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MORBIDE GALASSIE di Jacopo Fo - Capitolo 3

MORBIDE GALASSIE
La vera storia di Mikaijll Kandinski, dell'invasione del mondo e dei mostruosi Crow

Capitolo 3

Mentre camminava gli torno' alla mente una sua vita passata, quando correva nella citta' in fiamme e intorno a lui erano soltanto grida e scoppi. E cosi' torno' sui suoi passi, nel Luna Park ancora vuoto del pomeriggio, e ritrovo' quel boschetto immerso nelle cartacce da dove con tanta gioia era partito con lei su una pezza di stoffa. E tutta la sua magia gli parve nulla e nulla gli sembro' tutto cio' che sapeva e si sdraio' a guardare il cielo e si maledisse.
Scoppio' a piangere. E fece uscire tutto il pianto che aveva trattenuto in tutti quegli anni. E resto' la' chiedendosi se veramente l'amava e perche'. Non trovo' risposta. E gettando lo sguardo ora qua ora la' per distoglierlo dalla mente vide tra i fili d'erba un piccolo bagliore metallico.

Il corso dei pensieri di Mikaijll si snodava lungo le strade lunghe e piatte della citta' bassa percorse insistentemente da auto elettriche che scorrevano su binari magnetici. Ogni auto portava istoriate scene multicolori rappresentanti cavalieri, draghi, donne nude e semplici giochi di colore.
Camminando e pensando egli saltellava dai pensieri alle immagini dipinte sulle auto, trovando di volta in volta, nel significato dei disegni e nell'impressione che gli facevano, conferme ai suoi sospetti, promesse, inviti e pessimi presentimenti. Mentre procedeva in quel gioco, cosi' simile nella meccanica alla lettura dei simboli dei tarocchi, la sua mente si arresto', pigramente immobile, davanti a una immagine in cui non trovo' nulla di simbolico. Si chiese come mai il suo corpo e il suo sguardo fossero, cosi' ostinatamente, catalizzati da quell'immagine che nessun interesse destava nella sua mente assorta.
Stava guardando un negozio, uno dei tanti che si incontrano lungo Cannabis Strasse, con le vetrine ampie e luminose, i vetri spessi, infrangibili, costruiti con resine vegetali, ultra leggere. La luce filtrava nebbiosa nella semi trasparenza dello spessore del vetro, disperdendosi amplificata oltre, sulle cose disposte sui ripiani scorrevoli di un favoloso presepio animato. Sul ripiano piu' basso della vetrina piccoli minatori meccanici estraevano grandi patate dalla terra, le caricavano una per una su vagoni ferroviari che partivano a raffica. Sul ripiano superiore cuochi lillipuziani avevano gia' provveduto a pelare le patate, infornarle, lessarle, pigiarle e spremerle e le guarnivano su piatti di portata maestosi, unendole a polli, arrosti, lumaconi, sughi e salse.
Sul terzo scaffale del presepe i piatti di portata giungevano su nastri a un tavolo al quale stavano seduti altri pupazzetti meccanici che infilavano con forchettini minuscoli, patate e pollastri, dando l'aria di mangiare di gusto.
L'insegna luminosa diceva a chiare lettere "Casa della Patata". Mikaijll Kandinski si chiese di nuovo cosa in tutta questa scena potesse aver attirato la sua attenzione. Cosi', come se girasse la pagina di un libro, senti' di avere uno stomaco, di averlo vuoto e si rese conto che davanti a lui vi era del cibo e che questo lo attirava tenacemente. Erano anni che, rattrappito dalle pratiche dei digiuni, non apprezzava una fame spontanea. Non aveva soldi per acquistare cibo quindi decise di ricorrere alla magia. Uno schiocco di dita, un roteare di polsi e caviglie, una frase in una lingua in grado di far accapponare la pelle ai morti e nella sua mano apparve un pollo, del tutto simile a quello dietro la vetrina, solo con quattro zampe e tre ali.
Mikaijll lo getto' a terra schifato. Ci riprovo' di nuovo correggendo l'inclinazione della voce ma questa seconda volta il pollo, nonostante fosse numericamente giusto, aveva la pelle tutta a squame e ricordava un rospo. Mikaijll non ebbe il coraggio di assaggiarlo. Cosi' il secondo esperimento fini' per terra insieme al primo.
Non pago e sopratutto non sazio Mikaijll ripete' l'esercizio, un po' modificato, tentando di creare un arrosto che, li' per li', gli pareva una cosa piu' semplice. Il risultato fu incoraggiante. Mikaijll lo addento' ma il sapore invece che di arrosto era di nutella mista a zucchine. Resto' agghiacciato, sputando per liberarsi la bocca da quell'intruglio. In un quarto d'ora circa si era circondato di una serie scomposta di carcasse variamente assortite tra le quali spiccava un coniglio con una vistosa cresta gialla, un hamburger che puzzava di aceto, una coscia di agnello, fin troppo umana, con dita prensili al posto dello zoccolo e una fila di salsicce semi trasparenti piene di un liquame rossastro simile per consistenza a olio da macchina...
Una piccola folla di curiosi si era intanto raccolta intorno al monaco e fu il tintinnare di alcune monetine, lanciate sul terreno da chi l'aveva scambiato per un buffo illusionista da strada, a risvegliare l'attenzione del monaco per quanto gli succedeva intorno. Quando si rese conto della folla che lo attorniava ridacchiando si senti' umiliato dalla confusione della sua mente che gli impediva di operare prodigi cosi' semplici che avrebbero fatto sorridere il piu' giovane dei chierichetti del tempio.
Il padrone della rosticceria "La Casa della Patata" si era fatto avanti sulla soglia e lo guardava piu' divertito di tutti, non solo perche' trovava gustoso quel caotico spreco di super poteri e magie ma anche perche' la presenza di quell'insolita attrazione aveva richiamato una certa folla. Molti erano quelli che entravano a spendere il loro denaro.
Infatti i risultati dei tentativi del monaco, pur essendo da un certo punto di vista piuttosto mostruosi, non davano fastidio allo stomaco, mantenevano un certo garbo e una certa armonia e, forse per il divertimento che provocavano, avevano la particolarita' di stuzzicare l'appetito. Fu cosi' che Cha Bob Ku, il padrone della Casa della Patata, propose a Mikaijll di lavorare stabilmente per lui intrattenendo la folla davanti al suo negozio con le sue magie sventate. Fu cosi' che Mikaijll ebbe modo di mangiarsi un pollo che ne avesse il sapore e la forma.

