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MORBIDE GALASSIE di Jacopo Fo - Capitolo 1

MORBIDE GALASSIE
La vera storia di Mikaijll Kandinski, dell'invasione del mondo e dei mostruosi Crow

Capitolo 1

Mikaijll Kandinski era agitato. Un fenomeno assurdo nell'intimità irraggiungibile del tempio Kao di Marabat. Gli era già successo il giorno prima e il giorno prima ancora. Ne aveva parlato con Kuò Tané, il suo maestro, il primo bramino della Tiéra. Kuò Tanè gli aveva detto che non era il caso di preoccuparsi, un minimo di agitazione, alla vigilia del Mai Dei, era comprensibile. Soprattutto perché quell'anno sarebbe stato lui, Mikaijll Kandinski, a compiere il Mai Dei per il tempio.

Il Mai Dei era la più grande festa della tradizione Kao. Il popolo accorreva da tutti i continenti e anche dai più lontani pianeti della galassia e una folla sterminata si assiepava sulle colline intorno al colossale anfiteatro di Delfy per vedere i campioni dei 2 maggiori templi Kao che si affrontavano in un duello di magie.
Mikaijll Kandinski, maestro di Schu-Du-Zai, Primo Sognatore della Schiera, giovane promessa del Ragn, guardia d'onore del Pope Bianco, era stato scelto quale lottatore nel Mai Dei di quell'anno. Lui, il migliore, perse la calma e conobbe l'irritazione di sentire che non tutto era a posto. Era stupito di provare questo sentimento che aveva fino ad allora compatito negli altri uomini. Ma il peggio era che temeva che non fosse il Mai Dei la vera causa di quell'agitazione. Forse vi era altro, più in fondo.

Mikaijll respirò profondamente piegandosi in avanti fino a toccare con le mani la punta dei piedi. Si rimise dritto riempiendo di nuovo i polmoni, flettè leggermente i ginocchi, scattò girando su se stesso e sferrò un terribile pugno all'aria fresca dietro. Accompagnò il colpo con un grido, lo sguardo fisso nel nulla. Poi scaricò una gragnuola di colpi nel vuoto, ondeggiando seccamente sui fianchi. Poi si fermò, assorto si accarezzò la cicatrice al centro della fronte. Aveva sei anni quando il maestro di spada lo aveva colpito durante l'esame di ammissione al monastero. Non aveva pianto. Per questo era stato ammesso. Aveva giurato di vivere una vita di preghiera. Ma ora non era felice.

Nel grande anfiteatro circolare la folla attendeva compostamente l'inizio del Mai Dei. I due contendenti entrarono nell'arena preceduti da monaci Kao che eseguivano movimenti rituali di lotta, ognuno facendo roteare il bastone impugnato a due mani. Di lì a poco sarebbe iniziato il duello.
I lottatori rappresentavano i due maggiori templi. La lotta simbolizzava lo scontro tra le due impostazioni preminenti nel sistema religioso dei monaci Kao. Il tempio che vinceva avrebbe deciso l'indirizzo del Governo Centrale della Galassia per l'anno successivo. In realtà lo scontro era solamente formale in quanto entrambi i monasteri Kao proponevano il medesimo programma di governo. Vi erano variazioni solo dal punto di vista meramente linguistico; la gente ne era pienamente conscia.
Ciononostante il Mai Dei era il rito Kao più seguito, in quanto ad esso erano legate molte predizioni, dicerie e scommesse. Mikaijll restò solo nello spiazzo davanti al suo avversario. Fermi, i due contendenti cominciarono ad agitare lievemente le dita arrotolando l'aria. Si formarono due vortici che crescevano con un lieve sibilo. Dopo una decina di minuti due tornadi, di almeno quaranta metri, si contorcevano sopra i duellanti che iniziarono a tentare di colpirsi brandendo le spirali di vento come spade. I due vortici si infrangevano l'uno contro l'altro come gigantesche onde degli oceani, alti come case, rombanti del rumore di 100 aeroplani infuriati. Ogni contatto produceva scintille, fiamme e furiosi colpi di vento che scompigliavano gli abiti e i capelli delle ragazze.
L'enorme folla, assiepata nell'anfiteatro e sui fianchi delle colline tutt'intorno, proruppe in grida di terrore quando i due tornadi si trasformarono in tirannosauri da incubo con squame multicolori e zanne terribili. Mentre i due colossi si addentavano, barrendo come le sirene acustiche di navi in fiamme, i loro corpi si trasformavano e zampe, artigli, scaglie e irte pellicce si sviluppavano, si agitavano e sparivano in una continua mutazione.
I corpi dei due mostri si artigliavano lacerandosi. Poi la carne iridescente si mutò in metallo che via via si coprì di cromature, cristalli, guarnizioni e tubi. Due macchine multiformi si attanagliavano in uno scroscio inumano di ferraglie che avrebbe fatto impallidire il più demente hard rocker dei bassifondi di Baltimora. La folla urlava in delirio. Improvvisamente i marchingegni meccanici, alti come grattacieli, si trasformarono in macchie nere, nubi che cozzavano l'una contro l'altra producendo valanghe e spruzzi di lava rossa e verde luminescente.
La folla era terrorizzata dall'apparizione delle nubi. Qualcosa di orribilmente misterioso stava succedendo in quel nero abissale che si stagliava nel cielo, qualche cosa che non era assolutamente prevista dal cerimoniale del duello. Tutti guardavano impietriti i due lottatori che, muovendo vorticosamente le braccia e le dita, dirigevano le due nuvole l'una contro l'altra. Erano entrambi madidi di sudore e le loro mani sanguinavano.
Ad un tratto la nuvola di Mikaijll divenne purpurea, quella del suo avversario acquistò una colorazione cangiante; poi entrambe esplosero in un lampo che partì verso il cielo illuminando la galassia.

