Ribellione spirituale

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Viviamo in un'allucinazione collettiva.
La gente non vive veramente

Sei triste? Vorrei dirti due parole per tirarti su il morale.

Alcune persone parlando con Godolo, hanno scritto:”sono triste”.
Per molti questo è un momento particolarmente difficile. E per noi che siamo vicini a queste persone lo è in modo diverso ma non meno coinvolgente.
Penso a Sole, così giovane, che ha perduto la madre, Mara Gianello, morta in un incidente d’auto insieme a Mauro Monti il suo amore. Penso a A. che non vuole che si sappia che sta vivendo un momento terribile e alla sua nipotina, gravissima in ospedale. Penso a C. alle prese con un tumore e le cure invasive che si porta dietro. Penso a Eleonora che sta faticosamente stemperando il dolore per l’uccisione del padre.
E penso quanto dev’essere duro, per qualcuno, affrontare questi momenti terribili, senza avere molti amici intorno.
In questi giorni ho pensato molto a chi ha scritto, nel silenzio, di fronte al suo computer, “Sono triste”.
Ho sentito tutto questo avvilimento.
Ingiusto.
Quello che so fare è raccontare storie e vorrei regalarne una a chi sta attraversando i corridoi bui del dolore.
E’ una storia poco conosciuta di San Francesco, quando era prigioniero di guerra, costretto a vivere in condizioni che possiamo immaginare terribili, condannato ai lavori forzati.
I prigionieri dovevano restaurare le mura di Perugia. Francesco, sceglieva le pietre e le murava. E in quel lavoro alienante trovò la forza di appassionarsi a come le pietre, se si sapeva guardarle, mostrassero con la loro forma il posto esatto dove andavano messe. Questo divenne il suo gioco per ingannare il dolore della situazione. Parlare con i sassi e cercare la loro collocazione perfetta. Scoprire che nel muro era nascosta una specie di saggezza che lo faceva crescere nella forma esatta tale che le pietre che venivano aggiunte parevano fatte apposta per essere poste in quel punto.
E posso immaginare che a un certo punto quel lavoro sfiancante fosse diventato una specie di danza, e che in certi momenti le pietre venissero nelle mani del Santo una dopo l’altra, nella posizione adatta a incastrarsi, senza neppure la necessità di studiarle e rigirarle per trovare il verso giusto.
E credo che lì il Santo abbia percepito quella perfezione soggiacente, quel senso che lega le cose e i fatti. E che dallo stupore per come si srotola il divenire sia nata la sua fede nell’esistenza di un Dio capace di lasciare tracce di bellezza perfino nelle cose più negative o più insignificanti.
Anche nelle situazioni più terribili il concatenarsi degli accadimenti mantiene una sua impeccabile eleganza, agghiacciante magari, ma comunque stupefacente nell’enormità delle casualità statisticamente impossibili che l’accompagnano.
Per questo poi San Francesco si mise a ricostruire chiese abbandonate. Il gioco delle pietre che combaciano magicamente era il centro della sua fede. Il suo esercizio zen.
A quei tempi le pietre avevano un grande valore. Non le si poteva cavare a piacimento. E si racconta che Francesco trovasse i sassi per tirar su i muri delle sue chiese diroccate e depredate, sfidando i capomastri a una strana competizione. Loro costruivano un muro con la calce. Francesco ne costruiva un altro, a secco, sovrapponendo soltanto le pietre senza collante.
Poi i due muri venivano sottoposti all’urto di pietroni fatti rotolare da un pendio per saggiarne la resistenza. Incredibilmente i muri a secco di San Francesco si dimostravano più solidi e così i frati vincevano tutte le pietre utilizzate nella competizione.
Non c’è niente di buono nel dolore e dobbiamo cercare di stemperarlo continuando a vivere, a sperare e ad amare.
Ma a volte, in questo tentativo di non ascoltare soltanto il dolore scopriamo delle qualità del mondo che non conoscevamo e che diventano strumenti eccezionali per vivere.
Meglio sarebbe scoprire queste qualità bevendo e cantando in compagnia.
Ma, visto che di soffrire a volte succede, non lasciamoci sfuggire l’unico aspetto positivo di quest’esperienza infame.
Coltivare il senso dell’armonia in mezzo alla tempesta riduce enormemente il disagio e ci prepara a rinascere.
E, se posso, aggiungerei una preghiera.
A. mi chiede di non dire che sta male, perché teme che i suoi amici le telefonino e non se la sente di parlare con nessuno.
Rispetto questo suo sentimento.
Ma vorrei proprio dire che in certe situazioni bisognerebbe compiere uno sforzo per parlare, per incontrare persone che possano ascoltarti o semplicemente passare qualche momento insieme.
Affrontare il dolore da soli fa più male.
Può essere doloroso parlare all’inizio. Ma è un dolore circoscritto. Parlare lentamente disperde il male.
E se non hai amici iscriviti a un corso di Salsa, sono frequentati da persone mediamente ben di sposte verso il divertimento e la voglia di vivere.
Riscoprire la vicinanza delle persone che ti vogliono bene e aprirsi alla possibilità di incontrare nuovi amici sono medicamenti eccellenti.

Un abbraccio a tutti.