La vita, lavorando in quel luogo e dormendo in una piccola pensione poco lontana, "La Felce Azzurra", non era per Mikaijll troppo sgradevole, solo un poco noiosa. Scopri' che adorava i film e finito il lavoro si buttava in un cinema tridimensionale, due isolati piu' avanti della rosticceria, dove proiettavano vecchi film pieni di storie d'amore appassionanti ed eroi invincibili. Passarono cosi' due mesi senza che nulla accadesse. Gli sembro' di nuotare sott'acqua. In quel periodo scopri' che una citta' era un assillato groviglio di stranezze dove nessuna amenita' veniva risparmiata. La gente viveva senza uno scopo ne' seguiva un qualche senso della vita. I piu' non si rendevano neppure conto di essere vivi, occupati com'erano a cambiarsi d'abito e darsi appuntamenti senza avere nessuna voglia ne' di incontrarsi ne' di vivere. Quando si sentiva troppo depresso beveva, comprava sigarette di hashish gia' arrotolate e si riempiva la testa di quel fumo azzurrognolo che gli sconnetteva i pensieri e teneva lontana lei dal fondo della sua anima, impedendole di tormentarlo con i ricordi.
Una di quelle sere, che aveva rotto gli argini e la testa gli strisciava sul sorriso con le dita sparse sotto i tavoli, comincio' a parlare con un tipo semi-nascosto sotto un cappellaccio di paglia e un'impermeabile il quale, pure lui, aveva esagerato un po' con tutto. Cominciarono maledicendo i neon gialli e le bottiglie vuote e ben presto giunsero ad accordarsi sul fatto che le lenzuola di lino erano le migliori, insieme alle macchinette per spremere le carote. Stavano per litigare sulla questione della birra coi fagioli al sugo di pomodoro ma alla fine la loro comune insofferenza per i Crow li riuni' come un sol uomo.
La mattina dopo Mikaijll riemerse dal coma in una stanza sconosciuta, sconocchiato maldestramente su un divano stile liberty con tutte le molle sfondate e una pila di mattoni al posto di una zampa. Sul materasso, all'altro capo della stanza, stazzava un ammasso di coperte, tessuti e carni, che a tratti grugniva, infastidito dalla luce del sole che penetrava dalla finestra sconnessa. Dopo un certo periodo di tempo la cosa informe riprese i sensi, riemergendo sotto sembianze umane:
"Salute" disse. "Sono Samuel La Rocca. Intuisco che ieri sera la sbronza e' stata solenne. La prego di scusarmi, caro amico, ma non sono proprio in grado di ricordarmi il suo nome..."
"Mikaijll Kandinski".
"Molto lieto" concluse Samuel. E subito fecero colazione a base di noccioline americane e gin, un fondo di marmellata di lamponi e un resto di grissini. Fu una grande amicizia, consumata ai limiti della vita, al di sotto di qualsiasi livello civile. Decisero di abitare insieme in quell'appartamento di quattro stanze, totalmente non arredato, unico resto di una eredita' che pareva immensa e che Samuel aveva dissipato negli ultimi sei anni, inseguendo la vita ovunque la si potesse trovare, senza riuscire mai a trovarla. Era un filosofo, un grande filosofo. Entrambi poi odiavano i Crow.