Cessato lo scontro, il silenzio piombò nella valle. Il pubblico era attonito per quell'evento funesto. Durante tutto il duello Mikaijll Kandinski aveva spinto la sua percezione lungo i confini energetici dell'avversario cercando un'incrinazione, un appiglio per batterlo. Ma non aveva trovato niente. L'aura che lo circondava era fredda e liscia come l'acciaio nuovo, completamente sprovvista dell'evanescente morbidezza comune agli esseri umani.
Un punto nero brillava sulla tempia sinistra del monaco, come un piccolo brillantino incastonato nella carne. Chiaramente quel monaco aveva un Crow nella testa. Uno di quegli affari moderni che la gente si infila nel cervello per essere più intelligente. I Crow erano la nuova droga, l'ultimo miracolo della biochimica commerciale, le nuove macchine emotive, i moltiplicatori di connessioni celebrali. Mikaijll Kandinski nutriva un disgusto ancestrale per quelle cose e non capiva come un essere umano potesse accettare di infilarsi una nuvola di energia biochimica nel cranio. E sopratutto non capiva come un monaco potesse decidere di usare un Crow. Ma chiaramente quel monaco aveva un Crow nella testa: Mikaijll ne era certo. I mostri che l'avversario aveva evocato non erano normali apparizioni cromatiche: erano qualche cosa di più, qualche cosa che solo una mente potenziata poteva produrre... e i Crow erano, per l'appunto, dei moltiplicatori delle facoltà mentali.

Il gran maestro del Mai Dei giudicò che nessuno dei due avesse vinto e quindi si passò alla seconda delle tre gare previste. Due archi furono approntati. I due contendenti si disposero l'uno di fronte all'altro con la freccia incoccata e la corda tesa. Il gioco consisteva nello schivare la freccia che puntava tra gli occhi restando immobili col corpo e muovendo solo, rapidamente, il collo, con un movimento simile a una frustata. Vinceva chi si scostava per ultimo e senza muovere le spalle.
Il giudice di gara lanciò il grido e le frecce scoccarono. Entrambi i contendenti schivarono la freccia senza muoversi ma il collo di Mikaijll restò strisciato di sangue. Il pubblico gridò. Mikaijll non aveva commesso errori, ne era certo.
La seconda freccia venne caricata e scoccata, ma questa volta il dardo di Mikaijll mandò in pezzi quello dell'avversario, incontrandolo a metà volo frontalmente. Una ola di entusiasmo si levò dalla folla facendo dimenticare i cattivi presagi di poco prima. Mlkaijll si premunì di neutralizzare, nello stesso modo, la terza e la quarta freccia incoraggiato da un coro di "hurra!". Così anche la seconda gara finì con un pareggio.

