Centro Ghélawé

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Le notizie e le ultime novità dal Centro Ghélawé in Burkina Faso www.centroghelawe.org

Burkina Faso - 2

Sono colpito dalla sensibilita' che sto vedendo in questo periodo in cui racconto una storia difficile, quella del Burkina Faso. Da sabato scorso e per tutta la settimana molte sono state le persone che hanno deciso di contribuire al nostro progetto in Africa acquistando i batik e le magliette, donando il 5 per mille al Centro Ghelawe' o dando una semplice dimostrazione di affetto. Di frequente nelle vostre mail ci ringraziate del lavoro che facciamo, ci abbracciate, ci chiedete di resistere.

Mi domando spesso perche' facciamo tutto questo. Gia', perche' non e' affatto facile, anzi, a volte e' una vera sofferenza. Personalmente sono giunto alla conclusione che abbiamo semplicemente sviluppato la necessita' di una giustizia superiore.
Facciamo un progetto in Africa perche' non possiamo accettare che il 20% della popolazione mondiale consumi l'80% delle risorse del pianeta.

E allora, cosa fare, come muoversi, come contribuire a riportare un po' di giustizia?

La soluzione, la strada da percorrere, e' tortuosa a dir poco. Si prenda, ad esempio, una considerazione decisamente provocatoria che si puo' leggere nel libro "Come difendersi dagli ambientalisti" (il titolo non deve ingannare: l'intero libro, non solo la frase che segue, e' intelligentemente provocatorio): quando non sprechiamo acqua, magari con comportamenti esasperati (come quel sindaco londinese che non tira lo sciacquone quando fa la pipi') quell'acqua risparmiata non viene immediatamente stornata in un paese povero. Dunque, fatica sprecata? Chiaro che no! Perche' al di la' del fatto che sfruttiamo risorse cui tutti hanno diritto di accedere, dobbiamo comunque puntare a un riequilibrio nella distribuzione dei beni essenziali. E cio' possibile in tanti modi
Per esempio una parte dei soldi ricavati dalla vendita dei riduttori di flusso, dei filtri per l'acque potabile e piu' in generale dagli acquisti su CommercioEtico in questi anni, hanno contribuito alla costruzione di un pozzo in Burkina Faso (e spero contribuiranno fino al completamento del progetto).
In un certo senso siamo riusciti a stornare l'acqua risparmiata in un paese del quarto mondo. E questa e' una straordinaria buona notizia.

Da quando sono rientrato in Italia provo una forte sensazione di sconforto, un nodo allo stomaco e ne sto ricercando la causa. Sono giunto alla conclusione che non provo pena per come sono loro, sono incazzato per quello che siamo noi.

Viviamo in un mondo in cui milioni di persone muoiono di fame e milioni di persone mangiano per due. Nel villaggio di Loto non c'e' energia elettrica, mentre da noi ci sono stanze che hanno due, tre lampadari. Sempre a Loto ci sono centinaia di bambini senza scarpe, qualche giorno fa in un canale Sky ho sentito di una modella che ne possiede piu' di duecento.
Non posso dire a mio figlio che l'ho messo al mondo, in questo mondo, senza tentare prima di fare qualcosa per renderlo piu' giusto.
Voglio potergli raccontare che scrivevo un quotidiano di buone notizie, poi un giorno ho deciso di diventare io stesso la buona notizia.

Molti si staranno chiedendo: "Va bene! Di cosa hanno bisogno?"
L'ho chiesto a Jerome, un ragazzino burkinabe' di 15 anni, che mi ha scritto le dieci cose piu' importanti per il suo popolo. Secondo lui sono: il dizionario (per apprendere il francese), il cibo (che loro chiamano nutrimento), i buoi (che aiutano nei lavori agricoli), l'acqua, la scrittura, il telefono, la radio, gli abiti, le scarpe, la scuola.
In pratica: agricoltura, allevamento e cultura: ecco di cosa ha bisogno questa gente.

Non molto lontano da dove siamo noi, la cooperazione tedesca ha lanciato un imponente progetto agricolo (hanno mezzi, strutture di ricerca e addirittura una diga), e li' coltivano banane. Obbella, ma dove vanno a finire questa banane, visto che nei mercati locali non se ne trovano? Il prossimo progetto portera' via anche i manghi?

Il nostro Papa "auspica" che si possa risolvere il problema della fame nel mondo. Mi hanno raccontato che in Burkina Faso le scuole cattoliche sono gli unici istituti primari a pagamento, perche' danno un'istruzione d'elite. In un paese con milioni di bambini che non hanno accesso alle scuole, c'e' chi pensa "all'istruzione d'elite".

In questi paesi si stanno portando la cultura del denaro, dell'assistenzialismo, della privatizzazione, tutte tecniche rapide per distruggere un popolo.
Dobbiamo invece portare le nostre conoscenze sull'agricoltura biologica, sulla rotazione delle colture (in Burkina Faso si fa un raccolto all'anno!), sulla gestione responsabile delle risorse idriche e sull'educazione alimentare
Dobbiamo portare scarpe, vestiti e libri per un aiuto urgente e immediato, ma dobbiamo anche lavorare perche' siano loro a costruirsi delle micro-economie.
Quando vengono messi alla prova, quando si da' loro una possibilita', i burkinabe' si dimostrano abilissimi artigiani, muratori, fabbri e meccanici. Conoscono la loro terra e sanno costruirsi gli strumenti per lavorarla. Ma e' necessario entrare anche un po' nella loro "visione della vita".

Per spiegarmi meglio voglio raccontare un aneddoto: mentre costruivamo la casetta abbiamo preso contatti con una persona perche' ci facesse il tetto (in legno e paglia). Dopo giorni di trattative e discussioni, e' emerso che il tetto sarebbe venuto a costare piu' della casetta stessa e cosi' abbiamo dovuto cercare una soluzione alternativa. Gabriel, un ragazzo che per tre settimane aveva collaborato con noi, ogni giorno e senza chiedere nulla in cambio, se ne e' uscito dicendo che lui il tetto lo sapeva fare, non aveva detto nulla prima perche' nessuno glielo aveva chiesto.
In tre giorni ha costruito il tetto, solido, resistente e biologico al 100%.

Ha lavorato con un altro ragazzo straordinario, Issa', probabilmente l'uomo piu' buono del mondo. Quasi sempre comunicavamo con lui soprattutto a gesti, era il primo ad arrivare e l'ultimo ad andare via dal cantiere. Non l'abbiamo mai visto cosi' felice come quando, prima di andarcene, gli abbiamo lasciato un sacchetto di vestiti.
Issa' veniva da me e mi faceva cenno che avevo una bella camicia, veniva da me e mi mostrava che aveva un taglio su un piede e poi mi indicava che io invece avevo delle bellissime scarpe.

Forse lui non se ne e' reso mai conto, ma il senso di ingiustizia e il bisogno di giustizia che mi sono portato a casa, me lo ha fatto scoprire lui e sono in debito.