinaria forza di accentrare su di se' le energie. Se inizi a praticare la violenza essa finisce per monopolizzare le tue migliori capacita'. E’ difficile combattere e pensare nello stesso momento.