Una notte, guardando la notte fuori dalla finestra, disse:
"Sai Mikaijll, la vita e' una bevanda stupenda, meglio anche del gin. E molto meglio della birra, la vita si beve dalla bottiglia come il whisky, l'unica cosa, la piu' difficile, e' riuscire a togliere il tappo."
Samuel gli raccontava un mucchio di storie d'amore, viaggi incredibili, traffici proibiti di nuove droghe e metalli preziosi e si divertiva molto a sentire i racconti della vita del tempio e prendeva in giro Mikaijll per quel suo amore che gli aveva confuso la vita fin nei minimi termini. Una sera di maggio Samuel, come al solito, aveva bevuto troppo. Mikaijll stava parlando di lei quando si accorse che lui non lo seguiva piu'. Era volato via, lontano, in un posto cupo, Mikaijll gli chiese:
"Cos'hai?"
"Niente" rispose lui ma parve che la sua voce venisse da oltre l'inferno. Poi inizio' a parlare, quasi convinto che nessuno potesse sentirlo:
"Ci stanno fregando Mikaijll. Non c'e' nessuno che faccia niente. Stanno invadendo il pianeta. Ben presto cominceranno ad attaccarci. Abbiamo gia' perso ormai. Fra poco succedera'. Non m'importa di morire. Sono stufo marcio di ubriacarmi. Quando verranno a chiamarmi andro'. Io sono un Cado. Combattero' questa battaglia.Un Cado nasce per questo e muore per questo. Non mi tirero' indietro. Da quando sei anni fa mi hanno avvisato ho vissuto solo aspettando la morte; non mi tirero' indietro, sarebbe inutile, ma odio quest'universo con tutte le mie forze."
Mikaijll rabbrividi'. Samuel aveva parlato con le parole di un pazzo ma Mikaijll sapeva che quel che diceva era vero. Ne era certo. I Crow cingevano d'assedio la terra. Non erano dei semplici passatempi bionici: erano creature aliene che si infiltravano nelle menti degli uomini. Ma non fu questo a farlo rabbrividire e neppure sapere che Samuel fosse un Cado, un affiliato alla setta segreta dei guardiani del pianeta. Mikaijll rabbrividi' guardando lo sfacelo delle loro due vite, sfrante nell'impatto con un mondo al quale non erano stati preparati. In fondo non gli interessava nulla dei Crow, dell'invasione della terra, dell'assoggettazione della razza umana da parte di una genia di parassiti mentali.
Forse avevano ragione i mistici antichi: il mondo e' soltanto un'illusione. Tutto quello che vedi non esiste. "Samshara", dicevano gli induisti: la superficie del sogno. O forse era vero quel che urlavano alcuni pazzi agli angoli delle strade. Come quel vecchio con i capelli lunghi e grigi, stava su una cassetta di birra e gridava agitando ritmicamente le braccia: "Non credete! Non credete! Questo mondo non esiste, siamo solo i personaggi di un videogame. Fermatevi! Smettete di crederci e tutto svanira'!"
Si', ci credeva anche lui. Non esisteva niente. Ne' lui, ne' il mondo. Solo riflessi del niente. Non gli interessava nulla di se' stesso, figuriamoci del resto. Lui era un monaco guerriero. Non avrebbe dovuto pensare cosi'. Ripasso' mentalmente il mantra dell'eroe a cui per anni era stato allenato ma lo trovo' vuoto come un bicchiere capovolto. L'unica cosa di cui gli interessasse era lei, perche' lei era bella e le sue spalle calde e i suoi seni sembravano disposti a volare. Ed ella ha un sapore dolce e fragrante. Ma lei chissa' dov'era adesso. Forse dormiva, ma chissa' con chi.
Cosi' pensando Mikaijll si addormento', stroncato dall'alcool, maledicendo i Crow e se stesso.

