Ribellione spirituale

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Viviamo in un'allucinazione collettiva.
La gente non vive veramente

Cosa fai quando tua figlia di 9 anni ti urla:"Sei un mostro! Ti odio!"?


(Laboratorio “Genitori sull’orlo di una crisi di nervi.”)

Cavoli acidi!
Sopratutto perché lei è così piccolina e determinata e tu la ami così tanto!
Ma cosa fai? Non puoi far finta di niente sennò diventa una teppista cocainomane.
Il mio dramma educativo è iniziato alle 7 di mattina. Non voleva alzarsi. Il solito problema che la sera fa resistenza ad andare a letto e la mattina casca di sonno.
Ci sono genitori che ammiro che riescono a mettere a letto i piccoli subito dopo Carosello (ore 21, per chi è nato dopo gli anni sessanta).
Io non ci sono mai riuscito. Mi manca la disciplina mentale. E’ un virus di sinistra.
Alla fine, dopo aver tentato ogni sorta di malattia la mia piccola si è alzata. Ma come forma di vendetta mi ha annunciato che voleva il panino con la mortadella. Sospetto che ami la mortadella solo per rivalsa contro di me perché sa che sono bio vegetariano osservante. Lei è carnivora per parte di madre e ha l’intelligenza sociale di sfruttare questa contraddizione a pacchi.
Ma siccome io sono un ecologista duro, e ho vissuto la sconfitta militare degli anni settanta, avevo previsto che prima o poi sarebbe successo. E così mi ero attrezzato con una rivoluzionaria mini mortadella biologica realizzata solo con maiali equi e solidali. Quindi ho tirato fuori il mio asso nella manica per difendere gli intestini filiali e ho iniziato a affettare. Ovviamente prima ho assaggiato la mortadella (io vegetariano, cuore di padre) per accertarmi che fosse veramente il non plus ultra delle mortadelle.
Essa lo era.
Stavo affettando, con minuzia e un coltello da me affilato personalmente al livello “Spada Samurai 1” quando essa (mia figlia amatissima) mi ha detto: “Io voglio la mortadella della Merisana” (Intendendosi per Merisana, la Merisana di Casa del Diavolo da cui il nome dell’omonimo negozio supermarket). Risposi rigidamente, finendo di impacchettare, grossomodo:”Questa è la miglior mortadella del mondo, migliore anche di quella di Prodi. Se vuoi mangiar mortadella alla mattina, invece delle cialde di riso soffiato bio, con la marmellatina bio, con la tisana bio, son cavoli tuoi. Ma sei obbligata a mangiare comunque carne decente. Possibilmente non umana. Sono un padre responsabile e ti ho pure comprato quelle cavolo di vaschettine di mela frullata (BIO!) apposta per te. Piccola ingrata!”
Allorché si apre una guerra silenziosa.
Mi fermo poi davanti alla Merisana per comprare il panino fresco che è ovvio che se provo a farle il panino con il fettone di pagnottone bio mi strozza. Ma lei si intigna. Mi risponde male e io sento il sangue che sale agli occhi, mentre sto infilando, nel panino tagliato a metà, le fette di mortadella affettate meglio di un pescivendolo giapponese cattivo e impacchettate in un cazzo di film alimentare senza minchie di sostanze tossiche che si sciolgono a contatto coi grassi alimentari.
Che fare?
Premetto che con mia figlia non vale nessun tipo di minaccia, castigo o altro.
Lei è quietamente disposta a accettare qualunque punizione piuttosto che piegarsi.
Ed è una qualità che certamente non intendo ammansirle. So che nella vita le sarà più utile di qualunque altra cosa.
Ma d’altra parte qui è in gioco uno scontro epocale sul buon senso. Essere stupidi è inaccettabile. Esserlo per dispetto di più.
Quindi inutile punirla, immorale e disastroso picchiarla (non ho mai dato uno schiaffo a un bambino).
Lasciar correre sarebbe folle e distruttivo per la sua personalità.
Che fare?
Mi viene in mente che conosco una sola mamma che ha risolto in 5 ore il problema della tossicodipendenza di suo figlio.
Ha saputo alle 10 di mattina che lui (17 anni) si faceva le pere e alle 15 del pomeriggio erano su un aereo diretto nel deserto del Sahara. Detto fatto. Hanno passato i successivi 4 anni a fare il giro del mondo. Posti meravigliosi come la giungla Amazzonica, le vette del Tibet, l’Oceano Pacifico, dove non trovi una dose di eroina nel raggio di 500 chilometri.
Quando sono tornati il ragazzino aveva scoperto il senso della vita e sapeva come affrontare un coccodrillo bianco con un macete arruginito. Dell’eroina non gli importava più niente.
(Tra l’altro il costo del recupero è stato molto basso: con quello che spendi a Milano per una cena in pizzeria nella giungla ci vivi un mese. Lì non ci sono molte occasioni di fare shopping.
Il mio ragionamento è stato: devo fare qualche cosa che le dia tutta la mia attenzione (dietro le rabbie dei bambini c’è sempre un desiderio di ascolto e di attenzione), deve essere qualche cosa che la costringa però a fare i conti con i risultati disastrosi che la sua meravigliosa testardaggine rischia di provocarle se la usa male.
E deve essere qualche cosa che dà il risultato subito. Non oggi pomeriggio. Adesso.
