Dario Fo

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Il mio (strano) Dario Fo

di Simone Canova

Negli ultimi giorni ho ascoltato decine di persone che mi raccontavano i loro ricordi su Dario e Franca. Per alcuni sono stati un'ispirazione, per altri veri e propri maestri, tanti mi dicevano: “A me facevano ridere”, che è un complimento bellissimo!
Per me Dario e Franca erano strani. Gli strani più meravigliosi che io abbia mai conosciuto.
Era una sera ultimi anni del secolo scorso, io ero di servizio al bar di Alcatraz. I soldi del premio Nobel, un miliardo e seicento milioni di lire erano stati destinati in beneficenza con la creazione del Comitato Il Nobel per i disabili, decine di mezzi di trasporto attrezzati erano stati distribuiti ad associazioni e Dario e Franca avevano iniziato a vendere stampe d'arte e litografie per raccogliere nuovi fondi e continuare le attività del Comitato.
Dario era in sala ad Alcatraz e ritoccava una litografia quando mi chiama: “Simone, portami un caffè per favore”.
Io arrivo con il mio bel vassoietto, la zuccheriera, il piattino, il cucchiaino, la tazzina e un fumante caffè.
Dario sorride, intinge il pennello nel caffè e inizia a “dipingere” lo sfondo della litografia. Intorno al tavolo rimaniamo tutti senza parole.
Dario: “Ora mi serve un altro colore, del rosso...”
Io, sussurrando: “Le rape rosse?”
Dario: “Sììì, le rape! Portami delle rape!”
Arrivo con un piattino e delle rape rosse precotte tagliate a pezzi, Dario ne afferra uno e ricolora il vestito della figura femminile al centro dell'opera.
Franca: “Ma Dario!”
Dario alza la tavola e la porge alla persona che l'aveva appena comprata, chiaramente incredula.
Il cartoncino profumava di caffè e aveva attaccato tutti i pezzettini di rapa rossa che Dario aveva spiccicato sopra.
Se il proprietario di quella tavola sta leggendo questo numero di Cacao sappia che ha un'opera unica, indimenticabile!

Il mio Dario Fo era strano. Siamo sempre nei primi anni del duemila, Dario deve andare da Alcatraz a Cesenatico, da solo, e io ho il grande onore di fargli da autista lungo la E45 direzione Cesena. Durante tutto il viaggio Dario gioca a raccontarmi cosa significano i nomi dei paesi, Ramazzano Le Pulci, Città di Castello, Sansepolcro, Mercato Saraceno.
Ad un certo punto ci fermiamo, pausa caffè. Mentre il barista ci serve, Dario prende La Repubblica, la guarda qualche secondo, poi mi dice: “Non vedo, leggi tu per favore?”
“Tutto il giornale?!?”
Lui ride. Gli leggo tutta la prima pagina, titoli, occhielli, incipit, articoli. Vicino a noi passano diverse persone che, ovviamente, si fermano ad ascoltare. Io che leggo il giornale ad alta voce vorrei solo diventare piccolo piccolo, sono giovane e mi vergogno tantissimo. Solo ora mi rendo conto che per cinque minuti ho recitato con Dario Fo, il mio strano Dario Fo.

Ciao Maestro!