Il mattino dopo Mikaijll si alzo' e ando' a lavorare davanti alla Casa della Patata. Aveva un'incudine saldamente piantata nel cervello e un sarcofago serrato in ogni muscolo. Si sentiva uno scemo e i pensieri della notte prima gli sembravano vaniloqui di un pazzo. Non pensava affatto che i Crow stessero invadendo la terra, erano solo stupidi giocattoli mentali... Ogni tanto vedeva tra la folla un neo metallico ornare una tempia sinistra. I portatori di Crow non avevano niente di speciale; forse erano solo piu' fessi degli altri. Il mondo era una merda, la vita una truffa, non c'era neppure una favolosa potenza del male che minacciasse la razza umana. Ne' incredibili avventure nelle quali gettarsi diventando eroi. Ne' altro. Niente. Solo noia gettata a piene mani e donne smorfiose che non sai piu' dove cercare e monaci mosci che sanno solo piagnucolare e compiere miracoli inutili. Anzi, neanche quelli, visto che ormai le droghe, gli stravizi e le elucubrazioni mentali gli impedivano di raggiungere anche quella concentrazione minima necessaria per le magie.
Si era ridotto a creare soltanto fette di prosciutto e cavallette, solo ogni tanto, pensando a lei riusciva a generare sciami di farfalle bianche e gialle che volavano via tra le grida entusiaste dei bambini. Ma la cosa non soddisfaceva piu' il suo padrone. Evidentemente Mikaijll gli doveva stare simpatico perche', licenziatolo come mago, lo riassunse come cameriere nella Casa della Patata, la migliore rosticceria della capitale.

Quella sera Mikaijll torno' a casa subito. Aveva voglia di parlare con Samuel, bere e fumare. Aveva due grossi sacchetti pieni di bottiglie, fusaje e dolciumi e in tasca un pacchettino avvolto nella carta d'argento. Incontro' Samuel sulla porta; aveva il viso pallido e l'aria tesa. Vicino a lui, poco piu' avanti, camminava un altro uomo, col viso come una lastra di vetro e una pesante tunica tra il blu oltremare e il viola. Samuel lo abbraccio', lo guardo' un istante e se ne ando' insieme all'altro, senza voltarsi. A Mikaijll parve di affacciare la sua gola sulla latrina dell'inferno.
Due uomini che si allontanavano tra la folla eccitata e indifferente della sera; uno spettacolo di morte che andava a consumarsi. Un rito pagano preparato durante i millenni. E gli torno' in mente la storia dei Cado. Di padre in figlio, di maestro a discepolo, l'antica setta dei Cado si era preparata al sacrificio finale nell'intento alchimista di opporsi alla fine del mondo. Questa affiliazione non aveva ne' riti, ne' convegni, ne' contatti. L'unico contatto che i Cado avevano fra loro era al momento dell'investitura; essi pronunciavano il giuramento e venivano toccati. Questo era tutto. Un Cado non faceva nulla per esserlo, semplicemente lo era, era una questione genetica.
I Cado erano una stirpe nella quale il Cosmo, il signore supremo, aveva riposto l'unica possibilita' della razza umana di non soccombere alla fine del mondo. Ogni Cado sapeva una cosa sola, l'unica cosa che durante l'investitura gli era stata comunicata. Un giorno verra' un Cado nella tua casa a cercarti, lo riconoscerai dagli occhi. E saprai. Partirai immediatamente con lui e andrai ai confini dell'universo a combattere contro l'inferno intero, tu cadrai e forse il sole brillera' ancora in cielo. Forse quando l'uomo verra' da te tu sarai morto ma ci sara' tuo figlio, o il figlio di tuo figlio, o il figlio del figlio di tuo figlio. L'universo non deve morire.