La terza prova consisteva nel tiro alla fune ma la fune dopo pochi minuti si spezzò. I duellanti allora, come voleva il regolamento, tramutarono gli spezzoni di corda nelle loro mani in feroci serpenti che si arrotolarono tra di loro permettendo alla gara di continuare. Poi pure i serpenti si spezzarono e la gara fu invalidata. La cosa non destò tanto entusiasmo di per sé ma portò comunque la folla al settimo cielo, scrosci di applausi, grida e vari incitamenti isolati si accavallavano. Infatti, un caso simile era veramente insolito: tre scontri tutti e tre alla pari e a questo punto si doveva tenere una quarta prova: uno scontro di boxe a cavallo, un tipo di duello che il pubblico adorava.
Al contrario del torneo medievale, al quale per altro somiglia, lo scontro tra i cavalieri a pugni nudi non avviene dopo una carica frontale dritta ma quando i cavalieri hanno compiuto un intero giro dell'arena, ognuno seguendo un senso opposto a quello dell'avversario. Dopo lo squillo di trombe, tamburi e pistacchi, i due contendenti seminudi, che montavano cavalli senza sella, si lanciarono al galoppo stando ritti, con le gambe strette contro i fianchi dell'animale. Prima di colpire i cavalieri si sarebbero sporti sul lato dal quale arrivava l'altro lottatore e avrebbero caricato il pugno poggiandolo sul fianco.
Fu proprio in quella posizione, un istante prima che avvenisse l'impatto, che Mikaijll Kandinski vide, tra le prime file degli spettatori, una ragazza stupenda che gli sorrideva. Era lei la ragazza che Mikaijll aveva sognato. Vestiva un abito bianco, stretto, con un cappuccio di broccato rosso che le ombreggiava la fronte e una fila di perle rilucenti che facevano eco ai denti e al sorriso degli occhi mentre gridava un incitamento o un saluto. Proprio in quell'istante il colpo, poderoso e frontale, gravato dal peso dell'incedere del cavallo, lo colse in pieno viso, frantumandogli il naso. Mikaijll piombò a terra, il sangue misto alla terra. Aveva perso. Eppure, nel frastuono della sconfitta, nell'esaltazione della folla, nel rincorrersi delle scommesse, nel furoreggiare dei corvi nel cielo a lui quel viso parve la sola cosa interessante da pensare, tanto era stupito per la rilucentezza e le tenere fattezze di quella carne, l'espressione di quegli occhi e delle labbra rosse e quello stupore si mischiava ad un altro, quello di trovarsi lui, monaco Kao, maestro di Scido, a provare simili emozioni così discoste dalle abitudini del suo spirito.

Per un monaco Kao, al quale venga riservato, dalla sorte, l'onore di contendere il Mai Dei, non era certo un problema vincere o perdere. I monaci conoscono il valore perituro delle cose e sono liberi da ogni attaccamento. Non fu l'amaro della sconfitta a determinare la scelta di Mikaijll Kandinski. O meglio, non fu l'amaro di per sé. Mikaijll, infatti svegliandosi dalla narcosi, nel suo letto, in una delle celle del tempio, più che altro restò stupito dal fatto di non sentirsi per nulla libero dall'attaccamento per le cose. Aveva il naso impiastricciato di argilla mista a erbe battute ed era molto agitato. Non sopportava l'idea di essere stato vinto da quello stupido monaco con un Crow in testa e non riusciva a togliersi dalla mente il viso di quella ragazza. Il fatto di aver perso in un modo così stupido poi...
Tutti questi sentimenti erano inaccettabili per un monaco maestro di magie. Inaccettabili e pericolosi. Comprendendo, infatti, la semplicità e la dolcezza dell'universo, sentendosene parte, era possibile all'uomo giocare con i segreti della vita, compiere prodigi e grandi imprese ma per fare ciò era necessario mantenere la mente libera dal desiderio di possedere le cose terrene (tutto si muove. Non puoi possedere una cosa che non sta ferma. Per possederla dovresti seguirla costantemente. Ma allora sarebbe lei a possedere te).

Mikaijll era adirato, la sua mente passava dal viso del monaco suo avversario a quello della donna, contemplando l'odiosità dell'uno e l'amabilità dell'altra. Egli si arrovellava sul modo e sulle possibilità di porre fine a quell'ansia: vincere l'uno e rivedere l'altra. Nel crescere dei pensieri e delle immagini egli arrivò persino a pensare che vi fosse qualche legame diabolico fra i due fatti. Forse quell'apparizione folgorante era un sottile gioco di magia, un trucco per vincerlo. Forse un complotto ordito con l'ausilio del Crow, forse pure la ragazza usava un Crow per il suo diletto e quegli occhi, quelle labbra, non erano reali ma atteggiamenti costruiti con morbida astuzia. Ma poi si chiese chi mai avrebbe potuto sapere che quell'aspetto, quegli occhi, avrebbero sortito un così congruo effetto su di lui. Nessuno, visto che neppure lui lo avrebbe potuto sapere. E poi un viso gettato nella folla, vociante, non certo un'arma sicura per abbattere un cavaliere alla carica. O forse esisteva ormai una nuova magia, più potente e sublime della prima, in grado di attanagliare i sentimenti ancora prima che si manifestino?
Un'ansia profonda, da dentro, gli strappava le vene dalle spalle, non sapeva più chi era, cosa voleva, cos'era giusto. Il turbinio di questi pensieri fece decidere Mikaijll Kandinski: di sicuro non poteva più vestire con onore i panni monacali. Aveva irrimediabilmente perso la calma della sua anima. La costruzione geometrica della sua pace interiore si era spaccata scomparendo improvvisamente come se non fosse mai esistita. Mikaijll decise così di abbandonare l'ordinato succedersi delle giornate, tra le mura esatte del tempio, e gettarsi nella vita di ogni giorno, disposto a rischiare di farsi ingoiare da essa, pur di trovare una via d'uscita dall'angoscia che lo sfiniva.

