Si può guadagnare usando il denaro per salvare il mondo?
Inviato da Jacopo Fo il Dom, 11/03/2013 - 00:44Il movimento progressista italiano ha sempre avuto grossi problemi con i soldi.
La moralità cattolica si è fusa con quella comunista creando un mix micidiale: il cattocomunismo.
Uno degli assunti di questa sub filosofia è che chi ha denaro è sempre cattivo.
Questo perché il cattocomunismo è fermo alla struttura economica di un secolo fa, i ricchi sono unicamente i padroni col cappello a cilindro e le mani sporche del sangue operaio.
Questa visione del mondo non tiene conto che vi sono oggi molti ricchi e ricchissimi che non hanno mai sfruttato il lavoro altrui. Artisti, inventori, sportivi… Dove sta la colpa se sono riusciti a far fruttare il proprio ingegno? A chi hanno nuociuto?
E ci sono anche molti imprenditori che hanno scelto di avere un rapporto di rispetto ed equità verso i lavoratori. Non si può equiparare un Cucinelli, che dà 6 milioni di euro di partecipazione agli utili ai suoi dipendenti, con il padrone delle ferriere ottocentesco.
A causa di questo razzismo culturale in Italia non hanno avuto fortuna giganti come Olivetti, che solo recentemente si comincia a considerare… Uno che è stato sempre isolato da cattolici e comunisti perché aveva la colpa di aver praticato una rivoluzione nella concezione dei prodotti, della comunicazione e del rapporto con i dipendenti riuscendo contemporaneamente a far quadrare i bilanci. Uno che nel 1930 già organizzava e finanziava cooperative di autocostruzione delle case, percorsi di formazione gratuiti, asili nido e vacanze al mare per i bambini…
Una grande utopia concreta che ha trovato intorno a sé un muro.
La dominazione culturale del cattocomunismo ha impedito che il movimento progressista italiano si dotasse di strumenti di progresso che richiedono di stabilire la collaborazione tra chi ha progetti e chi ha denaro e la voglia di investirlo in cause giuste.
La stessa idea che si possa guadagnare praticando una finanza etica risulta incomprensibile. L’idea corrente è che se vuoi guadagnare devi mettere i soldi nella finanza imperialista, se invece vuoi essere etico devi rinunciare a qualunque guadagno. Riprova di questo è che in Italia non esistono fondi di investimento o altri prodotti finanziari che investano in progetti progressisti e al contempo diano dividendi.
Sono dieci anni che faccio tentativi in questa direzione senza trovare interlocutori validi…
Che cosa succederebbe invece se chi ha un po’ di disponibilità economica togliesse i suoi soldi dalla finanza crudele e li spostasse su progetti che funzionano economicamente ma hanno anche ricadute positive sull’umanità e sul pianeta?
Perché non esiste modo di investire, ad esempio, sulle decine di aziende che in questo momento in Italia hanno in mano brevetti ecotecno strepitosi e impazziscono per riuscire a trovare i mezzi finanziari per farli arrivare sul mercato?
C’è la crisi, c’è la disoccupazione e nessun partito o ente si preoccupa di far rendere invenzioni straordinarie…
Parlo ad esempio delle caldaie a ultrasuoni brevettate dalla Kwant, azienda che ha addirittura chiuso il suo sito internet. Parlo dell’eolico senza pale, dell’idrico a basso impatto, della bioplastica, della pirolisi… Le aziende italiane sono leader mondiali dal punto di vista delle idee, ma devono lavorare senza aver dietro una struttura finanziaria al livello della loro qualità…
Questa è la più grossa partita in corso: riuscire a finanziare l’innovazione…
Ma trovatemi un partito o un movimento italiano che abbia tra le sue azioni portanti quella di costruire un sistema di finanziamento alle ecotecnologie. Trovatemi dove c’è scritta una sola parola su questo argomento!
Zerototale!
Per fortuna l’Italia sta in mezzo al mondo…
E dall’estero ci arrivano potenti sollecitazioni.
Il premio Nobel Mohamad Yunus, dopo lo straordinario “Il banchiere dei poveri” ha scritto un altro libro rivoluzionario: “Un mondo senza povertà” (Feltrinelli).
Yunus teorizza la necessità improrogabile di costruire, a fianco del movimento caritatevole (che offre il primo soccorso) e al movimento per l’economia etica (ad esempio il microcredito che presta a tasso minimo e non riconosce utili agli investitori) anche una terzo tipo di iniziativa.