Mikaijll sali' le scale triste chiedendosi se veramente Samuel fosse un Cado. Se veramente fosse giunto il suo momento. E se i Crow erano davvero una minaccia. Si chiese se veramente si fosse aperta la botola dell'energia nera e infine i quattro demoni alati, addobbate le 6 maledizioni, avessero calcato coi loro piedi la terra pretendendo la fine dei gozzovigliamenti umani cosi' come l'esattore viene a strappare i mobili dalle case dei debitori. Si drogo' troppo pensando e assumendo un misto confuso e disordinato di stupefacenti e cibi in scatola.

Il giorno dopo, al lavoro, Schapiro Ghimenez, gli disse:
"Vai in magazzino. Ci dovrebbe essere un tait della tua misura. Provalo e datti una ripulita che fai schifo. Stasera c'e' un grande party offerto al bel mondo dalle dame Kavite. Andremo la' a servire focacce e rinfreschi."
Mikaijll, sorpreso dal trambusto della novita', ando' a vestirsi sperando in cuor suo, assurdamente, di poterla vedere la', dolce come un favo di miele. E cosi' ando' e aspetto' nella sala vuota (compunto in quel tait da cameriere, grigio perla con la coda e la cravattona a fiocco) l'arrivo dei primi invitati che facevano a gara nel ritardare per via che, si sa, e' da cafoni arrivare puntuali.
Mikaijll aspettava in piedi dietro il tavolo delle macedonie guardando la sala riempirsi mano a mano che il ritardo diveniva sufficiente per la condizione sociale dei piu'. Cosi' arrivarono i valletti e i nuovi ricchi, i parvenu e gli usurai, i reggi coda e gli uomini di paglia, le prostitute redente e le mogli dei sottosegretari fedeli e tutta quella vasta gamma di topi d'alta societa', arrampicatori, scalatori e salta fossi che ad altri livelli sociali vivono di espedienti come sbatacchiare i telefoni pubblici, sperando di recuperare qualche monetina dimenticata.
Mikaijll riusci' ad accordarsi con un collega, un algerino tutto pepe, per sostituirlo nei suoi giri con i vassoi di champagne tra la folla. C'erano piu' di seimila persone e seppure fosse un bell'ago, non era facile trovarla in quel pagliaio. Dopo aver cortesemente scaricato una ventina di vassoi con 12 bicchieri ciascuno, Mikaijll concluse che lei, evidentemente, non era ancora arrivata. Torno' al tavolo delle macedonie pensando che, di certo, se fosse arrivata non avrebbe rinunciato ad una buona macedonia. E in effetti ve ne era una buonissima che aveva preparato appositamente per lei.
Dopo un po' si mise a sospettare che lei, quella disgraziata, non si sarebbe mai scomodata per andare a prendersi la macedonia con le sue delicate mani ma avrebbe trovato certamente una schiera di pappafichi impiumati che si sarebbero precipitati a nutrirla. Alzo' gli occhi sulla massa ondeggiante nella pista da ballo, davanti a lui, scomponendola in singole coppie di ballerini, compostamente assorti nel ritmo lento di una lunga melodia suonata, con aristocratico distacco, da una banda di professori d'orchestra che vestivano i fregi della casa reale.