Faccio un rapido conto della mia agenda mentale. Decido che non c’è nulla che non possa rimandare di fronte a questo problema con mia figlia. Fermo l’auto vicino alla scuola. Ma invece di portarla in aula le dico che dobbiamo camminare per schiarirci le idee. Poi mi calmo e le spiego che non posso fare nulla per cambiare il suo atteggiamento di dispetto e mancanza di rispetto. Quindi camminiamo fino a che non ragioni. Non posso picchiarti, non posso convincerti, posso solo…
In effetti non so cosa sto facendo. Difficile definirlo. So solo che sono disposto a continuare a camminare INSIEME a lei, volendole bene ma essendo inflessibile, fino a che lei non inizia a ragionare di nuovo. Sono disposto ad arrivare fino a Umbertide.
E in fondo lo trovo divertente: camminare insieme è sempre un’avventura. Il senso dell’avventura è fondamentale per i bambini. A nove anni non si sopporta una vita piatta.
Ma lei si incavola a bestia, urla, si butta per terra, piange, emette quantità inverosimili di nariccio e mi dice la fatidica frase:”Sei un mostro! Ti odio!”.
Io ci resto male perché la adoro.
Ma rifletto sul fatto che è legittimo che lei mi odi. E devo darle il diritto alle emozioni se voglio crescere un individuo intero e “in piedi”, non spezzato.
La tiro su da terra gentilmente, le do’ otto fazzolettini (uno non basta) e poi la spingo morbidamente perché inizi a camminare.
So che sarà dura perché mia figlia si fa 7 chilometri a piedi senza problemi, giusto per fare quattro passi. Ma spero che con questo freddo resista un po’ di meno. Mi fermo a chiuderle bene la giacca a vento.
Lei resiste, resta indietro, rallenta il passo. Io non intervengo più perché comunque sta camminando.
Le devo lasciare il diritto al punto della bandiera. Non devo vincere, devo solo metterla davanti al problema e farla riflettere su quello.
Quindi rallento anch’io. Mi metto dietro di lei e le lascio scegliere l’andatura. Pianissimo. Ma so che camminare molto piano fa bene. Richiede più ascolto delle sensazioni. In pratica mia figlia sta facendo un esercizio di Tai Ci. E sicuramente fa bene anche a me. Cammino e sbadiglio. Siamo sotto zero ma inizio a scaldarmi.
Dopo 3 chilometri mi dice “Torniamo indietro.”
“OK.”
“Però non vado più a scuola oggi.”
“Col cavolo.”
“Allora camminiamo.”
Dopo un altro chilometro la invito a riflettere sul fatto che tutta la strada che facciamo in avanti poi la dobbiamo rifare al ritorno. Non vacilla.
Dopo un altro chilometro arriviamo al sottopassaggio della super strada. Brutto, buio e sporco.
Lei vede un topo morto e un coltello.
“Torniamo indietro.”
Finalmente.
Torniamo indietro.
Le do’ la mano e la infilo nella mia tasca per scaldarla.
Chiacchieriamo e lei mi fa notare un sacco di cose che ha visto, come il topo e il coltello che non avevo notato. C’è
un giardino con un gatto scolpito in un cespuglio.
I due cani bruttissimi, magrissimi e incazzatissimi che da dietro una recinzione ci avevano abbaiato contro all’andata non ci sono più. Chiacchieriamo e tutto lo scontro sembra dimenticato.
Al ritorno camminiamo più veloci e dopo aver raggiunto l’auto andiamo a berci un latte caldo.
La lascio a scuola. Prima dell’inizio del dramma e della marcia avevo avuto l’accortezza di infilarle panino e succo di mela bio nella cartella.
Così non devo tornare sulla storia.
A pranzo parla con la mamma:”Questa mattina col papà siamo andati a fare una passeggiata invece di andare a scuola. Sono arrivata in classe alle 10 e un quarto. Stavano facendo merenda.” Non c’è ombra del dramma che abbiamo vissuto. Miracoli della condivisione.
Di nascosto controllo se in cartella cìè il panino. Non è importante se l’ha mangiato o meno ma sono curioso. Ne ha mangiato un terzo. Meglio. Ma sarebbe stato bene comunque il panino non era più il centro del problema. Era l’atteggiamento il problema. Taglio via il pezzo di pane sbocconcellato, affetto in 6 triangolini il panino rimasto, lo guarnisco con fettine di finocchio e lo metto in tavola. C’è un’amica della sua classe. Tutti ne prendono una fettina. Io non dico nulla. Se notassi il fatto ricreerei una gara e sarebe un disastro. Coi figli non bisogna vincere. E’ solo vietato perdere sulle questioni etiche. Sul resto si può perdere sempre.
Questi i fatti. Mi farebbe piacere conoscere il vostro parere e sapere se e come avete affrontato momenti di rottura simili.
Apriamo un laboratorio?

PS
Vorrei che il mio racconto non venisse interpretato come un invito a fare come me. Non so se ho fatto bene e non credo che l’importante sia COSA ho fatto ma COME, con che spirito, l’ho fatto. E’ poi dà considerare che camminare con mia figlia è una consuetudine che le fa piacere.
Inoltre io sono un reduce col mito della Lunga Marcia. E mia figlia lo sa. Inoltre il mio comportamento è stato inusuale. E anche lo stupore è essenziale in questo tipo di gioco. Le stesse azioni in altri contesti potrebbero essere disastrose.