Yunus parla di Capitalismo Etico.
Ad esempio, il colosso multinazionale Danone ha investito 150 milioni di euro in una società realizzata insieme alla banca dei poveri di Yunus. Obiettivo della società era quello di sviluppare un cibo per neonati a basso costo che potesse evitare la strage che avviene dopo lo svezzamento a causa di un’alimentazione troppo povera. Yunus capì che questo dramma si poteva eliminare veramente non attraverso la carità ma creando un nuovo prodotto, che fosse alla portata delle famiglie povere del Bangladesh.
I punti del progetto erano:
- Produrre un integratore alimentare con un prezzo bassissimo (risultato che richiedeva enormi spese iniziali per studi, sperimentazione e realizzazione degli impianti produttivi).
- Creare un’azienda che producesse utili in quantità sufficiente da poter restituire nel tempo alla Danone i soldi investiti, rivalutati (e quindi desse la possibilità di chiedere alla Danone di reinvestire nella produzione di altri prodotti innovativi capaci di migliorare le condizioni di vita dei più poveri).
La cosa ha funzionato grazie a una soluzione geniale: uno yogurt arricchito distribuito senza il circuito del freddo. Lo yogurt viene consegnato in giornata, quello che avanza viene regalato. Niente frigoriferi per raffreddarlo alla fonte, per trasportarlo, per conservarlo per giorni… Viene distribuito da venditori in bicicletta e costa la metà di quello refrigerato.
E Danone non ha solo prestato i soldi guadagnandoci solo la rivalutazione, ha avuto un vantaggio pubblicitario enorme che si svilupperà nel tempo modificando l’immagine dell’azienda… Perché Danone ha salvato la vita a migliaia di bambini e questo fa piacere ai consumatori e ai dipendenti.
L’idea centrale di Yunus, che noi sosteniamo da 30 anni, è quella di creare nuovi prodotti capaci di offrire alle persone possibilità migliori. Quello che impedisce alle persone di vivere meglio è innanzi tutto la qualità dell’offerta del mercato. Non riesci a produrre la tua energia elettrica se non ci sono pannelli solari in vendita.
E il semplice meccanismo dell’interesse economico impiega un tempo lunghissimo per mettere in produzione i prodotti di cui abbiamo bisogno per vivere meglio.
Io ho comprato il primo impianto fotovoltaico nel 1982, ma costava uno sproposito e funzionava malissimo. Oggi sono riuscito a installare impianti che producono 28 KW e sono veramente felice di avere una bolletta zero e di incassare ogni mese denaro dalla vendita di energia.
Costruire prodotti che permettano alle persone di migliorare la loro esperienza di vita è stato da sempre il nostro lavoro.
Abbiamo aperto un nuovo tipo di centro culturale residenziale, nel verde, con annesso ristorante biologico… In questi 32 anni decine di migliaia di persone hanno potuto frequentare corsi di formazione basati su una diversa visione della didattica, hanno potuto partecipare a produzione di libri e spettacoli realizzati con una logica collettiva, hanno potuto incontrare persone che non avrebbero mai incontrato…
Oggi stiamo costruendo un prodotto completamente nuovo che risponde a un’esigenza di molti ma che sul mercato non c’è: la possibilità di comprare un appartamento e un terreno all’interno di un ecovillaggio a bolletta zero, che offre ampie possibilità di condivisione attraverso alcuni spazi e servizi condominiali (dalla sala multifunzionale, alla lavanderia, la piscina, il gruppo d’acquisto, le auto elettriche condominiali e un sistema di telefonia e connessione web autonomo e condiviso).
Mai come oggi è possibile creare servizi, prodotti, sistemi di consociazione dei consumi.
Si tratta di un processo che cambierà la quotidianità delle persone, che farà risparmiare molto denaro alle famiglie e che produrrà cambiamenti nel modo di pensare (perché cooperare è meglio!). Ma più cresce l’importanza di quel che vogliamo realizzare più ci rendiamo conto della necessità di trovare i mezzi finanziari per costruire queste nuove opportunità.
Eppure si tratta di iniziative che sono concepite per stare in piedi economicamente, gestite in modo professionale e che offrono una tale convenienza da poter retribuire gli investitori.
Ma oggi in Italia, grazie all’odio cattocomunista verso il denaro in sé, non esiste nessuna struttura dedicata alla raccolta di denaro di investitori che desiderano far fruttare i loro soldi investendoli al contempo in qualche cosa di sensato e positivo per la collettività.