Solo, in quel letto, intontito e dolorante, si svegliava e si addormentava, scalpitando di desiderio e perdendosi nell'oblio pesante dei medicinali che ottundevano la sua coscienza. Era fuori di sé dall'acrimonia e tanto desideroso di rivedere quella donna che, piuttosto che un luogo di raccoglimento, il tempio gli pareva un pozzo pieno di diavoli. Dopo un po' di giorni fatti di dubbi e ripensamenti, infine, decise che avrebbe lasciato il tempio. Fu così che alla prima ora del Bao, Mikaijll Kandinski si recò col passo incerto e il naso ancora gonfio.....

Nella grande sala dove cinquemila monaci stavano mangiando, seduti su panche di legno disposte ai lati di tavoli stretti e lunghi, c'era silenzio. I monaci mangiano in silenzio. Attraversò la sala dirigendosi verso il fondo dove erano seduti i membri del Consiglio Superiore del Tempio, Venerabili Maestri Illuminati. Passò vicino ai monaci più umili, gli Apprendisti Bianchi, poi attraversò le file di tavoli sui quali desinavano i Luminari che gestivano la vita materiale del Tempio, quindi oltrepassò i Guerrieri, poi i Monaci delle Preghiere avvolti nelle toghe rosse, poi i Ricercatori, i Derelitti, i Monaci della Parola e quelli del Silenzio, i Monaci dei Gesti e i Pensatori di Grandi Imprese, i Monaci Costruttori e i novizi. Tutti lo guardavano. Tutti sapevano chi era.
Si avvicinò al tavolo dei capi e disse: "Io lascio il Tempio. Vi ringrazio per tutto quello che mi avete dato."
Nel silenzio della sala le sue parole risuonarono chiare. Mikajill sapeva che doveva compiere un gesto che sancisse la sua scelta. Era una tradizione. Si avvicinò al più anziano dei maestri, prese la ciotola d'acqua che stava sul tavolo vicino al piatto del vecchio e la rovesciò! Allora tutti i monaci si alzarono e iniziarono a gridare tutti insieme: "Blasfemo! Blasfemo!" Così voleva la tradizione. Pur sapendolo, Mikajill si sentì umiliato.
Fu allora che un novizio, preso dall'eccitazione, fece un gesto che non s'addiceva per nulla alla sacralità del luogo. Afferrò un piatto di portata, un piatto grande d'acciaio e lo lanciò con tutta la sua forza. E il piatto sfiorò la testa di Mikajill volando come un discobolo e colpì in pieno Kuò Tané, primo bramino della Tiera, sulla tempia. Il maestro di spada crollò a terra. Mikajill saltò il tavolo e in un istante fu vicino a quell'uomo che gli aveva fatto da padre. Una goccia di sangue gli usciva dall'orecchio. L'uomo prese la mano di Mikajill e mormorò: "Va' Mikajill, va'. Così è scritto. Va' e combatti i Crow". Poi la vita lo lasciò.
Intanto alcuni monaci avevano afferrato il giovane novizio che urlava e si dibatteva. Mikajill lo guardò. Aveva un brillantino nero incastonato sulla tempia sinistra. Un monaco Ricercatore si accertò che per Kuò Tané non ci fosse niente da fare. Nella sala era tornato il silenzio. Il più anziano dei maestri guardò Mikajill e gli disse con disprezzo: "Adesso vai, tu non esisti più." Mikajill si girò e si diresse verso l'uscita. Verso la porta del Tempio. Si portò le dita alla fronte e si toccò la cicatrice orizzontale al centro. Gliel'aveva fatta Kuò Tané con un colpo di spada quando Mikajill aveva solo sei anni. Lui non aveva pianto. Così era stato accettato nel Tempio.

Jacopo Fo

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