Afghanistan. Pacifisti o no?
Inviato da Jacopo Fo il Lun, 07/17/2006 - 10:59E’ vero che non possiamo minare il governo Prodi.
L’Italia non ce la farebbe a sopravvivere al ritorno di Belfagor.
Ma è vero anche che la missione Onu in Afghanistan NON risponde nella pratica agli scopi che ufficialmente si è imposta: non stiamo portando la pace e la democrazia in Afghanistan.
Attualmente in Afghanistan NON vengono rispettati i diritti umani, esistono carceri che reggono il confronto con i lager nazisti (come hanno affermato ispettori dell’Unione Europea).
Nel parlamento di Kabul siedono una serie di criminali ex talebani e signori della guerra altrettanto criminali. E spesso questi personaggi sono anche trafficanti di oppio.
Si spendono miliardi di euro in questa missione militare e si fa ben poco per soccorrere le popolazioni ridotte alla fame e far ripartire l’economia.
Prova di questo disinteresse per il primo obiettivo di questa missione è che a Kabul decine di migliaia di donne sono costrette a prostituirsi per mangiare, con grande soddisfazione dei componenti della missione di pace che sono i loro principali clienti.
Molte aree dell’Afghanistan inoltre sono controllate in modo feudale e crudele dalle bande criminali e dalla mafia dei signori della guerra. Contemporaneamente la criminalità comune è esplosa e provoca un numero enorme (e neppure quantificabile) di morti e un carico di violenza e corruzione insostenibile.
Visti i risultati si può dire solo che questa missione di pace è una vergogna.
La terza evidenza è che se, per assurdo, l’Onu abbandonasse l’Afghanistan in questo momento, il paese precipiterebbe in un caos ancora peggiore. Una guerra civile totale e inarrestabile in stile somalo ma cento volte più grave. In Somalia non c’è nessuna enorme ricchezza. In Afghanistan c’è il 70% dell’oppio prodotto nel mondo e le vie di transito del petrolio dalla Russia verso l’India.
Quello che vorremmo perciò non è che l’Italia ritirasse le truppe dall’Afghanistan ma che usasse la sua presenza per praticare uno stile diverso e per prendere iniziative concrete contro l’illegalità e le connivenze tra i vertici Usa e i signori della guerra.
E soprattutto per agire veramente in soccorso delle popolazioni. E questa è l’unica via da percorrere se si vuole riportare la pace e la democrazia in quel paese martoriato. Altrimenti la missione di pace scivolerà in un pantano come quello iracheno con un costo di morte, anche per i nostri soldati, enorme.
Tante cose si potrebbero realizzare per aiutare veramente quel paese.
Ma non è nel nostro potere ottenerle.
Comunque questo dovrebbe essere il terreno di scontro.
Limitarsi a votare no alla missione senza proporre alternative è sterile. Incentrare tutto lo scontro sul principio assoluto del ritiro delle truppe non ha senso. Non siamo contrari a una missione di pace in Afghanistan. Siamo contrari a QUESTO MODO DI GESTIRE la missione.
Bisognerebbe sfruttare lo spazio che ci dà essere in questa missione per cercare di cambiarne la strategia.
Inoltre i parlamentari come Franca non possono rompere il patto che li ha portati in parlamento e votare no e contemporaneamente sperare di sviluppare battaglie vitali per l’Italia come quella del taglio degli sprechi dello stato.
L’unica mossa coerente in questa direzione sarebbe dimettersi, ma così sprecheremmo un’occasione storica per proporre una nuova cultura politica usando il megafono parlamentare. Ed è per fare questo che Franca si è candidata. Non ha certo promesso che sarebbe stata capace di trasformare Prodi in un bel principe no global.
Oggi il massimo che possiamo veramente ottenere è aprire un dibattito su COSA stiamo facendo e COME.
Non è una posizione facile o comoda.
Ma credo che si otterrebbe un grande risultato se solo si provocasse l’apertura della discussione.
Non si capisce perché la sinistra italiana quando aderisce a queste missioni Onu lo debba fare acriticamente.
Senza contrattare, senza far sentire il proprio peso nelle decisioni essenziali.
Questa è stata la nostra posizione da sempre: essere realisti e tentare almeno di aprire il dialogo e ridurre il danno.
Quando sotto D’Alema i nostri soldati furono inviati in Kossovo tentammo di convincere il governo a pretendere in cambio dell’adesione alla spedizione militare garanzie da parte degli Usa sul non uso di armi all’uranio impoverito.
Uscì sul Corriere della Sera un nostro appello.
Non fu fatto nulla ed ora abbiamo una scia di morti tra i nostri soldati, tra i serbi e i kossovari. E anzi si fece peggio di niente. Si fece finta che il problema dell’uranio impoverito non esistesse. D’Alema non si preoccupò neppure di fare pressione sui nostri generali perché adottassero precauzioni. Così, nelle aree bombardate con i proiettili all’uranio impoverito, i nostri soldati in pantaloncini e maglietta guardavano allibiti i militari inglesi e Usa che arrivavano protetti da tute spaziali. Anche solo adeguarsi agli standard di sicurezza Usa avrebbe permesso di risparmiare decine di morti.
Ci piacerebbe convincere il governo Prodi a non ripetere simili errori e non andare in Afghanistan in modo miope e improduttivo.
Certamente la scelta di essere presenti in queste missioni cercando di opporsi ai crimini di guerra e cercando di limitare la miseria (che come sanno anche gli stupidi alimenta il terrorismo e la criminalità) non è facile.
Ma sarebbe l’unica scelta in grado di unire la gente di buona volontà e far fare passi avanti alla pace.