Io credo che questo sia un fronte di iniziativa essenziale perché se trovassimo il modo di finanziare ecovillaggi, ecotecnologie, un sistema di consociazione nazionale per prodotti e servizi (facciamo la nostra compagnia di telefonia cellulare!) potremmo dare un’accelerata meravigliosa al cambiamento, offrire vantaggi alle famiglie, creare nuovi modi di vivere le relazioni.
Fino ad oggi siamo andati avanti (molto avanti) grazie al fatto che un ristrettissimo gruppo di persone ha messo denaro e lavoro.
Con i mezzi a nostra disposizione siamo arrivati a dimostrare cosa vogliamo fare e che è possibile farlo. A questo punto sarebbe bello offrire a chi è interessato a investire in ecovillaggi la possibilità di comprare quote di un fondo di investimento etico. Ma creare un fondo è complesso e molto costoso e non è alla portata di un piccolo gruppo come il nostro. Allora ci siamo messi all’opera per trovare un’alternativa alla nostra portata.
Nell’ultimo anno abbiamo messo a punto, con avvocati e commercialisti, e abbiamo sperimentato con un gruppo di investitori, una sistema artigianale ma efficiente che permette di aderire al progetto di Città Verde, cioè la fase 2 dell’Ecovillaggio Solare. Stiamo creando il sistema di abitazione del futuro, il più grande villaggio europeo della cultura, dell’arte e delle ecotecnologie.
Oltre all’Ecovillaggio Solare, dove i muratori stanno ultimando la terza casa (per un totale di 19 appartamenti) abbiamo individuato e in parte già acquistato una ventina di ruderi di case e di capannoni, che possono essere ristrutturati e diventare appartamenti e spazi di incontro e di attività lavorative. Si tratta ora di finanziare la fase iniziale: completare gli acquisti, realizzare la progettazione e chiedere le autorizzazioni edilizie, per arrivare alla vendita “su carta”, cioè senza affrontare la ristrutturazione degli immobili. Venderemo i ruderi, e i progetti relativi, a famiglie che vogliono ristrutturare e abitare le case.
Cerchiamo quindi persone che vogliano associarsi con noi nell’acquisto dei ruderi, che oggi hanno una quotazione molto bassa a causa della crisi, e che vogliano rivenderli da qui a qualche anno traendo vantaggio economico dalla rivalutazione del mercato. E tanto più si svilupperà il progetto di Città Verde tanto più il valore degli immobili crescerà.
Dal punto di vista tecnico questo si realizza semplicemente con un compromesso di vendita tra me e la persona che vuole investire, perché credo che un rapporto personale con me piuttosto che con una società, dia maggiori garanzie oltre ad avere costi inferiori.
Insieme al compromesso chi decide di associarsi a questa impresa, firma un mandato a me per vendere la proprietà a un prezzo che dia un utile del 5% all’anno. Cioè si vende solo quando il mercato risale.
Non si tratta quindi di acquistare un titolo o un’azione ma direttamente una quota di un rudere e del terreno circostante. Quindi terra e pietre, cose solide che negli ultimi 2000 anni hanno continuato a incrementare il loro valore e che non sono in un posto qualsiasi ma nella valle dove abbiamo costruito Alcatraz e dove già esistono molte offerte turistiche e culturali tanto solide da aver navigato bene anche nel pieno della più grande crisi del capitalismo moderno. Una valle nella quale oltre a noi ci sono una decina di agriturismi, scuole e centri culturali. Cioè un luogo dove spontaneamente si è già creato un notevole concorso di professionalità, sogni e investimenti.
E possiamo ragionevolmente sospettare che il flusso dalle città asfissianti verso luoghi in mezzo alla natura, in aree ad alta vivacità sociale e culturale non solo continui nei prossimi anni ma si intensifichi.
L’unico limite di questo sistema è che il tempo richiesto dalla stipula di un compromesso e le spese di registrazione annullerebbero il vantaggio per piccoli investimenti. Quindi abbiamo fissato la quota minima per aderire al progetto di 2.000 euro.
La quota massima non l’abbiamo fissata, perché se domani arrivasse qualcuno chiedendoci di contribuire con 1 miliardo di euro ci piglierebbe un colpo ma, tecnicamente, non ci sarebbero problemi, ovunque in Italia ci sono costruzioni fatiscenti e abbandonate, in luoghi bellissimi, che potremmo trasformare in ecovillaggi…
Se la proposta ti interessa scrivi a [email protected] oppure telefona allo 0759229776.
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